di Debora Pessot
Grande carisma e ironia irresistibile: Daniel Gol si è generosamente concesso in una piacevole chiacchierata in cui racconta i suoi prossimi progetti. Il Teatro distinto, infatti, si è rimesso all’opera con una serie di nuove produzioni alcune di teatro ragazzi: La stanza dei dinosauri, che debutterà il 22 giugno al Palazzo Ducale di Parma nell’ambito del Festival Insolito, e La rivincita, che debutterà al Festival Segnali promosso dal Teatro del Buratto di Milano sempre a fine giugno.
Parallelamente ha lavorato con Daniela Tusa e Massimo Rigo su un testo da lui scritto durante il lock down dello scorso anno dal titolo L’inventario. La storia di una coppia sposata che si trova nella serata di anniversario dei loro vent’anni di matrimonio. In scena venerdì 28 e sabato 29 maggio al Teatro San Rocco di Valenza.
‘La scena si apre con una cena imbandita, la moglie seduta a tavola e il marito steso a terra all’interno di una sagoma da morto e una serie di oggetti intorno che escono dalla bocca di lui.
Praticamente una grande vomitata di piccoli oggetti, probabilmente inghiottiti durante una vita insieme. Un dialogo che ruota intorno a vari temi, quali l’amore, la vecchiaia, la condivisione, la non condivisione, il sacrificio all’interno di un percorso a due in cui uno toglie le cose all’altro o in cui uno si fa togliere delle cose, in una sorta di gioco perverso per restare all’interno di una coppia. Racconta gli aspetti un po’ tossici della coppia’. – spiega Gol.
Una storia d’amore in crisi nel periodo pandemico?
No, è ambientato fuori dal tempo. Quindi potrebbe riferirsi a qualsiasi periodo, non si parla di pandemia. Vengono rappresentati una serie di giochi che questa coppia mette in atto, sul filo tra il reale e l’irreale e, soprattutto, sul filo tra la vita e la morte. Più i quadri avanzano e meno lo spettatore capisce se effettivamente la coppia è viva o morta. Ad un certo punto la situazione si alterna e questa volta è lei ad essere stesa a terra con intorno la sagoma da morto, mentre il marito è seduto a tavola e descrive quella che forse è la scena dell’omicidio. In tavola è servita una crema di funghi e i corpi dei due personaggi sono stesi a terra in momenti alternati.’
Perché il titolo L’inventario?
Perché è una sorta di inventario di tutta una vita insieme, una sorta di testamento finale di questa coppia in un susseguirsi di giochi ironici. In scena: un tavolo, due sedie, una zuppiera, due piatti, due cucchiai e, naturalmente, i due protagonisti che contano. Contano tutti gli oggetti, tutte le chiavi di casa, tutte le case, le automobili, i cellulari, gli schiaffi che hanno preso e quelli che hanno dato, tutte le bugie che si sono detti reciprocamente e quelle che hanno detto a loro stessi. Un vero e proprio gioco al massacro.
Com’è nato questo testo?
È un testo che ho amato molto scrivere. Di solito creo spettacoli senza parole. In questo caso, invece, avevo molto tempo libero perché i teatri erano chiusi, per cui ho potuto sviluppare questa idea e scriverla, cercando di avere cura delle parole scelte. Ogni parola è molto sentita per me, ha un senso anche a livello sonoro. C’è anche un gioco di suoni, di onomatopee. Come protagonista avevo già in mente sicuramente Daniela Tusa. In realtà avevo iniziato a scrivere un monologo pensando proprio alla sua voce che trovo nitida, lucida. Una voce che ti porta dentro ai luoghi dell’immaginario. Poi, andando avanti nella scrittura, emergevano altre idee e dialoghi, mi sono reso conto che si delineava in maniera forte anche una voce maschile.
Chi hai scelto per interpretare il ruolo maschile?
Non avevo un attore specifico in mente. Nell’alessandrino, dove stiamo allestendo questo lavoro, ho pensato che per questo ruolo l’attore con la presenza scenica più indicata fosse Massimo Rigo che, tra l’altro, ha una voce forte e carnosa. Con lui avevo lavorato circa venticinque anni fa, allestendo Un tram chiamato desiderio di Tennessee Williams, lui interpretava Stanley Kowalsky, fu un’esperienza davvero molto molto bella.
Hai puntato su due fuoriclasse..
Si. Ti confesso che non vedo l’ora di vederlo insieme al pubblico, perché Daniela Tusa e Massimo Rigo meritano davvero, sono due attori di profonda poesia. Penso che le attrici e gli attori siano come il vino, invecchiando sono più grevi, più carichi, più ricchi, più spaventosamente vissuti.
A quando il debutto?
Debutteremo il 28 e 29 maggio al Teatro San Rocco di Valenza con più repliche perché, attenendoci scrupolosamente alle normative anti Covid, potremo accogliere pochi spettatori alla volta.
