Alessandria e il nuovo ospedale. Progetto di sviluppo o di scontro politico? [Centosessantacaratteri]

di Enrico Sozzetti

Al contrario di quanto accaduto a Novara o Cuneo, nel capoluogo finora non è stato organizzato alcun tavolo istituzionale

Ospedale nuovo di Alessandria. Sì, ma dove? A dispetto del tempo che scorre, si sta assistendo ancora a un confronto – scontro molto politico, dove gli argomenti tecnici sono inevitabilmente piegati agli obiettivi delle amministrazioni. Ma la vicenda alessandrina sta assumendo toni sempre più surreali perché, al contrario di quanto avvenuto in altre città piemontesi, come Cuneo o Novara, dove i progetti dei nuovi ospedali sono in fase di avvio, qui non c’è ancora stato un atto unitario e corale. Non sono state organizzate né Conferenze di intenti, né Accordi di programma. Ognuno ha continuato per la sua strada, senza confronti formali e istituzionali.

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Tutto inizia così

Il 13 marzo arriva, a sorpresa, l’annuncio (non bisogna comunque mai dimenticare che nel 2024 si voterà per il rinnovo dell’amministrazione regionale) che la Regione Piemonte ritiene «che l’area Borsalino ubicata nel quartiere Galimberti sia quella più idonea ad ospitare il nuovo ospedale di Alessandria». Lo dicono il presidente, Alberto Cirio, e l’assessore alla Sanità, Luigi Icardi, al termine della riunione con la rappresentanza della Conferenza dei sindaci dell’Asl, i direttori generali dell’azienda ospedaliera, Valter Alpe, e dell’Asl, Luigi Vercellino, e il rettore dell’Università del Piemonte orientale, Gian Carlo Avanzi. Peccato che durante la Conferenza dei sindaci nessuno si sia subito alzato per chiedere chiarimenti. Alessandria per prima.

Il nuovo ospedale occuperebbe circa novantaquattromila metri quadrati e avrebbe una dotazione di cinquecentotrentotto posti più una novantina di ‘posti tecnici’.

Ma come è stata scelta la zona? Da una ricostruzione avvenuta nei giorni successivi all’annuncio è emerso che è stata individuata ‘sulla carta’, con l’amministrazione comunale non c’era stato confronto e nemmeno contatti con i proprietari dei terreni (peraltro a destinazione agricola).

Poi c’è la questione viabilità. Sempre la Regione ha ammesso di essersi basata per la decisione sulla presenza della tangenziale e di collegamenti urbani, ma di non conoscere in dettaglio i flussi quotidiani di traffico. Ma se è vero che via Moccagatta è connessa con la tangenziale e con la viabilità ordinaria, è altrettanto vero che tutte le strade dovranno essere potenziate dato che mediamente sono alcune migliaia le persone che ruotano quotidianamente in ospedale. E senza contare che dovrà essere collegata direttamente anche la centrale del 118 attraverso un ipotetico percorso che passerebbe a ridosso di un’area boschiva e terreni di proprietà privata. Insomma, i nodi da sciogliere, compreso quello della modifica urbanistica necessaria e che comporta tempi certo non rapidissimi, sono ancora tantissimi.

Dopo oltre un mese e mezzo il Comune di Alessandria trasmette le osservazioni, proponendo, in alternativa a quella del Galimberti, una zona nel quartiere Europista (la cosiddetta “area Pam”) che presenta, a giudizio del sindaco Giorgio Abonante, «migliori caratteristiche fisiche e geomorfologiche, minore impatto ambientale, minori costi di attivazione sia per interventi infrastrutturali, sia per adempimento normativi e variante urbanistica». Quindi arriva la successiva valutazione regionale. E le carte si rimescolano con la Direzione Opere pubbliche, Difesa del suolo, Trasporti e Logistica della Regione Piemonte che risponde così: «Dal confronto tra tutti gli elementi considerati (eventi storici, modellistica idraulica, pianificazione di bacino) si rileva che, sotto l’aspetto della pericolosità idraulica, l’area originariamente individuata presenta una maggiore idoneità alla realizzazione dell’ospedale anche rispetto al nuovo sito proposto». Il quadro prospettato dal Comune «appare non compatibile con la realizzazione di un nuovo ospedale, anche in considerazione dell’elevato livello strategico che questo dovrà rivestire in termini di gestione delle emergenze». Quindi Icardi richiama anche la «manifestata contrarietà dell’Università del Piemonte Orientale, che ritiene imprescindibile la vicinanza dell’ospedale al Campus universitario». Critica ribadita durante un incontro politico della Lega lunedì sera ad Alessandria.

Da Palazzo Rosso intanto assicurano che entro giugno, e seguendo i percorsi istituzionali, verrà concluso l’iter di valutazione (prevede, stando agli impegni assunti, un esplicito voto in Consiglio comunale), consegnando alla Regione un documento «che la lascerà libera di fare quello che riterrà giusto fare». Intanto sul fronte della riduzione del rischio idraulico alcune valutazioni tecniche divergono. E le carte sembrano non aiutare.

