di Enrico Sozzetti
Situazione opposta a Torino, con la conseguenza dei malati inviati in tutti gli ospedali piemontesi. Icardi: “Necessario comprendere le ragioni e superare questo limite”
Pazienti covid di Torino trasferiti in modo massiccio nel resto della regione, con il conseguente effetto di bloccare parte delle attività ordinarie e condizionare per settimane buona parte del Piemonte. E anche nei reparti degli ospedali alessandrini la maggioranza dei malati era ‘importata’. Adesso arriva anche la spiegazione tecnica, confermando come i comportamenti non solo non siano stati omogenei, ma che è anche mancata una necessaria assunzione di responsabilità da parte di un pezzo del sistema sanitario.
Il sito de “Lo Spiffero” lo racconta bene, dati alla mano. Il recente report sulle Usca (Unità di continuità assistenziale formate da medici e infermieri, attivate su richiesta dei medici di famiglia) parla chiaro: c’è un Piemonte virtuoso, come la provincia di Alessandria, e un altro che proprio non riesce a esserlo, come Torino. Ma per risolvere il problema, invece di affrontare di petto la questione si è pensato bene di scaricare sulla rete ospedaliera regionale le difficoltà di chi nel capoluogo regionale e dintorni non è stato in grado di fare funzionare il meccanismo messo a punto dalla Regione, con evidenti, e grandi, responsabilità anche dei medici di famiglia, insieme ai Distretti e alle Usca. I numeri del report sono chiari. «“Dove i distretti funzionano bene, dove lavorano bene i loro direttori il sistema dà quei numeri importanti, come quelli che si vedono nell’Alessandrino e nel Cuneese e in altre aree, ma non a Torino”. Il problema va ricercato nei medici di famiglia, nel loro rapporto con le Usca, visto che sono proprio loro a doverle attivare, pur potendo in alcuni casi scegliere di non farlo? “È acclarato che nelle aree metropolitane, come conferma il caso della Lombardia e di altre regioni, il sistema presenti più difficoltà – sottolinea l’assessore regionale alla Sanità, Luigi Icardi – anche se resta necessario comprenderne le ragioni e superare questo limite. Quel che sappiamo di certo è che più funzionano le cure domiciliari, meno è il ricorso ai ricoveri e quindi consentire di ridurre o evitare la pressione sugli ospedali”» si legge sul sito dello “Spiffero”.
La forza delle cure domiciliari
Già, le cure domiciliari, quelle praticate dai medici che hanno prima pensato alla salute dei pazienti, utilizzando i farmaci disponibili. È avvenuto più di un anno fa in provincia di Alessandria, grazie all’Asl e ai medici del Distretto di Acqui e Ovada e agli infettivologi ospedalieri. Ognuno ha curato alcune centinaia di pazienti, con solo una manciata di ricoveri e qualche decesso. Poi, siamo nel 2021, la Regione Piemonte ha approvato un nuovo protocollo di cure a casa che ha messo in campo medici, infermieri, Usca, farmaci. Peccato però che una parte del sistema non si sia assunto questa responsabilità. Certo, c’è chi dirà che in un’area metropolitana tutto è più difficile. Ma curare a casa non è impossibile. Anzi. L’efficacia dell’organizzazione potrà anche essere complessivamente inferiore a quella di una provincia piemontese, ma quello che è accaduto a Torino, e lo dimostra il dato relativo al rapporto della media delle prese in carico dei pazienti, non trova molte giustificazioni.«Quel che sappiamo di certo è che più funzionano le cure domiciliari, meno è il ricorso ai ricoveri» dice Icardi. Vero. Nell’Alessandrino lo dimostrano non le parole, ma i numeri. Che ci sia poi una “macchina” regionale da mettere a registro, è altrettanto vero. Ma c’è anche un altro problema. Il malato covid è uguale in tutta Italia e nel mondo. Come mai questa organizzazione piemontese ottiene risultati positivi e altri medici italiani, istituzioni nazionali, agenzie regolatorie, sostengono che non va bene? Perché di fronte ai casi di pazienti guariti e mai ospedalizzati, diversi ‘esperti’ parlano di colleghi medici come una sorta di apprendisti stregoni? In attesa di una vera risposta (che forse non arriverà mai), non restano che questi dati. Che raccontano una storia diversa. Quella di medici che curano in scienza e coscienza, fedeli solo al giuramento di Ippocrate. E non pensano invece alle comparsate quotidiane come quelle di coloro che, ancora oggi, continuano a discettare, su giornali e televisioni, di coronavirus, cure e vaccini senza avere mai visto in un solo paziente in vita loro.