di Dario B. Caruso
Il nostro Paese sta vivendo un periodo di cambiamenti epocali.
Il processo sarà probabilmente lungo e tortuoso ma di certo difficilmente reversibile.
Per noi cittadini di almeno mezzo secolo, l’idea una federazione di piccoli Stati sortisce un effetto strano, direi inconsueto.
Siamo cresciuti con alcuni elementi imprescindibili: abbiamo fantasticato con il Risorgimento a fianco di Garibaldi, Mazzini, Cavour e altri eroi leggendari; in ogni occasione istituzionale abbiamo celebrato lo Stivale e le due isole maggiori come un corpo unico; ci siamo dati il 1861 come pietra miliare quale inizio di un percorso d’unità.
Altra sarà la reazione per i più giovani e per i giovanissimi, avvezzi a viaggiare nel tempo e nello spazio con facilità e velocità smisurate.
Almeno credo.
Quale differenza può significare per chi non vive confini fisici e barriere culturali?
Quale differenza per chi ha un futuro di fronte?
Del resto è sotto gli occhi di tutti, la nazione Italia fatica a sopravvivere, schiacciata pure dall’incombente europeizzazione.
Nessuno conosce i dettagli della lunga riforma; deve essere discussa e costruita, si parla di anni per il compimento.
Allo stato delle cose l’intenzione di valorizzare le peculiarità di ciascun territorio, la storia, le bellezze naturali, la gastronomia, le tradizioni, può essere vissuta come auspicio.
La globalizzazione di fine secolo scorso ha imposto regole stringenti al mercato e alla società.
Ne abbiamo giovato e sofferto tutti, con i pro e i contro che hanno semplificato la vita da una parte e complicata dall’altra.
La prospettiva futura ci imporrà prima di decelerare, quindi di frenare e infine di fare retro marcia, almeno per alcuni aspetti della nostra vita.
Scuola? Sanità? Queste le due incognite più evidenti.
Ma se si è ormai perduto il significato della parola welfare, come potremo accollare la responsabilità all’autonomia differenziata se il welfare ne soffrirà?
Solo un dubbio, mi frena e mi lascia perplesso.
E cioè quale sia la ragione per cui il governo abbia approvato tale provvedimento nel cuore della notte durante una lunghissima e sofferta seduta.
È pur vero che le scelte migliori possono essere improvvise e dettate da un fuoco di passione dunque la denuncia di scelleratezza e il sospetto dell’inganno sono leciti.
A pensarci bene però quale miglior atto carbonaro e quindi risorgimentale?
Un ultimo dubbio mi attanaglia.
Dovremo cambiare l’inno nazionale? Se i nostri campioni sportivi ci hanno messo tempo per memorizzarlo, vincenti sul podio e incerti nella dizione, chi dirà loro che dovranno ricominciare daccapo?
Confido in un inno federale come quello spagnolo: solo strumentale, il testo lo immagineremo.