Eseguiti i primi con successo dopo il riconoscimento del Centro Nazionale Trapianti
Il microbiota influenza la salute. L’insieme dei microrganismi che popolano l’intestino svolge funzioni benefiche, protegge da malattie, evita lo sviluppo di patologie gravi e invalidanti. Ma quando è la flora ad andare in crisi, quando succede qualcosa agli oltre mille miliardi di batteri, lieviti e virus che formano migliaia di comunità microbiche (hanno complessivamente un peso totale di circa un chilo e mezzo) che agiscono come se fossero un unico organismo e svolgono funzioni importantissime, allora bisogna correre ai ripari perché il variare del rapporto tra i componenti causa una alterazione (disbiosi) che può essere correlabile a malattie non soltanto dell’apparato digerente, ma anche, solo per citarne alcune, a diabete e obesità, dermatite, patologie cardiovascolari, Alzheimer, Parkinson o addirittura a malattie sistemiche.
Come intervenire, allora? La ricerca sul microbiota intestinale è aumentata rapidamente nel corso degli ultimi diciotto anni soprattutto negli Stati Uniti. Inoltre, acidi biliari, acidi grassi a catena corta, dieta, batteriofago, intestino-asse cerebrale, screening del donatore di feci sono le parole chiave più utilizzate per la ricerca di articoli scientifici sull’argomento. Ciò implica che potrebbero essere potenziali punti nevralgici per la ricerca futura, meritevole di grande attenzione.
Ad Alessandria sono stati fatti grandi passi in avanti e oggi l’Azienda Ospedaliera ‘Santi Antonio e Biagio e Cesare Arrigo’ è un punto di riferimento nazionale. Il Centro Nazionale Trapianti ha infatti autorizzato l’ospedale al Programma nazionale sul trapianto di Microbiota Intestinale (FMT) umano che consente di eseguire questo trattamento nelle infezioni gravi da ‘Clostridium difficile’ (sono mediante circa una cinquantina di casi all’anno in Piemonte).
La notizia è importante perché l’autorizzazione permette di effettuare una procedura che per complessità è paragonabile al trapianto di un organo ed è sottoposta allo stesso tipo di verifiche e severi controlli. Alessandria è diventato il settimo centro in Italia ed il primo in Piemonte ad essere autorizzato a questo tipo di trattamento. Quest’anno sono già stati eseguiti cinque trapianti, tutti perfettamente riusciti.
Il risultato è il frutto di un lavoro di squadra che ha coinvolto la Gastroenterologia guidata da Carlo Gemme, il laboratorio della struttura di Microbiologia diretto da Andrea Rocchetti, e dalla Infrastruttura Ricerca Formazione Innovazione con i Laboratori di Ricerca (responsabile è Annalisa Roveta) che fanno capo al Dipartimento Attività Integrate Ricerca e Innovazione (DAIRI) diretto da Antonio Maconi, che opera in stretta collaborazione con il DiSIT dell’Università del Piemonte Orientale, diretto da Leonardo Marchese.
“Il trapianto di microbiota fecale – spiega Andrea Rocchetti responsabile del Cus (Centro unificato di sequenziamento) e coordinatore della Unit ‘Microbiota’ – è il processo di impianto del microbiota intestinale tramite tecnica endoscopica da un donatore sano nel tratto gastrointestinale del ricevente malato. Questo processo che rende un prodotto di scarto, le feci, in un prodotto curativo viene svolto nel laboratorio di Microbiologia utilizzando tecniche di emulsione e filtrazione in una stanza dedicata alla lavorazione.
Il risultato è una sospensione liquida priva della componente inorganica e che mantiene solo gli organismi vitali. Il microbiota completo ed equilibrato del donatore viene inviato in Gastroenterologia per essere trapiantato. Tutto il processo deve svolgersi in un tempo massimo di sei ore. Il trapianto è stato recentemente proposto come opzione terapeutica in casi di infezione ricorrente da ‘Clostridium difficile’, resistente alla terapia antibiotica nell’adulto, ma nel futuro le applicazioni potrebbero essere estese ad altre patologie.
