di Dario B. Caruso
Pasqua è passata, anche quest’anno.
Mai però come quest’anno le parole della Chiesa sono risuonate inascoltate.
Mi costa fatica pensare alla china che ha imboccato la Terza Guerra Mondiale, un’accelerazione che ci proietta dentro al secondo anno di conflitto e pare che nessuno si sia avveduto di ciò.
Ops, un’esplosione che uccide ma c’è la nazionale di calcio che gioca.
Ops, un bombardamento a tappeto ma esce il nuovo singolo della pop star.
Ops, un potente attacco missilistico ma stasera c’è la nuova fiction.
A forza di mescolare le carte, il castello crolla e tornare indietro appare impossibile.
Ho recitato più volte, nelle recenti funzioni religiose, il Padre Nostro.
Lo faccio a memoria da più di mezzo secolo e continuo a enunciarlo nella formula che ho imparato al catechismo.
Non indurci in tentazione ma liberaci dal male.
Lo so, da qualche hanno papa Francesco ne ha approvato la modifica.
Dopo studi approfonditi la frase viene sostituita con non abbandonarci alla tentazione per omologarla al significato del testo originale greco.
Resto però affezionato alla versione precedente, per una semplice ragione.
Dio che induce in tentazione è quello che ci mette alla prova.
Insomma, essere veri credenti non è un gioco da ragazzi; è necessario superare difficoltà ed è normale che un Dio ti sottoponga ostacoli. Abbiamo esempi illustri.
Ad Abramo viene ordinato di sacrificare Isacco, il proprio figlio.
Davide, prima di uccidere Golia e di diventare re d’Israele, chiede insistentemente a Dio di essere messo alla prova. Detto fatto.
L’apostolo Giacomo dice che mettere alla prova la nostra fede sviluppa la perseveranza, che conduce alla maturità nel nostro cammino con Dio.
Forse che oggi ci siamo imbolsiti anche come cristiani?
L’impressione è che l’adeguamento testuale non sia linguistico ma risponda ad un bisogno: siamo pavidi e disarmati, vigliaccamente mosci in attesa di subire passivi le circostanze, incapaci di dirottare gli sviluppi futuri.
Per questo motivo come cristiano io non voglio solamente qualcuno che mi lanci un salvagente evitando di abbandonarmi alla tentazione, preferisco provare a resistere per rafforzare la fede.
Del resto abbiamo sotto gli occhi fin troppi salvagenti (in senso proprio e figurato) rifiutati; in tutti questi casi non occorre dare responsabilità ad un Dio del cielo e neppure a qualcuno che lo rappresenti sulla terra.
Il mio Padre Nostro non è una pappamolla e se è vero che l’uomo è fatto del Suo stesso respiro possiamo resistere e diventare forti.
Altrimenti, meglio soccombere.