di Dario B. Caruso
Trascorre l’ennesima Giornata Mondiale che celebra i Diritti dell’Infanzia senza che nulla sia cambiato realmente.
O meglio, se c’è stato un cambiamento non mi è stata data l’opportunità di notarlo.
Ormai ogni giorno si festeggia qualcosa con la consapevolezza che non c’è nulla da festeggiare, i nonni, gli antibiotici, il succo di frutta, il divano letto, gli sposi, il martello pneumatico, l’ornitologia, la foresta Amazzonica, così via per 365 giorni all’anno che già non bastano perché troviamo sovrapposizioni imbarazzanti, con le quali – alla lunga – dovremo fare i conti (ad esempio il 10 dicembre sarà la Giornata Internazionale dei Diritti dell’Uomo ma anche quella dei Diritti degli Animali).
Torniamo ai bambini, ultima generazione dei quali sempre più confusa.
Gianni Rodari insegnava che “è difficile fare le cose difficili”.
Le difficoltà richiedono impegno, sforzo, fatica.
Loro, i bambini, non lo sanno perché nessuno glielo dice, a casa soprattutto ma anche a scuola e nella società.
Ci troviamo di fronte a bambini ai quali tutto è dovuto, che hanno materialmente più del necessario ma mancano di esempi e di tempo.
Dall’altra parte del mondo altri bambini che al freddo e alla fame imparano a morire.
Da una parte “è facile fare le cose difficili”.
Dall’altra “è impossibile fare le cose naturali”.
Se festeggiare le Giornate Mondiali vuol dire accendere ipocritamente il bastoncino di stelline luminose mentre sfogliamo stancamente il touchscreen del telefonino, mi dispiace ma non mi troverete.
Ditelo anche ai bambini.