di Dario B. Caruso
Le sale cinematografiche italiane inaugurano il 2023 con la proiezione di un kolossal che nulla ha da invidiare alle produzioni hollywoodiane dell’ultimo mezzo secolo.
Ed è una fortuna insperata: Cinecittà era ormai diventato un parco dei divertimenti come Gardaland o Italia in Miniatura; ora ambisce a ritornare in auge.
La trama è semplice.
Sicilia, oggi.
C’è un tipo sulla sessantina, fa una vita normale, caffè, giornale, amici, barbiere, dentista, un’auto nera di media cilindrata.
Quest’uomo è noto a tutti, nel suo paese, e lo apprezzano a tal punto che anche quando decide di cambiare identità (senza cambiare i connotati fisici) tutti stanno al gioco, sorridono con lui.
Insomma u Siccu resta sempre u Siccu, con il suo leggero strabismo che lo contraddistingue e che lo accompagna da sempre nelle foto.
U Siccu ha però problemi con le nuove tecnologie; infatti non è in grado di memorizzare i numeri sul cellulare.
Questo escamotage narrativo permette allo spettatore di penetrare nella psiche del protagonista, un uomo che sfoga le sue ansie e le sue incertezze strangolando persone per poi scioglierle nell’acido oppure facendo saltare auto per provocare stragi, morte e distruzione.
Fine primo tempo
A questo punto lo spettatore va in bagno (chiude la porta col chiavistello) comprende quanto la natura sia bislacca (fa pipì) nel concepire un genio del male nascosto nel corpo anonimo di un uomo che vive tranquillamente la sua vita di paese, con l’affetto (tira la catena dello sciacquone) di tutti i concittadini (riprende il suo posto in platea).
Secondo tempo
Un giorno u Siccu si ammala gravemente.
Incomincia le cure oncologiche presso l’ospedale del suo paese, tra un selfie e l’altro con medici e infermieri.
La sua vita sta però diventando un inferno: come potrà un uomo morente continuare ancora a lungo a strangolare, sciogliere, uccidere con la medesima forza e vitalità del passato? Anche ordinare di strangolare, sciogliere, uccidere da un letto non è certo un bel vedere e – oltretutto – toglie dignità alla persona.
Decide di ispirarsi ad uno dei suoi miti, Joker, l’antagonista di Batman, il quale afferma che «c’è sempre una via d’uscita, ma se non la trovi sfonda tutto».
Promulga dunque qualche strano pizzino qua e là, si lascia intercettare in alcune telefonate equivoche.
Le forze dell’ordine, attente come non mai, comprendono che u Siccu nasconde qualcosa: perché va spesso in ospedale? Perché ha cambiato nome? E soprattutto perché non memorizza i numeri sul cellulare?
In un batter d’occhio u Siccu viene attenzionato, preso in custodia con il suo presunto autista (tale Giovanni il quale dichiara è la prima volta che lo accompagno ad una seduta di chemioterapia).
Scena finale
Letto d’ospedale, campo largo
Un uomo, tra una flebo e l’altra, è immobile
L’inquadratura si stringe
Si tratta di lui, u Siccu, immobile
Primo piano
Gli occhi strabici guardano in camera, pensa a tutti coloro che ha strangolato, sciolto, ucciso e sorride.
Fine