di Dario B. Caruso
Essere riconoscenti non è una qualità innata dell’uomo.
È un sentimento che si costruisce in famiglia, fin da piccoli, grazie all’esempio dei familiari, dei genitori e dei nonni.
Poi si accresce attraverso gli esempi nella società civile, la scuola, gli amici, lo sport.
Infine si alimenta con l’impegno individuale.
Accade sempre più che il senso di riconoscenza venga confuso o non riconosciuto.
Eppure ci sono in letteratura innumerevoli storie di riconoscenza, storie di devozione, di affetto e di restituzione.
Fate attenzione dunque a non cadere in errore e non scambiate altro per riconoscenza.
Ad esempio.
Se io, entrando in casa, premo l’interruttore e la luce improvvisamente si accende, questa non è riconoscenza.
Se annaffio una pianta da troppi giorni inaridita e alle prime gocce d’acqua il capino con i petali ha un sussulto verso l’alto, anche questa non è riconoscenza.
Se lascio un biglietto da cento euro sul comodino di una signorina appena conosciuta e lei mi dimostra un certo tipo di gratitudine, anche in questo caso non si può parlare di riconoscenza.
Lo capisco, è brutale e diretto.
La riconoscenza è un gesto profondo, naturale se costruito e non dovuto per forza né tantomeno deve essere ricercato.
Condivido questo bellissimo racconto che ho preso a prestito e che suona colmo di riconoscenza.
In una panetteria si incontravano ogni giorno due amici.
Uno dei due comprava sempre cinque pani.
“Perché ogni giorno prendi cinque pani?”
“Un pane è per me, due pani li do in prestito, gli altri due pani mi servono per restituire un debito contratto per tutta la vita”.
“Amico mio, a chi presti i primi due pani? E a chi restituisci gli altri due?”
“Ogni giorno do in prestito due pani ai miei figli sotto forma di educazione, alimento e cura. E ogni giorno restituisco ai miei genitori quello che amorevolmente mi diedero”.
Buon Natale a tutti voi!
Con riconoscenza.