di Dario B. Caruso
Ci sono personalità che hanno vissuto segnando i tempi e le vicende storiche.
Poi muoiono ma non scompaiono, magari restano nell’ombra, tra le righe dei discorsi della gente però persistono a vivere nelle idee e nei pensieri.
Sandro Pertini è uno tra questi uomini del passato.
Nacque a Stella, nell’entroterra savonese, nel 1896.
Dopo una medaglia al valor militare durante la Prima Guerra Mondiale, costruì la storia del Partito Socialista e combatté nella Resistenza.
Fu eletto Presidente della Repubblica l’8 luglio 1978 al sedicesimo scrutinio con 832 voti su 995, settimo a sedere al Quirinale dopo Enrico De Nicola, Luigi Einaudi, Giovanni Gronchi, Antonio Segni, Giuseppe Saragat e Giovanni Leone.
Morì nel 1990 a Roma.
Le sue parole risuonano ancora oggi.
Anzi proprio in questi giorni il suo paese lo celebra con una serie di iniziative che ne delineano – ad oltre trent’anni dalla morte – la grandezza del suo profilo, l’alto valore simbolico della sua esistenza, il carattere eterno dell’esempio di vita.
Davanti alla casa natale, Sandro Pertini oggi rivive grazie all’opera dell’artista Pietro Marchese – siracusano di nascita, finalese di adozione – che lo ritrae seduto, ormai anziano, con l’inseparabile pipa in mano e lo sguardo proteso all’orizzonte.
Lo onora la presenza di centinaia di cittadini, provenienti da più parti d’Italia, perché in alcuni frangenti è meglio esserci piuttosto che no.
A testimoniare e sottoscrivere ciò che è stato ed è.
In queste giornate, tra le note della banda musicale e le parole delle autorità invitate, nel vento si riesce ad ascoltare una voce stentorea che recita così:
“Bisogna essere degni del popolo italiano. Non è degno del popolo italiano colui che compie atti di disonestà. I corrotti ed i disonesti sono indegni di appartenere al popolo italiano e devono essere colpiti senza alcuna considerazione.”
E poi conclude:
“È meglio la peggiore delle democrazie della migliore di tutte le dittature.”