di Piero Archenti
Oggi sono spesso ruderi in riva al mare, ma le colonie hanno un’importante storia alle spalle – è quanto racconta Sara Bertuccioli in un articolo del 20 agosto 2012 che racconta i fasti degli anni ’30 fino al loro declino negli anni ’70 delle colonie marine – Nate nell’800 per i bambini affetti da malattie tubercolari, durante il fascismo si sono trasformate in luoghi di propaganda, per poi recuperare la spinta prettamente sociale nel dopoguerra. Con il boom economico si sono svuotate, ma ora potrebbe esserci una rinascita.
Le colonie nascono come ospizi marini alla fine dell’800 per ospitare bimbi affetti da malattie tubercolari: il mare e il sole avevano funzione curativa sui piccoli tanto da essere definiti ‘antitubercolari’. La funzione terapeutica prosegue anche negli anni trenta, in pieno regima fascista, quando a quella sanitaria si aggiunge la funzione educativa e di propaganda. Se nel 1927 i bambini ospitati erano 54 mila dopo undici anni il numero arrivò a quota 772 mila in 4.357 colonie sparse su tutto il livello nazionale, ma concentrate soprattutto sul litorale toscano e romagnolo.
Strutture imponenti progettate dai migliori architetti del tempo che avevano carta bianca: l’unico obiettivo era quello di comunicare la modernità intesa come valore dell’avanguardia e del regime. Così si realizzarono costruzioni dalle forme futuristiche come la colonia Figli italiani all’estero a Cattolica (1), disegnata da Clemente Busiri Vici, che adesso ospita l’Acquario Le Navi e la Varesina di Milano Marittima (2) con la maestosa rampa, ora ridotta a poco più di un rudere sulla spiaggia, il complesso di Calambrone (3) in Toscana e la torre Fara a Chiavari (4) ora completamente recuperata e ristrutturata. Le colonie diventano il modo di sperimentare il linguaggio architettonico in chiave funzionalista e razionalista.
Nel dopoguerra, eliminata la funzione propagandistica, le colonie ebbero una nuova vita dagli anni cinquanta quando si optò per la funzione sanitaria e ricreativa. La costruzione delle colonie fu inarrestabile. Senza pretese architettoniche come quelle realizzate nel trentennio, le colonie assomigliano più ad alberghi ‘alla buona’. Gestiti da enti pubblici, religiosi e aziende, come nel caso di quelle a Ponente a Cesenatico. Queste strutture fanno parte di una bonifica di tutto il litorale con lotti svenduti a poche lire.
Verso la fine degli anni settanta si assiste alla dismissione e abbandono delle strutture che avevano ospitato fino a quel periodo centinaia di migliaia di piccoli provenienti da tutto il paese. Se negli anni novanta alcune resistono ancora, come la Monopoli di Stato di Milano Marittima, la maggior parte viene inesorabilmente lasciata andare alle intemperie delle stagioni e al degrado. Le cause sono da cercare nell’aumento del reddito delle famiglie a seguito del boon economico, quindi alla capacità delle famiglie di organizzarsi e scegliersi autonomamente dove passare le vacanze. Il crollo demografico – conclude Sara Bertuccioli – e i tagli che i comuni furono obbligati a fare alla spesa sociale hanno creato il resto.
Quel che rimane oggi sfogliando le pagine di un tempo ormai lontano, è un patrimonio immobiliare abbandonato alle ingiurie del tempo che scorre implacabile, lasciandosi alle spalle soltanto i rottami di un periodo storico ricco soltanto di ricordi destinati a finire nel libro dei sogni perduti…
1 – Colonie Figli italiani all’estero.
2 – Varesina di Milano Marittima.
3 – Complesso di Calambrone.
4 – Torre Fara a Chiavari.
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Nel 1893 dieci bimbi partivano per Loano. Era la prima Colonia marina di Alessandria
Si vuole che primo iniziatore delle “colonie per fanciulli” sia stato, in terra di Toscana, Giovanni Barellai, il quale fin dal 1835 si interessò per togliere dagli ospedali i bimbi affetti da tubercolosi e portarli a scopo curativo, al sole e al mare. Finalità specifica diversa dalle colonie di oggigiorno, ma sufficiente per produrre allora un movimento che portò molto più tardi, alla costituzione dei così detti “capizi marini” di fine ‘800. Anche uno svizzero di nome Bion svolse nel 1876 uguale propaganda per le colonie montane, intesa ad irrobustire i bambini gracili. Così col tempo sorsero quasi dovunque, per merito di private iniziative, le prime colonie estive, istituzioni altamente benefiche che vennero subito affiancate alla lotta antitubercolare di cui le colonie furono parte principale.
