Una scatola di cartone [L’Olimpiade di Lettera 32]

di Beppe Giuliano

Capitolo 2

Leggiamo che le medaglie sono conservate in preziosi bauli marchiati da una delle grandi griffe globali del lusso. Cento anni fa, all’altra Olimpiade di Parigi, non era proprio così.

Il barone de Coubertin

Avvenne poi la cerimonia finale della premiazione. Il barone De Coubertin, presidente del Comitato olimpionico internazionale, fece chiamare successivamente per ordine alfabetico i delegati di tutte le Nazioni, cui consegnò una scatola di cartone, che conteneva tutte le medaglie guadagnate dagli atleti appartenenti alla Nazione stessa. (‘La Stampa’, 1924)

Il barone era al suo passo d’addio, aveva 61 anni e realizzò una sorta di ultimo desiderio: riportare i Giochi a casa dopo l’edizione del ‘900, decisamente malriuscita: lui stesso disse che quella era stata un’edizione “mediocre e senza prestigio”, un membro del comitato organizzatore la definì “un incommensurabile fiasco”.

Pierre de Coubertin poté così salutare le Olimpiadi moderne, la sua creatura, con un (meritato) successo.

La scatola di cartone dell’Italia era bella piena, avevamo mandato atleti sul podio 16 volte: 8 competizioni vinte, il secondo posto 3 volte e 5 il terzo, ma le medaglie erano di più perché tre delle nostre vittorie vennero in gare a squadra, così come quattro dei piazzamenti. Mandammo sul podio solo uomini: d’altronde dei nostri 202 rappresentanti, le donne furono appena tre.

A leggere oggi i nomi dei nostri premiati di un secolo fa, ne troviamo ben pochi di cui si conserva diffusa memoria, un paio anche per ragioni extra sportive. Come il cavaliere Tommaso Lequio di Assaba, due volte decorato per meriti di guerra, o il sollevatore di pesi Carlo Galimberti, futura Medaglia d’argento al valor civile. Vigile del fuoco, morì con due colleghi nel 1939 tentando di evitare l’esplosione di una caldaia, dopo essere riuscito a fare evacuare un intero fabbricato in via Morozzo della Rocca a Milano. Carlito, come lo chiamavano (era nato a Rosario in Argentina), ancora oggi considerato il nostro più grande pesista, era stato il portabandiera nella successiva edizione dei Giochi ad Amsterdam.

Tra gli altri medagliati i due tuttora più noti restano con ogni probabilità Ugo Frigerio, il ragazzo milanese che era stato apprendista tipografo alla ‘Gazzetta dello Sport’, veniva dal doppio oro olimpico nella marcia ad Anversa e perciò a lui era andato l’onore di portare la bandiera d’Italia nella cerimonia inaugurale nonostante gli appena 23 anni di età, e Marcello Bertinetti.

Il vecchio Bertinetti

Marcello Bertinetti, vercellese, ultimo di sette fratelli, nato nel 1885 vent’anni dopo il primogenito (all’epoca era cosa frequente), per lo sport era indubbiamente portato se nel suo variegato albo d’oro c’è perfino un titolo italiano di tamburello. Studente di medicina scoprì il fútbol a Torino, giocò nella Juventus, in una fotografia d’inizio secolo uno degli avversari è Vittorio Pozzo. Bertinetti portò a casa il primo pallone, fondò la sezione calcio della Pro Vercelli insieme a Luigi Bozino, ne fu allenatore e giocatore, vinse sul campo il primo dei sette scudetti del club piemontese, e nel 1924 solo il Genoa che aveva appena vinto il nono ne vantava di più, mentre il Milan era a tre, l’Inter a due, la Juventus a uno come, per esempio, la Novese.

Intanto Bertinetti tirava di scherma. A Londra, i Giochi del 1908 rappresentarono la svolta in positivo dopo l’edizione di Parigi ‘900 e quella ancora peggiore di St. Louis ‘904, e anche il primo podio per un Bertinetti: la squadra di sciabola si prese l’argento. Sport nobile praticato nell’esercito, erano ufficiali due dei suoi quattro compagni di squadra, e presto Marcello si unì a loro: dopo la laurea partì per la Libia come ufficiale medico, e là restò un decennio tra il 1911 e il 1921. Nel frattempo sposò Nella per procura (già!): al rito celebrato a Vercelli lo rappresentò uno dei fratelli, poi la sposa lo poté raggiungere e a Tripoli nasceranno Eugenia (morta di soli quattro mesi) e Bona Bertinetti, scomparsa centenaria nel 2022. L’ultimogenito Franco arriverà due anni dopo, a Vercelli, e sarà lui a proseguire la tradizione sportiva familiare.

Non che Marcello nel frattempo avesse smesso. Il “vecchio Bertinetti” (come scriveva ‘La Stampa’ del trentanovenne) vince infatti la sciabola a squadre di Parigi (tra l’altro battendo un altro campione straordinario, il francese Lucien Gaudin – due ori negli stessi Giochi) e bisserà nella spada ad Amsterdam ‘28 con la squadra italiana.

Terminata la straordinaria attività sportiva quando si avvicinano i cinquant’anni, continuerà una vita da romanzo che lo vide ufficiale medico prima nuovamente in Africa, poi direttore di Sanità del Corpo d’Armata Alpino e dell’Ospedale Militare in Ucraina.

Nel 1942, dal fronte, aveva scritto una lettera toccante al figlio Franco che stava iniziando l’Università. Una lettera di guerra, con la consapevolezza di poter dire addio: “Queste righe che ti scrivo da lontano e di getto siano il viatico della tua vita. Io non so quando tornerò e se tornerò ma ricordate tutti e tu specialmente che voi, voi soli siete stati sempre il supremo pensiero e la suprema gioia di tutta la mia vita.” Per fortuna Marcello, che aveva 53 anni nei giorni della ritirata di Russia, fu tra i pochi nostri militari a tornare a casa. Morirà, a gennaio del 1967, scriverà di lui uno splendido ritratto Vittorio Pozzo, dipingendo da par suo l’epoca dei padri fondatori: Alto, robusto, ci pare di vederlo ancor ora, quando giocavamo l’uno contro l’altro. Pareva che Tu non dovessi morire mai, Tu, fiero rappresentante della città delle medaglie d’oro. Il Tuo ricordo non ci abbandonerà mai.

Storia e gloria e boria

Restiamo in trepida attesa della cerimonia d’apertura, la prima nella storia che non si svolgerà dentro a uno stadio. Ne ha scritto Giulia Zonca su ‘La Stampa’: Ora che i sei km di storia e gloria e boria e infinito splendore sono sigillati, tutta Parigi sembra stare lì dentro: tra il tappeto rosso e la zona grigia. È il tratto di strada che va dal ponte di Austerlitz al ponte Iena, il palcoscenico della cerimonia che il 26 luglio apre le Olimpiadi lungo la Senna. Mai nessuno aveva osato tanto, scegliere il cuore della città per inaugurare i Giochi.

Nell’immagine: il diploma originale consegnato a Marcello Bertinetti per la vittoria a Parigi, firmato da Pierre de Coubertin (cortesia della famiglia Bertinetti)