di Dario B. Caruso
Un giovane collega, laureato in architettura, mi racconta che negli anni di università all’ateneo genovese un professore raccomandava gli studenti ponentini di non attraversare il ponte Morandi, piuttosto di uscire al casello Aeroporto.
“Quel ponte non è sicuro. È noto a tutti gli addetti ai lavori” diceva.
Detto fatto, nell’agosto del 2018 accadde quel che accadde.
Oggi le verità stanno venendo lentamente a galla, magari non tutte ma almeno una buona parte.
Da quel crollo le nostre autostrade sono disseminate di cantieri.
Non esiste un solo viadotto che non richieda interventi di ristrutturazione o sia in rifacimento.
È incredibile come sia stato ignorato il problema fino a quando il problema non è diventato drammaticamente il problema.
Ricordate le Torri Gemelle?
Analogamente: fino a quel giorno potevi salire in aereo sottoponendoti a stanchi controlli routinari; da allora invece dal check in non sarebbe passata neppure una limetta per unghie, un flacone di dopobarba, una forbicina per vibrisse in eccesso.
Ricordo le sceneggiate per una muta di corde di chitarra, tempo sprecato a spiegare che non sarei mai entrato nella cabina di pilotaggio brandendo un mi cantino con l’intenzione di strangolare l’equipaggio.
Scappano i buoi? Viva i buoi!
Il monte Bianco si trova di fronte ad un bivio: costruire una seconda canna del traforo.
Il sì di molti ambienti vede contrapposto il no di altri ambienti, soprattutto transalpini.
Per il momento l’unica certezza (pare) è che per diciotto anni, a partire da quest’anno, il tunnel resterà chiuso dai primi di settembre a metà dicembre poiché le tracce di amianto individuate nei manufatti del tunnel obbligano ad un significativo intervento sulle strutture in cemento armato, per rispettare la stringente normativa francese e italiana.
Ciò comporterà un disagio non indifferente per i transfrontalieri per necessità (lavoratori, studenti, familiari), per il trasporto di merci (furgoni, autocarri, tir) e per il flusso turistico (di gran lunga prevalente verso l’Italia).
Ci aspettano tempi duri.
La civiltà del cemento si dimostra friabile e cade a pezzi sotto i nostri occhi.
E noi, impotenti, ci arrabattiamo, consumiamo pneumatici e speriamo che i ponti, i viadotti e i trafori si sgretolino solamente dopo il nostro passaggio.