Cosa fece allora Alessandria nostra? Proprio sessant’anni fa si riunì anche da noi un piccolo gruppo di benemeriti cittadini per studiare questo nuovo problema assistenziale e scuotere nel contempo il cuore dei buoni alessandrini verso una provvidenza a carattere nettamente popolare. Ed ecco nel 1893 costituirsi il primo “Comitato per gli ospizi marini” che nell’anno stesso già poteva inviare a Milano una squadretta di dieci bambini bisognosi. Era il primo passo, e quale festa per salutare, in quel lontano giorno, lungo il vialone dei nostri giardini, la partenza dei piccoli beneficati nel loro candido grembiulino offerto dalle Patronesse. E’ doveroso ricordare a tanta distanza di tempo, i componenti del Comitato promotore: Teresa Montel.Grillo (della nota famiglia della grande Madre Teresa Michel), Placidia Foco-Vescovo, dott. Giuseppe Mocafiche, Gian Maria Piccone (il pubblicista del famoso giornale “Fra Tranquillo”), prof. Gustavo Canti, Preside scolastico, avv. Vittorio Peola: presidente il primario chirurgo dell’ospedale, Michele Salio, figura assai popolare, la cui memoria ancora non si è spenta del tutto.
Il Comitato andò man mano acquistando sempre più le simpatie della cittadinanza per così nobile iniziativa: alla limitata beneficenza privata (quante oblazioni annuali di una lira…di allora!” si aggiunse quella degli enti locali, Municipio e Cassa di Risparmio: poi vennero le Società operaie di mutuo soccorso e infine i maggior industriali, prima fra tutti Giuseppe Borsalino. Nel 1914 il figlio Teresio donava il famoso milione, cifra enorme per quei tempi, per la fondazione di un Sanatorio, opera grandiosa che oggi porta il suo nome. Con tanto consenso di ogni ceto, il Comitato poteva gradatamente aumentare il numero dei beneficati che in un ventennio, dai dieci del 1893, saliva a più di mille divisi in colonie sia marine che montane.
Nel 1903, a succedere al Presidente Salio, veniva chiamato il dott. Enrico Cortona che tenne poi ininterrottamente la carica sino al 1929. Al dott. Cortona spetta il merito di avere allargato le basi della nostra istituzione sino a darle, già nel 1907, il carattere di ente provinciale, col nuovo titolo di Colonia marina e alpina di Alessandria, carattere provinciale che, sia pure con altre forme e altri mezzi, si mantiene tuttora. Loano, Campiglia Cervo, Sordevolo, furono allora tante sezioni della nostra colonia e sempre con numerosi turni di frequenza. Accanto al nome del dott. Cortona dobbiamo ricordare quello di Alberto De Benedetti, instancabile segretario e amministratore, sempre diligente nel pubblicare dettagliati resoconti annuali.
La grande guerra paralizzò naturalmente tutte le attività del Comitato subito riprese però nel 1919, con l’aggiunta di una colonia fluviale sul Bormida e di una colonia solare con scuola all’aperto. Frattanto il problema dell’assistenza ai bambini assumeva nuovi aspetti e nuove forze; nel primo dopoguerra la Croce Rossa, convergendo le sue energie alle opere di pace, iniziava una serrata lotta antitubercolare e il Presidente del Comitato locale, dott. Pietro Crespi, prendeva occasione per allestire una colonia permanente a Limone Piemonte, di cui molto si valsero i nostri bambini.
Oggi col progresso dei tempi la colonia di Limone si è trasformata in un importante preventorio alle dirette dipendenze dell’Amministrazione prov. Anche l’Opera Maternità e infanzia aveva iniziato nel 1928 un movimento con colonie proprie ma nell’anno seguente tutte le attività delle colonie in genere venivano concentrate nella organizzazione statale della così detta Opera balilla, chiamata più tardi Gil. In questo tormentato dopoguerra, nel buon ricordo dei nostri promotori di mezzo secolo fa, Alessandria ha ripreso il cammino ascensionale delle sue antiche colonie marine e montane. La piccola iniziativa dei nostri padri, si è ora inquadrata nel vasto problema sociale di assistenza sanitaria per la infanzia al quale Stato, Provincia e Comune e altri Enti provvedono con mezzi sempre più adeguati: nel 1951 ben 800 mila sono i beneficiati in tutta Italia. Pensando ai primi sforzi del 1892 è proprio il caso di dire che buon seme non mente.
Piero Angiolini 03-11-1951