di Dario B. Caruso
Ci sono film, racconti, poesie, filastrocche che restano depositati nei cassetti della memoria e poi ogni tanto, secondo occasione, saltano su.
Non è un caso; quando ciò accade esiste un’indefinibile consecutio mentale.
In questi giorni mi è tornato alla mente il monologo finale di un film italiano, una commedia del 2012 intitolata “Viva l’Italia”.
Questa pellicola in apparenza non ha un grande peso, potrebbe definirsi un film di cassetta con un cast fatto da volti noti.
Racchiude in realtà una serie di contenuti che hanno l’apparente scopo di schernire i vizi della prima Repubblica, come fossero capitoli chiusi di un libro sigillato.
Nel monologo conclusivo, un irriverente Michele Placido veste i panni di un politico di lungo corso che di fronte alle telecamere, in diretta nazionale fa un mea culpa: non riesce più a dire bugie. E svela l’arcano, ciò che accade nei palazzi del potere.
“Al ristorante, quando arriva il cameriere col conto, voi ve lo leggete quello che c’è da pagare, oppure no? Voglio dire, preferite scegliere voi quello che dovete mangiare o vi accontentate di quello che vi diamo noi? Perché, se non lo avete ancora capito, qua noi, stiamo a rifà l’inciucio, come con la bicamerale, come col compromesso storico, fatevelo raccontare il compromesso storico, parlo ai giovani qua, dai vostri genitori cos’è stato. E anche in questo momento noi stiamo decidendo cose grosse eh, senza chiedervi il permesso, e voi che fate? State zitti, così. E allora voglio dirvi una cosa: per conservare la vostra identità come cittadini in questo Paese, dovete pretendere di inserire un nuovo articolo nella Costituzione, l’articolo 140, che dice “Tutti i cittadini hanno diritto di conoscere la verità.
(…) Beh insomma, la verità, e chi l’ha mai detta? Io mi son sempre aggiustato gli affari miei, assieme a quei galantuomini dei miei colleghi, a quegli ipocriti dei miei avversari, che poi qui da noi, essere furbi è quasi un merito, e la gente ti invidia pure”.
Dopo una serie di confessioni imbarazzanti conclude con un’esortazione:
“Ragazzi, ricordatevi, siete ancora in tempo per cambiare le cose, perché siete proprio voi che state andando a votare. Che è meglio pensare, che credere. È meglio scegliere, facendo sacrifici piuttosto che fregarsene, fare gli indifferenti, credetemi. Perché se ci sono contrasti, significa che ci sono idee, e se le idee sono tante, diverse, allora si, c’è la democrazia. Però attenzione, a noi ci dovete fare pelo e contropelo, prima di darci una poltrona in Parlamento e una pensione a vita, perché in questi anni veramente eh, abbiamo votato gente che ha avuto a che fare con mafia, camorra, ‘ndrangheta, sacra corona unita e compagnia cantando, e qualcuno lo sapeva e l’ha votato!
Beh, adesso s’è deciso da quest’anno che dobbiamo pensarla tutti, più o meno, allo stesso modo, e dobbiamo stare tutti sulla stessa barca. Però io su questa barca non ci voglio salire. Anzi, non ci vogliamo salire. Io non so adesso se questo articolo 140 verrà mai scritto nella Costituzione, ma per quanto mi riguarda il diritto alla verità per me è già in vigore. Lo sto imparando io, lo stanno imparando anche i miei figli. E spero che piano piano lo imparerete anche voi”.
Poi sulla scia di questo ipotetico articolo 140 mi è balzato alla mente un racconto di Gianni Rodari, “Il pianeta della verità”, in cui il mondo affronta un declino lento e inesorabile verso la distruzione a causa della menzogna.
Il periodo storico attuale è completamente slegato dalle narrazioni succitate. La confusione però mi regna sovrana in testa e dunque faccio ammenda per farvene parte.
Sono fuori tema.