di Dario B. Caruso
Abbiamo imparato a scendere nei profondi abissi marini, a toccare le vette più elevate, a raggiungere velocità impensabili, a volare sul nostro pianeta e verso mondi lontani da noi.
Abbiamo accresciuto le conoscenze grazie allo studio, alle scoperte e alle invenzioni.
Siamo progrediti, dai pollici opponibili e le mani prensili siamo giunti ad una manualità fine sviluppata ed eccelsa.
Abbiamo ipotizzato futuri immaginifici, cosmi asettici e aria pulita, spostamenti silenziosi e sicuri.
Mi rendo conto talvolta di avere gusti troppo semplici, forse dozzinali.
Riesco ad emozionarmi di fronte ad una distesa verde e qualche montagna laggiù, in fondo; mi perdo con lo sguardo osservando l’orizzonte del mare con i piedi che affondano nella sabbia; paradossalmente trovo eccitante un lungo rettilineo in autostrada.
Allora penso che se devo scegliere preferisco andare in orizzontale che in verticale.
Probabilmente sono condizionato dagli acciacchi alla cervicale; è che fatico a guardare per troppo tempo verso l’alto o verso il basso.
Un giorno poi, senza alcun preavviso, ci risvegliamo ancora una volta dovendo fare i conti con la dura realtà.
Questa volta è toccato ad una funivia.
Il bene di tutti continua inderogabilmente a passare in secondo piano di fronte alla cinica mentalità criminale di pochi.
Non è popolare, penso però che un po’ meno potrebbe essere la soluzione.
Un po’ meno voglia di guardare dall’alto, un po’ meno pensieri di cupidigia, un po’ meno padroni del mondo e un po’ meno sicuri della buona sorte.
La buona sorte non esiste, esiste solo la sorte.
Dunque, un po’ meno.