Le mille vite di Bernard Tapie, il Berlusconi di Francia [Lettera 32]

di Beppe Giuliano Monighini

Maggio 1993, sabato 22. Sui giornali il racconto dell’anticipo, abbastanza burrascoso, che il Milan ha pareggiato 1-1 a Cagliari, un passo avanti verso la vittoria di un altro campionato, secondo consecutivo con in panchina Fabio Capello, nonostante le difficoltà affrontate dalla squadra di Berlusconi nel girone di ritorno, tra l’inseguimento dell’Inter allenato da Osvaldo Bagnoli e i problemi fisici del suo fuoriclasse Van Basten. Sui giornali anche il racconto del match che ha assicurato la vittoria del campionato francese all’Olympique de Marseille, 1-0 in trasferta a Valenciennes, gol del solito Bokšić contro una delle ultime in classifica. Tutto normale? No, a quanto pare. Si parla di «Marsiglia nella bufera» e di una «bomba che ha squassato il club» per la denuncia di un giocatore avversario che ha segnalato all’arbitro un tentativo di corruzione. Il giornalista chiosa: «Non par vero a molti di far bagarre attorno a Tapie, da sempre in mischia tra politica, affari e sport.»

Milan e Olympique de Marseille pochi giorni dopo si affronteranno per la finale della Coppa dei Campioni. Non è il primo incrocio tra le due squadre, e il precedente di due anni prima era stato clamoroso. D’altronde cosa può esserci di normale quando si “scontrano” l’équipe di Silvio Berlusconi e quella di Bernard Tapie?

La bambolina che fa no

Bernard Tapie da noi è stato sovente definito “il Berlusconi di Francia”. Le sue mille vite sono raccontate da una recente serie tivù, si può vedere su ‘Netflix’. In effetti i parallelismi non mancano certo, fin dagli inizi: se uno cantava sulle navi da crociera, l’altro proprio come cantante era stato per la prima volta noto, o quasi, incidendo diversi 45 giri con la Rca e anche vincendo un concorso canoro televisivo negli anni sessanta, dove il rivale di Bernard Tapy (cognome anglicizzato per la moda della musica giovane) era un non ancora celebre Michel Polnareff.

Solo che nessuno continuò ad ascoltare Tapy e ‘Passeport pour le soleil’, versione – lontana dall’originale – di una canzone patriottica statunitense, raro esempio di un brano a favore (sic!) della guerra del Vietnam, inneggiante i “Berretti verdi”, e infatti finirà nel film omonimo con John Wayne.

Ben diversamente andrà a Polnareff con la sua ‘La Poupée qui fait non’. Storia davvero degna dell’epoca: disco del 1966, ci suonano due futuri Led Zeppelin (Jimmy Page e John Paul Jones), avrà versioni in tutto il mondo. Da noi, oltre all’autore, ‘Una bambolina che fa no, no, no’ la incidono i Quelli, gruppo beat milanese con due futuri PFM (Francone Mussida e Franz Di Cioccio), più un cantante di nome Antonio Teocoli, cioè il Teo cabarettista famoso (anche) grazie alle televisioni commerciali di Berlusconi.

Messe da parte le velleità artistiche, i due futuri presidenti di Milan e OM nei rampanti anni ottanta conquistano la ribalta da imprenditori, con imprese in cui entrambi mettono coraggio, ottimismo e una notevole spregiudicatezza.

Luci a Marsiglia

Nella primavera del 1991 il Milan, detentore della Coppa dei Campioni, sta faticando e i rapporti nello spogliatoio sono degenerati, in particolare non è un mistero la forte reciproca antipatia tra “il cigno di Utrecht”, il fuoriclasse Marco Van Basten e “l’omino di Fusignano”, l’allenatore Sacchi.

L’OM sta vincendo il terzo consecutivo campionato, anche se l’obiettivo chiaro di Tapie, proprietario dal 1986, è quella “Coppa con le orecchie” che Berlusconi, padrone del Milan dallo stesso anno, ha già alzato due volte.