L’infezione da ‘Clostridium difficile’ si può manifestare con un quadro di colite grave soprattutto in pazienti anziani e ospedalizzati, e può portare a complicanze anche molto severe e mortali. Il fenomeno – sottolinea il Dr. Rocchetti – sembra essere correlato al persistere dello stato di alterazione cronica del microbiota intestinale». Il trapianto di microbiota intestinale eseguito attraverso la colonscopia «ha dimostrato un’efficacia di oltre il novanta per cento nel prevenire le recidive di infezione da ‘Clostridium Difficile’ e di essere una procedura molto sicura e con un numero molto basso di effetti collaterali rispetto ad altre terapie farmacologiche”.
Un microbiota equilibrato e diversificato svolge essenziali funzioni di tipo metabolico quali la produzione di sostanze utili all’organismo, di tipo enzimatico, di protezione e di stimolo verso il sistema immunitario e di eliminazione delle sostanze tossiche.
Quali sono i principali tipi di batteri? “Sono principalmente quattro: ‘Bacteriodates’ cui appartengono i batteri che svolgono la degradazione di proteine o di zuccheri complessi; ‘Firmicutes’, coinvolti nel metabolismo del glucosio e sembrano avere un ruolo nell’obesità (dove sembra essere aumentato); ‘Proteobacteria’ implicati nella patologia umana. (appartiene a questa categoria l’‘Escherichia coli’ responsabile di molte infezioni); ‘Verrucamicrobia’: tra questi batteri si ricorda l’Akkermansia mucinifila che sembra avere un ruolo nel mantenimento dell’integrità del tratto gastrointestinale. ‘Firmicutes’ e ’Bacteroides’ rappresentano circa il 90% della flora batterica intestinale e la ricerca ha dimostrato come il variare del rapporto tra queste componenti faciliti e promuova uno stato di alterazione che si traduce in patologie, non solo intestinali”.
Qual è il percorso che porta al trapianto? “Nel nostro centro – risponde Rocchetti – i donatori di feci vengono selezionati dopo un accurato screening clinico, effettuato dai medici di Gastroenterologia e solo dopo numerosi e complessi esami del sangue e delle feci effettuati con le più moderne tecnologie. Lo stato di perfetta salute del donatore è considerato fondamentale non solo per garantire la qualità del prodotto da trapiantare, ma anche per evitare la trasmissione di malattie ai pazienti riceventi. Sono previste rigide norme per la conservazione del microbiota fecale umano, per il trasporto e lo stoccaggio a fini di ricerca che ne garantiscano la qualità e la sicurezza anche nel tempo”.
Fondamentale è anche la ricerca genomica. Come funziona? “La composizione del microbiota fecale (cioè la numerosità e la variabilità delle popolazioni batteriche presenti nelle feci) può essere studiata nel dettaglio attraverso tecniche avanzate di sequenziamento del genoma batterico (Next generation sequencing, NGS). Le sequenze genomiche ottenute vengono confrontate con i database di tutte le sequenze dei batteri ad oggi noti. Ciò consente di avere, in tempi rapidi, un’analisi dell’abbondanza relativa delle famiglie batteriche e di definire un indice di biodiversità. Studiare la composizione del microbiota prima e dopo trapianto fecale – precisa Rocchetti – è un mezzo per valutare l’attecchimento del microbiota sano trasferito da donatore ed è un esame inserito nel follow-up del paziente. Per l’analisi metagenomica del DNA delle popolazioni che colonizzano l’intestino del donatore e del ricevente, i campioni di feci vengono inviati nel Centro unificato di sequenziamento, nato da una sinergia tra azienda ospedaliera di Alessandria e Disit, dotato delle tecnologie e delle competenze necessarie allo studio del microbiota”.
Le professionalità coinvolte sono molte e devono “necessariamente lavorare con entusiasmo e in stretta collaborazione. Ad Alessandria – conclude il responsabile del Cus e coordinatore della Unit ‘Microbiota’ – stiamo affiancando e integrando le attività cliniche e diagnostiche alle attività di ricerca e ci aspettiamo risultati importanti in termini di salute e di qualità di vita per i nostri pazienti”.