In una sorta di allestimento ad arena, il pubblico sarà seduto tutto intorno al set, a ferro di cavallo, e avranno una visione del lavoro in progress. Sarà quasi come entrare in un set cinematografico con luci, piantane. Insomma un allestimento molto scarno e tutti gli spettatori intorno alla scena. Una specie di agorà in cui si svolge questo gioco al massacro.
Perché questa scelta, anziché una disposizione classica del pubblico?
Io credo fermamente che quando lo spettatore è vicino alla scena i suoi sensi siano più coinvolti. In altre situazioni simili mi sono reso conto di quanto la vicinanza, la trasmissione emozionale e sensoriale sia facilitata perché si crea un’empatia e, in questo momento più che mai, abbiamo bisogno di condivisione, di collettività.
Mancano pochi giorni al debutto, sei emozionato?
Ammetto che durante le prove inizio a provare un po’ di paura. Le parole, come vengono dette, i volti dei protagonisti, creano un dipinto molto forte. La scena è molto statica perché sono dei fotogrammi, solo cinque o sei fotografie, ma ciò che accade in realtà crea molto movimento.
Però, ho grande fiducia di loro come interpreti e devo dire, forse con un po’ di arroganza, anche del testo. Poi sai, invecchiando si acquisisce più sicurezza. Io ho fiducia in quello che faccio, mi fido delle persone con cui lavoro e di come si riesce a creare insieme, per cui ci sono meno paure e più fermezze.
Quanto crei un nuovo spettacolo, provi più emozione quando la vedi prendere forma o la sera del debutto?
Tutto emoziona, ma in forme diverse. Mentre la creo con gli attori: siamo in casa, loro sono un po’ i miei bimbi, diventa una sorta di famiglia e siamo fragili perché stiamo creando qualcosa, ma non sappiamo ancora se siamo bravi. C’è un po’ di insicurezza. È un’emozione grande quando vedo che prende vita. La sera del debutto è un’emozione ancora diversa, perché i bambini sono usciti di casa, non sono più tuoi. Quindi, parlando da autore e regista, lo spettacolo diventa di tutti. Ormai gli attori vengono visti dagli spettatori, vengono toccati dagli occhi di tutti, vengono applauditi, masticati, assaporati da tutti gli spettatori, perché il teatro è di tutti. Quindi io che lo avevo creato e mi sentivo così cuoco ormai posso andare a casa. È decisamente un’emozione diversa, è il gusto del lasciare andare, anche se dopo ti resta un grande vuoto. Quando vedo gli attori andare in scena e prendere gli applausi sono contento per loro perché l’attore è come un bambino che continua a chiedersi se va bene quello che sta facendo. È un bambino che vuol essere amato dal papà, dalla mamma, dalla maestra, continua a farlo da grande, si mette sono i riflettori, nudo, si espone e spera di aver procurato piacere agli altri, è in una posizione di grande fragilità.
Beh, anche tu…
Si, anche io, ma sono dietro le quinte. Mi nascondo, sono più vigliacco, capisci? Quando funziona lo spettacolo è molto bello. Lo considero un atto d’amore. Quando facciamo le repliche vedo gli attori in scena e vedo il pubblico che reagisce è un po’ come seminare un campo. Stai mandando dei messaggi visivi, poetici, etici, estetici, dei contenuti, anche politici forse. È una condivisione importante, è come andare a messa, però senza la convinzione che quello che si sta dicendo sia legge. È bello negli spettacoli porre delle domande agli spettatori, alla collettività. In questo caso: che cos’è una coppia? Che cos’è l’amore? Quando ci si ama realmente? Quando ci si fa male non è forse una forma di amore capovolta, non è forse un modo di amarsi anche se non si sanno più usare le parole giuste?
Le paure sono sempre e solo nemiche o possono essere utili per spingerci avanti per farci salire più su? Sono domande. Gli spettacoli nascono da domande, però le emozioni ci sono sempre e sono miste. Puoi provare molta gioia e contemporaneamente frustrazione perché il teatro è sempre imperfetto. Tu sei bravo e capace tanto quanto la tua ultima opera. Tu puoi aver fatto dieci lavori molto belli, ma se l’ultimo è brutto allora non sei più bravo. Questo vale per tutti gli artisti: danzatori, scrittori, cantanti, compositori, attori, registi, autori. Vacilla la credibilità. A me è capitato di fare lavori che non hanno attecchito, ma alla fine ne crei altri .. è come giocare.
… e l’emozione sarà anche quella degli spettatori che finalmente potranno tornare a teatro …
28 e 29 maggio L’INVENTARIO
debutto con Daniela Tusa e Massimo Rigo
Testo e regia di Daniel Gol
Teatro San Rocco, Valenza (AL)
Posti limitati
Prenotazioni: 335-8246808