Il sorteggio li mette di fronte nei quarti di finale e la partita di andata, in casa rossonera, va bene per i “phocéen” che strappano un pareggio 1-1, al gol di Gullit risponde Jean-Pierre Papin, e probabilmente quella sera stessa B. decide che se lo comprerà.

Ma se le “luci a San Siro” splendono soprattutto per i francesi, sono le “luci a Marsiglia” a rimanere nella storia del calcio. Con l’OM avanti sul campo, gol di Chris Waddle, arriva un parziale blackout a pochi minuti dal triplice fischio che Adriano Galliani cerca di sfruttare – come la famosa nebbia di Belgrado di qualche anno prima – per rimediare a una sconfitta sul campo con una vittoria a tavolino. Stavolta non gli andrà bene, e non funziona il ritiro della squadra ordinato, con impetuosa irruzione sul terreno del Velodrome, proprio dall’astuto Galliani, non sapremo mai se dopo essersi consultato con il suo padrone. Commenta a caldo un cronista: «La figuraccia di mercoledì sera resterà a lungo nella storia di questa società». Mentre Tapie ne approfitta per elogiare il suo simile italiano: «Sono convinto che le cose sarebbero andate diversamente se Berlusconi fosse stato qui: lui è un gran signore».

Il giuoco del calcio

Ottenuto enorme successo imprenditoriale, con una altissima considerazione di sé, viene naturale a entrambi ricercare ulteriore fama e visibilità: e dove se non in politica e nel gioco – pardon, “giuoco” come diceva B. – del calcio?

Le cose in politica ai due vanno diversamente: Tapie ne è una meteora, presto messo da parte, i suoi mandati da ministro durano complessivamente poco più di quattro mesi. Gli anticorpi del sistema democratico nella Francia di Mitterand sono evidentemente ben diversi da quelli dell’Italia in piena Tangentopoli. Del Tapie politico si ricorda soprattutto la grande sfida al detestato Jean-Marie Le Pen e all’estrema destra: «Si l’on juge que Le Pen est un salaud, alors ceux qui votent pour lui sont aussi des salauds». Invece B. (anche) con la destra xenofoba e nostalgica costruirà e percorrerà la lunga carriera politica e governativa.

Nel giuoco del calcio, come il Milan pieno di stelle, così viene costruito l’OM. E il 26 maggio 1993, se da una parte ci sono Maldini, Baresi, Donadoni, Rijkaard, Van Basten – di certo non l’immagina ma sta giocando l’ultima sua partita – dall’altra c’è il capitano Didier Deschamps, che a 24 anni ha già la maturità e l’intelligenza che lo porteranno ai successi da calciatore e da allenatore. C’è Abedi Ayew Pelé, della cui età non siamo invece certi, ma che conosciamo come uno dei più grandi campioni africani di sempre. C’è lo spettacolare portiere Fabien Barthez, non ancora baciato sulla pelata che presto verrà. Ci sono vecchie o future conoscenze del nostro calcio, da Rudi Voeller a Marcel Desailly, ad Alen Bokšić che a suon di gol non fa rimpiangere Jean-Pierre Papin, passato appunto ai rossoneri.

À jamais le premiers

Come andò la finale della Coppa dei Campioni 1992-93, giocata all’Olympiastadion di Monaco di Baviera, è cosa nota, a caldo così raccontata:

La sorpresa più grossa della stagione è avvenuta ieri sera all’Olympiastadion: il Milan è stato battuto per 1-0 dal Marsiglia e ha perso la Coppa Campioni. Allo squadrone rossonero ancora una volta è stato fatale il Marsiglia, che nel marzo ’91 aveva già eliminato il Milan nei quarti della Coppa in una partita divenuta famosa perché dopo un guasto ai riflettori i rossoneri negli ultimi minuti non si ripresentarono in campo. Il gol decisivo è stato segnato allo scadere del primo tempo dal difensore Boli con un colpo di testa su calcio d’angolo. Insomma: ieri sera ancora il Marsiglia e per Berlusconi ancora una sconfitta contro Tapie.

