L’algoritmo che sussurrava ai cavalli [Il Flessibile]

di Dario B. Caruso

 

Dico subito che non potrà funzionare a lungo.
O meglio sarà l’inevitabile futuro ma non è ciò che ci permetterà di migliorare l’esistenza e – nel tempo – di sopravvivere.
Gli algoritmi invadono le sfere più intime della nostra vita; tutto ciò che utilizziamo di non analogico è regolato da un algoritmo.
Intendiamoci, l’algoritmo nasce nella notte dei tempi come elemento essenziale, cresce come indispensabile al calcolo, alla ragione e alla conoscenza, racchiude tutte le cose buone che fanno parte del progresso.

È di pochi giorni fa la notizia che l’azienda Pfizer – arcinota per il vaccino anti Covid più gettonato del biennio – ha licenziato 258 suoi dipendenti (130 nello stabilimento di Catania e 128 informatori farmaceutici).
Ciò avviene nonostante la forte espansione aziendale dell’ultimo periodo e il più che raddoppiato incremento dei ricavi.

Il caso rimbalza prepotentemente alla ribalta delle cronache perché il paradosso è evidente. Cosa deve fare un lavoratore se non rendere al meglio al fine di risultare produttivo per il datore di lavoro? Tanto più nel settore privato.
Purtroppo questo criterio non ha più valore, i fatti lo dimostrano.
Gli algoritmi sussurrano ai decisori: in prospettiva, la proiezione dei movimenti legati alla produzione di vaccini e pillole induce a prevedere la necessità di licenziare, magari di ridistribuire, comunque di tagliare.

È un po’ come dire che siccome fra cinque anni i ragazzi in età scolare saranno il 15% in meno, il MIUR promuoverà una politica guidata di bocciature per non svuotare le aule delle scuole italiane.
Perché no? L’idea potrebbe essere cavalcata. Basta trovare il cavallo giusto a cui sussurrare all’orecchio.
A tempo debito ne rivendicherò la paternità!