di Danilo Arona
Rullo di tamburi? Clamoroso ritorno in scena del grande Superstite, il nostro amico Danilo Arona? Per ora è solo un contributo ‘spot’. Ma nulla vieta ai tanti lettori ed estimatori di Danilo di sperarci. Noi per primi. Intanto godiamoci questo pezzo. E. G.
Metti una sera che dopo anni (ma cosa dico, eoni…) transito in dolce compagnia per Costigliole d’Asti, spettacolare paese persino amato dai Ferragnez, lì condotto dal desiderio di vedere presso il locale teatro municipale uno spettacolo dal titolo Il giovane Mazzarò, messo in scena sabato 11 marzo dalla compagnia dei Belli da morire fondata da Marcello Chiaraluce.
Il nome della rappresentazione non vi ricorda niente? A me sì, forse a qualcun altro pure. In terza media il grande professor Oliva ci fece leggere, per nostra fortuna anche se allora non eravamo tanto d’accordo, la novella di Giovanni Verga, tenera quanto terribile, intitolata La roba, esemplare apologo sulla brama di possesso e l’attaccamento più che morboso ai beni materiali (appunto, la “roba”) del vecchio contadinoMazzarò che per tutta la sua vita altro non ha fatto che accumulare più beni materiali possibili, pagandola però duramente sul piano personale ed esistenziale: non ha infatti né amici né parenti ed è senza famiglia e in povertà perpetua perché incapace di godere dei benefici della ricchezza. Nella sua vita non esistono affetti e il vecchio teme follemente che la sua roba possa essergli sottratta, tanto in vita quanto in morte e l’ossessione surreale di non poter portare con sé i suoi beni nell’aldilà lo fa impazzire, concludendosi la novella con la furia di Mazzarò che distrugge raccolti e uccide animali all’urlo della mitica frase Roba mia, vientene con me!
Letteratura del 1880 di cui Marcello Chiaraluce coglie la grande modernità scrivendone il prequel nel quale descrive la genesi dell’ossessione per “la roba”di un giovane Mazzarò stretto da un lato dall’amore tormentato per la bella domestica Dilina e dall’altro dall’interesse di un uomo solo e tutto sommato infelice quale il suo padrone, il Barone di Sigona. Non volendo spoilerare più di tanto, possiamo sottolineare come la commedia dolce-amara metta argutamente in luce l’escalation dinamica attraverso la quale il ragazzo da bracciante a libro paga diventi proprietario terriero, incrementando certe sue caratteristiche genetiche di egoismo viscerale in grado di rinunciare persino all’amore.
Sapientemente scritta e diretta, l’opera vede al lavoro bravissimi giovani attori quali Giovanni Giordano, Claudia Allodi e Filippo Santopietro. E il Chiaraluce drammaturgo è per me un’autentica epifania. Ne scrissi anni nella rubrica Il Superstite (il n° 258 del 21 novembre 2015), elogiandone le virtù chitarristiche (che sono assolute!), ma oggi mi tocca aggiungere un altro tassello della sua arte funambolica. Perché poi immaginare dei prequel, per quanto in parte la strada sia all’apparenza spianata dal detentore degli originali diritti, non è affatto un’operazione semplice perché bisogna essere del tutto originale senza snaturare nel caso in questione l’immaginario di Verga. Missione riuscita alla grande.