Il ritmo intenso di una canzone lenta [Il Flessibile]

di Dario B. Caruso

Il sole che sorge.
Il sole che tramonta.
Un quarto di luna alto sull’orizzonte.
Una notte nera piena di stelle.
Un cielo grigio di pioggia.
Un fiore che sboccia.
La ciclicità del tempo e delle stagioni ci richiama all’ordine, una regolarità antica come l’uomo e spesso dimenticata.

Le ventiquattr’ore che viviamo sono inquinate da un ritmo infernale e una quantità di informazioni tanto sommarie quanto inutili.
Non occorre ricercare spiegazioni astruse e ragioni recondite.
Semplicemente viviamo in superficie e dunque non ci interroghiamo più sulla sostanza delle cose, sulla fatica di un’alba che porta con sé il desiderio di una ripartenza oppure sulla stanchezza liberatoria di un tramonto che accompagna verso il silenzio.

Mi piace il ritmo intenso di una canzone lenta.
Oggi manca, questa sensazione.
Siamo sopraffatti da canzoni pestate e elettronicamente pulite, veloci e dal testo incomprensibile.
A chi servono? e a cosa servono?
Altre domande mi balzano in testa.
Una su tutte: la velocità è indizio di bontà?
La musica è come un viaggio in treno, devi avere il tempo di guardare dal finestrino e godere del panorama.
Un viaggio in galleria non serve a nulla.
Tra un Frecciarossa e l’Orient Express scelgo il secondo.