di Dario B. Caruso
Di fronte ad alcune situazioni ci troviamo a vivere un’alternanza di sentimenti, talvolta contrastanti.
È normale, penso.
I sentimenti sono colori su una tavolozza che si completano e danno infine una cromia varia e armonica.
Ci lamentiamo spesso, a scuola e nella società.
I giovani d’oggi sono apatici, distratti, dipendenti dai social e quindi affetti da FOMO (fear of missing out).
Hanno paura di essere tagliati fuori e lo fanno isolandosi.
Per noi adulti ciò appare incomprensibile e scatena una rabbia che esprimiamo talvolta con azioni severe e repressive, talaltra con comprensione e leggerezza.
Personalmente propendo per una severità ferma e misurata. Lo faccio pensando alle mie esperienze di figlio, quando i rimproveri incidevano prontamente sull’errore e il messaggio giungeva forte e chiaro.
Poi mi fermo.
La rabbia si tramuta in pena.
Il malessere dei nostri adolescenti non si può paragonare a quello di altre generazioni.
Loro sono tristi, tutti irrequieti, molte volte sfidanti, in rare occasioni violenti.
Mi fermo ancora.
La pena ritorna ad essere rabbia.
È possibile che i ragazzi siano senza motivazioni e senza stimoli poiché non abbiamo avuto la capacità di infonderli in loro.
Il mondo adulto – che poi è quello che fa la storia – si preoccupa di creare lacci e lacciuoli, perdersi in tecnicismi e burocrazia, creare una nuova regola visto che non riusciamo a fare rispettare quella esistente.
In un mondo di sole regole noi adulti, già assuefatti ci diciamo che una più una meno non ci cambierà l’esistenza.
Agli adolescenti sì, loro stanno morendo dentro.
La mia tavolozza ricca di colori si contrappone a quella di Dario quindicenne di oggi: ha il solo colore grigio.
Come posso non essere triste?