di Dario B. Caruso
Già dai tempi del liceo e dell’università ho sempre provato un certo imbarazzo di fronte ad alcune parole.
Ad esempio la parola implosione, usata in alcuni argomenti relativi alla fisica, mi metteva a disagio.
Faticavo non a comprenderne il significato ma ad immaginarla come fenomeno tangibile.
Il pensiero che un corpo potesse collassare verso il suo interno piuttosto che smembrare la propria materia tutt’intorno in maniera sconfinata: che ansia.
Io che appena salito sul sedile posteriore di un’auto a tre porte chiedo di scendere.
Il Titan era una scatola carica di sardine votate al sacrificio.
Lo abbiamo scoperto dopo la tragedia.
Prima di ciò potevamo considerarlo un semplice vezzo per miliardari amanti dell’avventura o forse stanchi del vuoto benessere che li circondava.
Già il nome del sottomarino non lasciava ben sperare, troppo assonante rispetto al transatlantico leggendario.
Insomma, anche questa navicella entra nella leggenda a causa di una pressione centinaia di volte superiore a quella terrestre: implosione.
Da oggi, a 3.800 metri di profondità gli appassionati di immersioni potranno visitare due relitti.
In superficie registriamo una seconda implosione.
Il governo Meloni, dopo la scomparsa di Silvio Berlusconi, soffre di pressione alta. Non siamo ancora ai livelli di guardia ma le ultime vicende romane sembrano avallare un’ipotesi elaborata da molti politologi: il Berlusca nazionale rappresentava quel baricentro che allo stato attuale sembra sia venuto meno.
Ecco che le tre forze della coalizione di maggioranza divengono fluide. Dall’esterno Calenda e Renzi appaiono adattare un’altra volta la consistenza delle loro formazioni per inserirsi nelle scanalature apertesi e occupare qualsiasi interstizio.
Il rischio è l’ipertensione politica: implosione?
Meno drammatica per le vite umane coinvolte ma estremamente drammatica per il Paese.
Conclusione.
Meglio esplodere dalla gioia che implodere per qualsiasi ragione.
C’è bisogno di spazio.