di Danilo Arona
Di tanto in tanto qualsiasi scrittore necessita di stilare un bilancio sul mondo che si agita dentro. Quando poi scopre che esistono preziosissimi personaggi che lo fanno non solo al posto tuo ma di sicuro molto meglio dello stesso autore, un pochino per vanagloria e un po’ tanto per rendere merito alla genialità di chi analizza, ribatto nella mia rubrica un sunto delle note scritte a suo tempo da Francesco Cerofolini, perno della rivista AXIS MUNDI che è davvero tanta roba. Immodesto, lo so. ma sono pure stufo di essere modesto… Scherzo. O no? No!
Autore poliedrico i cui interessi spaziano dalla critica cinematografica alla narrativa fino alla saggistica dedicata al filone delle realtà alternative, Danilo Arona si è fatto cantore di una particolare e personalissima declinazione dell’horror e del weird che affonda le sue radici nel contesto italiano. Nel suo saggio Possessione mediatica, Arona si chiede se sia possibile che certi media, specialmente quelli audiovisivi, siano in grado di provocare in soggetti predisposti un temporaneo annullamento della coscienza il cui posto viene preso da “qualcos’altro”, in poche parole ciò che in altri luoghi, tempi e culture sarebbe stato chiamato possessione.
È opinione comune che l’immaginario horror e weird non abbiano cittadinanza presso la cultura popolare italiana. Nonostante le numerose opere cinematografiche e fumettistiche divenute di culto anche fuori dai confini nazionali, i detrattori riducono tutto ciò a una mera imitazione dei modelli di marca anglosassone, prodotti figli di una tendenza esterofila piuttosto che di una cultura autoctona. Questa vulgata è stata messa fortemente in discussione negli ultimi anni, un processo culminato con la pubblicazione dell’Almanacco dell’Orrore Popolare a cura di Fabio Camilletti e Fabrizio FoniAttraverso i saggi presentati in questo volume Camilletti e Foni dimostrano che esiste nella cultura italiana una sensibilità all’orrore, al macabro e al soprannaturale che essi battezzano “Orrore Popolare”, e inoltre che questa corrente attraversa come un fiume carsico la cultura della penisola da secoli. L’Orrore Popolare, analogamente al folk-horror britannico, vive nell’intersezione tra opere di finzione, folklore, miti e leggende tanto antichi quanto moderni. Se bisogna trovare nella letteratura contemporanea italiana un autore che abbia attinto a piene mani dall’Orrore Popolare, quello è sicuramente Danilo Arona, un autore che nella sua più che trentennale carriera ha aperto una via italiana all’horror e che gli stessi Camilletti e Foni citano come esempio di Orrore Popolare nell’introduzione al loro volume.Autore poliedrico i cui interessi spaziano dalla critica cinematografica alla narrativa fino alla saggistica dedicata al filone delle leggende metropolitane, Danilo Arona si è fatto cantore di una particolare e personalissima declinazione dell’horror e del weird che affonda le sue radici nel contesto italiano. Nasce nel 1950 ad Alessandria, città che sarà l’ambientazione preferita per i suoi romanzi, una città che Arona stesso descrive così: «Alessandria non è nera, è grigia. Un colore splendido per ambientarci le mie storie. È grigia per le nebbie, per i tanti crimini insoluti, per il carattere degli alessandini». Da piccolo si appassiona prestissimo ai generi horror e thriller, grazie ad una zia che lo porta a vedere questo tipo di film. Il giovane Arona divora racconti del terrore sulle riviste popolari di quegli anni come I racconti di Dracula per poi passare ai classici quali Edgar Allan Poe, H.P. Lovecraft, Richard Matheson e L’esorcista di William Peter Blatty, pur non disdegnando la fantascienza, con romanzi che lui stesso definisce “fantastico quotidiano” come I figli dell’invasione, Gli invasati e Il giorno dei Trifidi.Durante la gioventù Danilo coltiva l’altra sua grande passione, la musica, militando nel gruppo rock dei Privilege come chitarrista. Una passione, quella per la musica rock e blues, che si intersecherà spesso con la sua produzione letteraria perché, come spiega in un’intervista: «In primo luogo, tranne occasioni più che particolari la musica si suona di notte. Ed è la notte l’autentico collegamento tra la musica – va da sé, un certo rock, il blues – e la scrittura, soprattutto se riferita a quei generi in grado di “contenerla” naturalmente come il thriller, l’horror e il noir. E poi la musica apre certe porte, è noto dai tempi dei Doors».Nello stesso periodo Arona inizia a scrivere per alcune fanzine dedicate alla fantascienza come Kronos, dove si occupa di recensioni di film e pubblica alcuni dei suoi primi racconti. Grazie al lavoro sulle fanzine si fa notare da Vittorio Curtoni che lo assolda per la sua storica rivista di fantascienza Robot, per la quale Arona scrive uno dei primi approfondimenti italiani sul cinema di John Carpenter, esperienze che culmineranno nel suo libro d’esordio, Guida al Fantacinema. Nel 1984 esordisce nella narrativa a livello professionale con il racconto La musica di Sam Hain, contenuto all’interno dell’antologia di rock fiction L’hotel dei cuori spezzati. Da allora Danilo Arona ha pubblicato oltre quaranta titoli tra saggi e romanzi. Il presente articolo non vuole e non può passare in rassegna tutta la sua sterminata produzione, ma si concentrerà sulla sua produzione