Intimidazioni [Il Flessibile]

di Dario B. Caruso

Siamo tutti condizionati dal pensiero altrui.
Soprattutto quando gli altri vogliono imporre le proprie idee attraverso la forza.
È facile arrendersi al ricatto e alla prepotenza se sei una persona perbene, cresciuto all’ombra di princìpi sani, indirizzato a riconoscere i doveri prima ancora dei diritti.
Appunto, i doveri prima dei diritti.
Questo mondo non è di conforto poiché oggi più che mai – dal momento che calpestiamo questo suolo – ci troviamo dinanzi alla regola dell’intimidazione.

L’intimidazione è una minaccia che ha lo scopo di incutere timore per far desistere da un’azione attraverso lo stimolo della paura (cito testualmente da Treccani).
Oggi le intimidazioni non hanno più questo nome, ci assorbono in una normalità spaventosa e per questa ragione confondiamo le richieste con le minacce o – peggio – accettiamo le minacce alla stregua di richieste.

Esempio 1
Se a scuola gli insegnanti chiedono la consegna di un compito, magari reiterata nelle settimane, si rischia di essere additati come pretenziosi.

Esempio 2
Se per usufruire del sistema con l’aggiornamento più recente abbiamo bisogno di acquistare l’ultimo modello di smartphone, questa è un’esigenza di lavoro o di studio o di chissà cos’altro.

I due esempi fanno il paio, ci raccontano di quale sia la confusione che affrontiamo quotidianamente in ogni frangente della nostra vita.
Mio papà (che non è propriamente un boomer) ogni anno maledice le pay tv; è appassionato di calcio e a fine agosto si pone sempre lo stesso dilemma: per questa stagione a chi dovrò pagare il pizzo?
E paga.
Tutto – aggiungo io – per vedere partite mal giocate da giocatori mal preparati da allenatori discutibili.

Ricordo un Ministro della Repubblica che pochi mesi fa confuse l’essere umili con essere umiliati. Purtroppo le parole giocano brutti scherzi e la povertà lessicale non rema a nostro favore se non sappiamo distinguere due cose simili nella forma ma opposte nella sostanza.
Prepariamoci dunque a nuovi sonori schiaffoni sulle gote, schiaffoni che noi accetteremo come carezze di una madre premurosa.