di Danilo Arona
Nel magnifico Forte di Bard in Valle d’Aosta è ancora visitabile fino al 17 settembre una mostra che nessun cinefilo dovrebbe lasciarsi scappare, dedicata al “dietro le quinte” fotografico del leggendario film di John Huston Gli spostati, opera del 1961 con Marilyn Monroe, Clark Gable, Eli Wallack e Montgomery Clift. Esposizione di eccezionale interesse resa possibile dall’Agenzia fotografica Magnum Photos che nel contesto della strategia promozionale del film del film ottenne accesso esclusivo al set e alle location delle riprese.
Come leggiamo sui materiali stampa della mostra, la Magnum Photos inviò sui diversi set dislocati in Nevada – nella città di Reno, al Mapes Casino e presso il Pyramid Lake – i fotografi più talentuosi dell’epoca, vere e proprie icone del Novecento: Eve Arnold, Cornell Capa, Henri Cartier-Bresson, Bruce Davidson, Elliott Erwitt, Ernst Haas. Erich Hartmann, Inge Morath e Dennis Stock. Ognuno di loro immortalò i membri del cast durante la lavorazione, fissando per sempre con immagini di inestimabile valore i momenti delle riprese e l’atmosfera sul set.
Quando vidi Gli spostati – al cinema Dante di Alessandria con mio padre convinto di avermi condotto a vedere un classico western! -, non avevo più di 12 anni e non ero ovviamente in grado di apprezzare perché dal mio punto di vista non accadeva quasi nulla. Eppure quanta roba. La ricca sceneggiatura di Arthur Miller, allora poco considerata, un bianco e nero malinconico e straniante, tre attori che andavano ancora per la maggiore e che da lì a poco avrebbero abbandonato la scena e il pianeta, una ballata triste su personaggi perdenti sullo sfondo di un’America in fase di trasformazione. Altro che (old) western… Invece quasi un film d’avanguardia ambientato nel mondo dei rodei con personaggi cinici e disillusi che si dedicano a una caccia spietata di cavalli liberi e selvaggi, un Ultimo buscadero ante litteram. Com’è stato giustamente scritto su LongTake, rivista on line, Gli spostati è “uno dei film maledetti per eccellenza nella storia del cinema, sublime canto del cigno per quasi tutti suoi interpreti principali”.
“Il grande drammaturgo Arthur Miller, all’epoca marito della Monroe, scrive una sceneggiatura densa, amarissima e semplicemente splendida, che Huston trasforma in amara elegia post western in memoria di un’America scomparsa, ballata malinconica su un gruppo di outsider alle prese con le ferite laceranti della vita. Ognuno degli attori mette qualcosa di sé nel personaggio che interpreta e Marilyn, in particolare, regala una delle sue migliori interpretazioni. Fu l’ultima pellicola sia per Clark Gable, morto d’infarto nel 1960 poco dopo le riprese, che per la stessa Marilyn Monroe, scomparsa nel 1962 (anche se lei partecipò nello stesso anno a Something Got To Give di George Cukor, rimasto incompiuto). Clift girò ancora una manciata di film (tra cui Freud, passioni segretedello stesso Huston, 1962) e perì nel 1966, stroncato da un attacco cardiaco e da una vita colma di eccessi.”
Ricordo, vagamente – è il caso di ricordarlo, che mio padre all’uscita dal cinema quasi mi chiese scusa per avere, secondo lui, sbagliato film. C’erano stati sì un sacco di cavalli ma nessun indiano né morto né vivo. Clark Gable, in un certo senso e in una certa filmografia, era sempre stato una garanzia nonché una griffe. Con papà avevo visto Stella solitaria Il cacciatore del Missouri e Gli implacabili, ignorando che ne aveva girati decine di altri che nulla spartivano con il West. Ma che volete da un cinefilo undicenne?
Però qualcosa mi rimase. Pur “piccolo”, mi piacevano un sacco i film che ammiccavano ad “altro”. Dentro Gli spostati c’erano mondi in cambiamento, un pesante senso della morte incombente, la malinconia esistenziale e profilmica di generi al tramonto e quel deserto tanto significante. Pochissimo tempo dopo Monroe e Gable lasciarono il pianeta non proprio serenamente e Gli spostati si trasformò in un significativo e commovente epitaffio.