Cinque Cerchi [Il Flessibile]

di Dario B. Caruso

Olimpiadi di Tokyo 2020

 

Primo cerchio.
Il fisico di un nuotatore lascia sempre senza parole, uomo o donna che sia.
Il sacrificio richiesto per costruirsi è imponente; ore quotidiane di disciplina ed allenamenti non saranno ripagati dai successi – ammesso che giungano – ma il sorriso di una vittoria è quieto, pieno, sereno.
È la lotta contro se stessi, nei confronti di un limite personale, gli avversari appartengono ad un’altra corsia.

Secondo cerchio.
Gli atleti che alle Olimpiadi difendono i colori azzurri sono centinaia. Molti tra loro – uomini e donne – sono naturalizzati italiani, immigrati di seconda generazione o cos’altro, lo si vede a occhio perché spesso parlano un italiano fluido e lessicalmente ricco.
Quelle medaglie sono sempre le più belle, persino le partecipazioni con scarsi risultati o con risultati parziali sono salutate affettuosamente.

Da tutti.

Terzo cerchio.
Le sfide di fioretto, spada e sciabola mi risultano incomprensibili. È come vedere i film storici di D’Artagnan: non essendo addentro alle regole della scherma dunque fatico a giudicare se la stoccata è a favore o contro; per questo prima di esultare o abbacchiarmi attendo le parole del telecronista confortate dal risultato in sovraimpressione sul piccolo schermo.
Poi come per incanto, l’aplomb del vincitore, essere umano appartenente ad un’antica nobiltà, si sdilinquisce: uomo o donna che sia, scioglie la tensione con urla beluine che spaventerebbero un tirex.

Quarto cerchio.
Arco e tiro a volo prevedono la partecipazione di atleti – uomini o donne che siano – freddi come iceberg. Le emozioni televisive sono alimentate dallo sbuffo del piattello o dal bersaglio centrato; personalmente mi appassiona il display che indica il numero di pulsazioni cardiache del tiratore con l’arco: 150/160, roba da infarto.

Quinto cerchio.
Il Giappone si è trovato a gestire un’edizione poco fortunata che resterà comunque impressa negli annali: l’unica olimpiade rimandata di un anno, l’unica a porte chiuse, l’unica realizzata in un anno dispari, l’unica in cui molti sponsor lentamente si sono defilati, l’unica incerta fino all’ultimo giorno, l’unica con la popolazione locale contraria al suo svolgimento, l’unica con un tifone che ha rallentato le gare all’aperto, l’unica con Macron alla cerimonia inaugurale.

Intanto in quanto italiani godiamoci la posizione 15 nel medagliere.

È il momento dell’atletica.