di Dario B. Caruso
Quante volte accade.
Ci lasciamo ingannare dall’apparenza.
Il nostro cervello decodifica un’immagine/impressione virtuale che non corrisponde al soggetto/essenza reale.
Avevo un professore di filosofia, al liceo, di profonda cultura e grande capacità comunicativa, anche un filo paraculo e dunque adorabile, il prof Checcucci.
Proprio in questi giorni mi sono tornate alla mente le sue lezioni relative al pensiero di Parmenide.
Parmenide di Elea, filosofo greco del V secolo a.C., scrisse un’opera che influenzò i pensatori successivi, il poema “Sulla natura”.
I testi filosofici, ancorché quelli di estrazione classica ed ellenistica, raccolgono righe di grande erudizione; forse per i lettori moderni risultano difficilmente comprensibili poiché non immediati, richiedono tempi di concentrazione e attenzione che abbiamo perduto.
Lo affermo interpretando gli eventi, l’esperienza e il paradigma moderno.
Parmenide prende in esame due vie: quella della verità (che fa appello alla ragione) e quella dell’opinione (legata al mondo sensoriale).
La prima conduce all’Essenza, la seconda all’Apparenza.
I significati di alcuni termini si sono mescolati.
È il caso dei termini essere e apparire, complementari per necessità umana, antitetici talvolta.
Oggi il primo è eclissato dal secondo e ciò mi preoccupa profondamente.
L’apparenza si posiziona in primo piano, nasconde l’essenza della quale non si percepisce neppure la presenza nascosta.
Non mi avventuro nelle ulteriori elucubrazioni che ho in testa perché il prof Checcucci mi guarda, in silenzio e con quello sguardo canzonatorio che lo caratterizza domanda:
“Che cazzo pensi, Caruso…?”
“Prof, penso che ho perso l’essenza…”