di Dario B. Caruso
Quando vidi per la prima volta il film Blade Runner fu strano.
Si trattava di molti anni fa e il pensiero che il futuro del mondo sarebbe stato quello narrato dalle immagini un po’ mi spaventava.
Negli anni seguenti, incuriosito dal romanzo ispiratore di Philip K. Dick, acquistai e lessi Il cacciatore di androidi (titolo originale Do Androids Dream of Electric Sheep? ovvero Ma gli androidi sognano pecore elettriche?).
Il testo era visionario e mi appariva ancora più lontano da ciò che vedevo con gli occhi del quotidiano.
La sensazione che parole poco ordinarie sarebbero rimaste avulse dall’esperienza umana era dirompente. Oggi – nonostante lo scorrere del tempo, lo sviluppo della tecnologia, i cambiamenti geopolitici, le emergenze sanitarie – mi sforzo di continuare a pensarlo.
Eppure ciò che completa la mia personale (e certamente condivisa da milioni di altri esseri umani) suggestione riguardo il capolavoro di Ridley Scott ha bisogno di una terza gamba a cui riferirsi, un tavolino saldo ne ha bisogno.
Vangelis compone una serie straordinaria di melodie e armonie, dilatate nel nulla ed appese al filo dei secoli.
Non è possibile scindere ciascuna frase da ciascuna immagine da ciascun suono: questa è la verità. E non vale solamente per il grande cinema, è una regola di tutti i grandi momenti della vita, esperienze polisensoriali.
La notizia della scomparsa di Vangelis – della cui salute mai mi sono preoccupato – oggi mi rende triste perché quando un genio muore lascia un vuoto pieno di grandi opere.
Il mio tavolino dunque resta ben saldo, fisso al suolo forte di parole, immagini e suoni immortali.
Le note del compositore greco resteranno sempre con noi, come lacrime nella pioggia.