di Danilo Arona
(su Gian Maria Panizza)
Scimmiottando il linguaggio di uno scrittore-feticcio quale H.P.Lovecraft – che in questa sede vuole soltanto sottolineare la nostra condivisa passione per il magnifico solitario del Rhode Island, conosco Gian Maria Panizza da così tanti “eoni” che nemmeno ricordo quanti. Ma di una cosa sono certo. Panizza e io facciamo parte per diritto di nascita di un sodalizio non proprio immaginario che fra certi particolari addetti ai lavori – vedi i membri torinesi del Club Villa Diodati – è soprannominato “Le Ombre Lunghe” comprendente in prima istanza gli attori Peter Cushing, nato il 26 maggio 1913, Christopher Lee, 27 maggio 1922, e Vincent Price, 27 maggio 1911. A completare all’inizio e alla fine l’ideale cinquina: Panizza, nato il 25 maggio 1952 e me medesimo, nato il 28 del ’50.
Dove vuole parare il tendenzioso discorso? Con evidenza trattasi di persone nate negli stessi giorni e ovviamente in anni diversi, ma per chi crede nell’astrologia che in ogni caso non trascura le indicazioni caratteriali, al di là delle logiche differenze professionali, si tratta di soggetti che hanno amato e amano le tenebre, artisticamente parlando, esercitando analoghi mestieri con impagabile e misurato senso dell’ironia. E, da perfetti appartenenti al segno dei Gemelli, con controllata e produttiva schizofrenia. Se ulteriormente intendiamo andare a caccia di analogie, sempre restando nell’opinabile regno degli astri, si sappia che nell’identico periodo sono nati: l’eccelso musicista Miles Davis, gli scrittori dark James Blish, Francesco Dimitri, Douglas Preston nonché la regina del gotico filmico Helena Bonham Carter che per anni è stata al fianco di Tim Burton. Forse potrebbe bastare.
Ma in realtà no. Le Ombre Lunghe – Panizza lo è a pieno titolo – credono nei valori e nelle indicazioni delle stelle e mai si sognerebbero di pronunciare Crepi l’astrologo! Anzi, Panizza stesso molti – troppi – anni addietro ha esercitato, se ben ricordo non soltanto per puro diletto, l’attività di performer di tabelle e pergamene astrologiche dedicate ad amici e appassionati della materia.
Poi la vita mi ha permesso, anzi mi ha proprio concesso l’onore di diventare amico di siffatto personaggio, e con lui condividere passioni e gusti che abbiamo “fissati” presumo nel DNA fin dalla più tenera età.
Parecchi film visti assieme – indimenticabile il suo sonoro e neppur breve piagnisteo durante il finale de La mosca di David Cronenberg-, personali biblioteche di Babele che, se avessimo voglia e tempo di accorpare, diventerebbero una delle più grandi realtà di consultazione gotica della nazione, analoghi incarichi in ambito culturale che si sono trasformati in autentici mestieri e persino un libro a quattro mani (Satana ti vuole) che nel suo genere resta ancora senza tema di smentita un testo imprescindibile.
Con tali presupposti la recente uscita de suo libro Parvenze, visioni, presagi – Soprannaturale in versi (Edizioni Joker) è per me, e per ogni appartenente all’eletto segno zodiacale di Giano Bifronte, motivo di assoluto interesse. Trattasi di una raccolta di contributi poetici di autori quasi dispersi nelle pieghe del tempo, alcuni veramente insospettabili, che hanno cantato l’ambigua inquietudine dell’Altrove immaginario legato al soprannaturale e alle sue creature antagoniste.
Titolo “in levare” che rimanda in eterna continuazione l’Epifania del Terribile (una delle troppe metafore della vita), vi trovano spazio le griffe più rappresentative del “genere” (ammesso che ancora abbia senso il termine) quali Lovecraft, Shelley, Coleridge, Poe, etc…, e contributi più esterni e singolari quali Moon over Bourbon Street del cantautore Sting, pseudonimo di Gordon Matthews Thomas Summer. Come ha scritto Alex Pierro (www.musicalnews.com/2021/12/27), «nei primi mesi del 1985. In una notte di luna piena, Sting sta passeggiando per le viuzze del Quartiere Francese di New Orleans. Ha la netta sensazione di essere inseguito da qualcuno e gli sembra di scorgere un’ombra che lo marca stretto. Oppure è soltanto una suggestione? Il musicista si ricorda di un libro, che gli aveva regalato il suo amico Andy Summers quando ancora i Police erano in vetta alle classifiche di mezzo mondo. Si trattava di Intervista col vampiro, il romanzo di Anne Rice ambientato proprio nella città della Louisiana. Ma più che da Lestat, protagonista del racconto, Sting era rimasto affascinato da Louis, il vampiro in perenne contraddizione con il suo status: obbligato a uccidere per restare vivo, non riusciva a perdonarsi il suo comportamento. Un conflitto interiore che a Sting ispira una delle canzoni più belle del suo debutto solista, The Dream of the Blue Turtles. Rubacchiando la melodia dello standard jazz Autumn Leaves, Sting scrive un brano seducente in cui convivono i raggi di luna che illuminano la strada più famosa del Vieux Carré, Bourbon Street, e le suggestioni del romanzo di Anne Rice. La canzone diventa uno dei pezzi più amati dallo stesso Sting.»
Parvenze, visioni, presagi è curato, annotato e tradotto da Panizza, il cui saggio di chiusura Fare il verso vale da solo il prezzo del volume.