di Dario B. Caruso
Vanno ad esaurirsi gli esami di licenza media, la prima prova ufficiale e ministeriale a cui i nostri studenti sono chiamati.
Ne farebbero volentieri a meno, loro, soprattutto perché non ne comprendono l’importanza. Non sanno come comportarsi, arrivano carini, eleganti e tesi come non mai, spesso si sciolgono in lacrimazioni più o meno copiose, altre volte spalancano sorrisi inattesi.
Sono comunque belli, sempre.
Non posso dire altrettanto di tutti i colleghi.
Il tema della valutazione è dibattuto da sempre e mai sarà eviscerato fino in fondo (come poter oggettivizzare ciascuna competenza? Mission Impossible!) però a volte faccio fatica a credere che si possano pensare certi pensieri e addirittura riuscire ad esprimerli apertamente.
Per nove mesi (con la stessa fatica di un parto) passo davanti a classi con la porta aperta, gli insegnanti alla cattedra e gli studenti in un silenzio di tomba, che attendono il Verbo dell’anziana figura.
Ecco, sappiate che a me in cattedra non capita mai, che ci sia quell’aria immobile, quasi fumé. Anzi accade esattamente l’opposto, come quando versi il secondo cucchiaino di Effervescente Brioschi nel bicchiere d’acqua ghiacciata nelle sere d’estate: è tutto un ribollire di festa.
È a fine anno scolastico che mi rincuoro e mi convinco di come in certi casi il silenzio possa ingannare.
Non è il silenzio il termometro per misurare l’attenzione né tantomeno la conoscenza della classe e degli studenti.
Ritengo sia proprio il contrario: il silenzio è non-comunicazione, attraverso il caos si può imparare molto più approfonditamente, certo cogliendo con abilità le parole, le espressioni e i gesti salienti.
E poi quant’è bello dal caos intelligente fare risuonare venti voci o venti strumenti che molto semplicemente entrano in armonia? Forse è solamente un’illusione ma è ciò che credo fermamente.
Del resto Mery Shelley, in uno dei momenti più emozionanti del suo Frankenstein dice che “l’invenzione non è una creazione dal nulla bensì dal caos”.
E se lo dice lei…