Fu un successo eccezionale, e come sottolineò il telecronista francese con tipico sciovinismo, dopo 37 anni la Coppa, che naturalmente avevano inventato loro, tornava a casa per la prima volta. La gente che aveva invaso il Vieux Port di Marsiglia festeggiava follemente. I marsigliesi sarebbero stati “per sempre i primi”, slogan subito coniato e ancora usato per sfottere gli odiati parigini quando ogni anno, puntualmente, non riescono a vincere la “Coppa con le orecchie”.

Bernard Tapie, dopo – anzi, durante – mille vite, aveva infine trovato una immortale, definitiva, consacrazione. Inevitabile che tutto, implacabilmente, per lui stesse per cambiare. In peggio, ovviamente.

Costellazione, meteora

J’ai effectivement dit à Tapie la phrase suivante: «Vous auriez pu être une constellation, vous avez été un météore.»

Una delle scene più affascinanti della serie su Tapie è il lunghissimo, teatrale faccia a faccia con il giudice di Valenciennes che indaga sulla corruzione della partita di Ligue 1 del turno precedente la finale di Champions.

L’Olympique de Marseille doveva vincere tutto, così si racconta nella serie, anche per non rischiare di consegnare lo scudetto al PSG, e per sostenere le rinnovate ambizioni politiche di Bernard Tapie. Così la squadra più forte di Francia corruppe giocatori di una squadretta che lottava per salvarsi.

Éric de Montgolfier, che ha origini alto borghesi (mentre sono fieramente popolari quelle di Tapie) ma era “solo” un magistrato di provincia, aveva in realtà fama di essere inflessibile, veniva definito “giustizialista”, proprio il termine che così tante volte abbiamo sentito usare contro i giudici delle tante cause contro Berlusconi.

Pure in questo caso è cosa nota come andò: il 3 febbraio del 1997, mentre il Milan in cui è tornato ad allenare Sacchi fatica, e B. fa suo malgrado il leader dell’opposizione, pure per “colpa” dei giudici, Tapie inizia a scontare la sua condanna nella prison de la Santé.

La condanna fu di due anni, di cui otto mesi senza condizionale (e 162 giorni scontati). Molti anni dopo il giudice de Montgolfier, in un’intervista televisiva, ammetterà che si era trattato di una sentenza influenzata dalla figura dell’imputato: «S’il ne s’était pas agi de Bernard Tapie, il ne serait pas allé en prison pour cette affaire. Les faits ne le méritaient pas. Il a payé pour d’autres raisons.»

L’Olympique de Marseille aveva già pagato, con la revoca dello scudetto e la retrocessione, e continua a pagare sul campo perché dopo la fine dell’era Tapie i successi sono stati molto minori. Rimane quell’À jamais le premiers, per sempre i primi, da buttare in faccia agli odiati parigini.

Così come rimane il fatto che di Bernard Tapie e di Silvio Berlusconi possiamo serenamente dire che sono stati entrambi costellazione, non meteora.

===
“Campione per qualcuno, ciarlatano per altri”, come leggiamo nel coccodrillo di The Guardian, Bernard Tapie è morto per primo, a 78 anni, nell’ottobre del 2021. Nel frattempo è stato anche attore, è tornato a cantare, ha aggiunto altre vite alle mille raccontate nella serie tivù, che inizia e finisce con la sua incarcerazione. A Marsiglia è tuttora idolatrato. “Brillante a conquistare il potere, disastroso a gestirlo” per il coccodrillo di The Guardian, Silvio Berlusconi è morto nel giugno del 2023, dopo essere stato più a lungo di tutti Presidente del Consiglio repubblicano. Venduto il Milan, i cui tifosi ancora lo adorano, ha persino portato in serie A per la prima volta nella storia il piccolo Monza.