saggistica e sulla sua creazione narrativa più fortunata, ovvero Melissa, il fantasma della Bologna-Padova, cercando al contempo di mettere in evidenza i temi e le idee ricorrenti nella sua opera. Antropologia dell’OrroreNei suoi saggi Danilo Arona affronta tematiche che potremmo definire “di confine”, appartenenti a quella “zona del crepuscolo” in cui confluiscono paranormale, realtà alternative e oscuri casi di cronaca. Una produzione del tutto complementare a quella romanzesca, visto che presenta in forma per così dire grezza idee e tematiche che verranno poi rielaborati dall’autore nelle sue opere di fiction. Nel 1994 viene pubblicato il suo primo saggio di questo genere, Tutte Storie. Immaginario Italiano e Leggende Contemporanee. Muovendosi sulle orme dei seminali lavori di Jan Harold Brunvand, Arona compila un’antologia delle leggende metropolitane più diffuse nell’Italia della prima metà degli anni Novanta.Arona individua nella città contemporanea l’incubatrice di incubi e moderne nevrosi, un brodo di coltura da cui sorgono nuovi e fantasmatici spauracchi: «Così, nata per rendere l’uomo libero e respingere fuori dalla propria struttura ricca di valori simbolici positivi sia i nemici e le malattie, sia le larve di antichi demoni, la città moderna si avvia con una rapidità folgorante a capovolgere i suoi significati ed assumere il volto di un incubo all’interno della quale figure mitiche profonde si presentano con forme nuove e arcaici significati. Contemporaneamente si determina la scissione del leggendario in metropolitano e extrametropolitano, quest’ultimo più legato all’antichità e più intriso di folclore. Ai giorni nostri la storia non cambia. Le città ingoiano i loro protagonisti più deboli e raccontano leggende oscure, perfetti plot oltre l’horror e sconfinanti nel modernissimo splatterpunk, ma al contempo reminiscenze gotiche dei secoli scorsi che si intrecciano con il ritmo subliminale dei videoclip e le discipline multimediali: topi giganteschi, pantere nere, baby sitter assassine, avvelenatori di frutta, propagatrici di Aids, culti satanici, sacrifici umani, cannibali urbani, case infestate e autostoppisti fantasma.»Una delle intuizioni più felici del saggio è infatti proprio quella di fare una distinzione tra leggende urbane e extraurbane. Mentre le leggende urbane incarnano le ansie e le paure associate alla contemporaneità, nelle leggende extraurbane permangono modelli e figure proprie del folklore rurale:«L’esigenza di dividere il comparto leggendario italiani in “urbano” e “extraurbano” corrisponde di fatto a quella scissione del fantastico, cui accennavamo più sopra, intervenuta con la nascita della città moderna: un dualismo che vede nella leggenda contemporanea italiana la metabolizzazione di archetipi anglosassoni e americani fusi con parecchi nuclei originali del nostro più genuino folclore. Una dicotomia sulla quale ha certamente pesato la grande trasformazione avvenuta in seno alla società italiana dal secondo dopoguerra: il progressivo abbandono delle campagne, il riciclaggio di un universo fiabesco e contadino in sistema industriale e razionale, la rinuncia a presenze mitiche imbarazzanti, più o meno soprannaturali e tipiche di una cultura rurale, quali gnomi, folletti, “lumi vaganti” e fantasmi di vario genere. Pur se una netta distinzione non sempre risulterà agevole, si può affermare che in Italia, nella leggenda urbana vivono, ben visibili e verificabili, modelli narrativi americani, mentre quella extraurbana esibisce legami assai più solidi con il tessuto folclorico nazionale.»Da questa commistione tra immaginario americano contemporaneo e folclore italiano arcaico Arona attingerà a piene mani per i suoi romanzi. Soprattutto per quanto riguarda Melissa, variazione sul tema di una delle leggende metropolitane più famose di sempre, quella dell’autostoppista fantasma. Un’altra idea assai interessante viene esposta proprio all’inizio del libro. L’autore si chiede se certe storie o leggende possano “crescere” a tal punto da acquisire un sorta di concretezza, una forma tangibile nella realtà. Per spiegare quest’idea Arona ricorre a una leggenda andina:«Un’antica leggenda diffusa nelle Ande racconta di un tale che, passando per una mulattiera, si vede strappare via il cappello dalla furia del vento. L’uomo per un po’ tenta di recuperarlo, ma il vento è molto forte e il copricapo cambia continuamente direzione, saltando ora qua ora là, così alla fine l’uomo lascia perdere e se ne va. Dopo un’ora sullo stesso sentiero, transita un secondo uomo che, visto il cappello saltellare in tutte le direzioni a causa del vento, scappa in paese giù a valle e racconta a tutti di uno spirito malvagio che sulla mulattiera prende la forma di cappello per terrorizzare i viandanti. Dopo una settimana il cappello inizia veramente a inseguire le persone che passano per quella strada, in quanto la corale paura degli abitanti del villaggio ha avuto l’effetto di materializzare l’evento, oggetto di tanto timore. Metafora puntuale di leggende che di tanto in tanto riescono a trasformarsi in realtà, questo mito antico e sempre attuale e trova precise conferme tanto in psicanalisi che nella medicina psico-somatica: in quella mulattiera si è creata una forma-pensiero così potente, che l’evento temuto si è realmente generato.»
continua-