I tempi e i costi

Entro il 30 settembre dovrà essere assegnato l’incarico per il progetto di affidabilità tecnico – economica (è anche il termine ultimo per presentare un’eventuale manifestazione di interesse da parte di privati per realizzare l’opera in partnership con il pubblico) che vale tre milioni anticipati dalla Regione e che dovrà essere consegnato entro il mese di giugno del 2024. Il progetto definitivo dovrà essere pronto entro la fine di dicembre del 2025 per consentire la successiva consegna del cantiere e il via ai lavori. Tecnicamente è l’Inail che compra l’area, e il progetto, dalla Regione e la affitta per una ventina di anni. L’inserimento del nuovo ospedale di Alessandria nei piani di investimento immobiliare dell’Inail risale per la prima volta all’aprile del 2021. La cifra? Sempre trecento milioni. Anche se è la stessa Regione a stimare «un costo dell’opera di circa 370 milioni cui vanno aggiunti gli eventuali maggiori costi dovuti all’incremento del prezzo dell’energia e delle materie prime che potranno comunque essere coperti grazie a una convenzione con Inail che consente alla Regione di ridistribuire le risorse risparmiate da altri interventi realizzati con forme di finanziamento alternative a quella dell’Inail». La lievitazione dei costi è un classico. In parte comprensibile, in parte meno. Basti pensare che per la Città della Salute di Novara, oltre ai molti anni trascorsi prima di arrivare al nuovo bando di gara che scadrà ad agosto, l’incremento è stato di oltre cento milioni rispetto alle cifre previste inizialmente. Ora l’investimento è superiore ai 400 milioni, metà coperti con fondi pubblici e metà da investimento privato.

Ad Alessandria per il momento non esiste una valutazione (anche perché non c’è ancora una sede definitiva) relativa ai costi per adeguare la viabilità, realizzare le opere accessorie e potenziare i servizi, a cominciare dai trasporti.

L’idraulica che arranca

L’adeguamento 2022 del Piano di assetto idrogeologico (Pai) è l’altro fronte aperto. Il dirigente comunale Pierfranco Robotti parla di un decreto «pesante» per Alessandria e per questo motivo il Comune ha commissionato uno studio «per sviscerare tutti gli aspetti». L’analisi presentata da Robotti in sede di Commissioni consiliari si può riassumere così. L’area ‘Borsalino’ «è inedificabile» ed è necessaria un’apposita variante (tempo stimato: tre anni). Il paragone tra i costi è sintetizzabile in questo modo: sedici milioni per viabilità e opere di difesa per l’area individuata dalla Regione; un milione per la chiusura dei fornici per l’area ‘Pam’. Certo, restano da realizzare le opere globali di messa in sicurezza dell’asta della Bormida (che riguarda entrambe le zone interessate dal progetto), ma qui i costi sono elevatissimi e il Comune chiama in causa direttamente la Regione e poi lo Stato. Tra l’altro la questione interessa sia la messa in sicurezza della città dal punto di vista idrogeologico, sia la costruzione del secondo ponte sulla Bormida i cui costi sono molto aumentati dopo l’aggiornamento della mappa dei rischi redatta dall’Autorità di Bacino e l’aumento dei prezzi.

Le aree per Robotti comunque «sono utilizzabili entrambe, ma la ‘Pam’ ha minori criticità». E il rischio idraulico? «Lo studio dell’Università di Padova usato per l’aggiornamento del Pai è giudicato un po’ superficiale dagli addetti ai lavori». In conclusione, per la Regione quanto previsto dal Pai per l’area ‘Pam’ mette a rischio l’insediamento, per il Comune no. E lo stesso vale per la zona ‘Borsalino’. Chi ha ragione?

E dei contenitori che si fa?

Ridisegnare urbanisticamente un’area intorno alla quale ruotano oltre duemila dipendenti, migliaia di pazienti, fornitori e servizi non è uno scherzo. Come non lo è gestire i contenitori vuoti. La Regione pare che nemmeno su questo fronte abbia avviato per ora un confronto con l’amministrazione comunale. Quindi cosa se ne farà del vecchio ‘civile’ quando entrerà in funzione il nuovo ospedale? Sempre Icardi: «» I locali dell’attuale Civile non resteranno vuoti. Saranno la sede di tutte le attività territoriali. Il nuovo ospedale si occuperà di acuzie; la post-acuzie, la cura della cronicità, casa e ospedale di comunità, piastra ambulatoriale, servizi amministrativi saranno svolti in parte nell’attuale Santi Antonio e Biagio». Due precisazioni a margine. La prima. L’edificio, vincolato nella parte storica che si affaccia su via Venezia, è di proprietà dell’azienda ospedaliera e dovrà allora essere trasferito all’Asl Al che è competente per i servizi territoriali. Seconda. L’immobile del ‘civile’ è enorme. La riunificazione in una sola sede delle attività dell’Asl non riempirà che una minima parte degli spazi. Il resto dovrà essere abbattuto. Per fare cosa? Per ora è buio pesto. Così come lo per gli attuali edifici occupati dall’Asl (basta pensare al ‘Patria’ come esempio). Che fine faranno? Come verranno riconvertire le aree? A quali costi? Anche in questo caso non c’è stato finora alcun confronto tra Regione e Comune.