Annata agricola ‘positiva’, ma anche condizionata dalla pandemia, dal clima e dalla fauna selvatica [centosessantacaratteri]

di Enrico Sozzetti

 

Il bilancio della Cia di Alessandria. Un 2020 “discreto per alcuni comparti”, ma con profonde contraddizioni per i prezzi in aumento e le difficoltà di commercializzazione

 

Una annata agricola «positiva», ma «senza precedenti storici per le difficoltà legate alla pandemia da coronavirus». Una annata «discreta per alcuni comparti», però contrassegnata da profonde contraddizioni con prezzi in aumento per alcune produzioni e difficoltà di commercializzazione e mercato per altre. Non è facile trovare una chiave di lettura precisa per quest’anno. Lo conferma il bilancio del 2020 presentato dalla Cia (Confederazione italiana agricoltori) di Alessandria. Accanto alle notizie positive, ci sono quelle negative legate agli effetti delle grandinate di luglio, i nubifragi di agosto e all’alluvione di ottobre. Senza dimenticare, come sottolineano ripetutamente Gian Piero Ameglio e Paolo Viarenghi, presidente e direttore della Cia, il problema «irrisolto» della fauna selvatica, destinato «ad aggravarsi l’anno prossimo se non si pone un freno alla diffusione incontrollata, in particolare, dei cinghiali», e quello delle aziende danneggiate dall’alluvione e ancora in attesa dei risarcimenti. «Il quadro è pesante e non solo per il 2020. Vi sono aziende che attendono ancora i soldi del 2016. I ritardi – afferma Viarenghi – non fanno che aggravare situazioni già in profonda difficoltà in alcune aree della provincia».

Rispetto all’annata agraria, ecco come è andata. «Situazione discreta» per il comparto del frumento con una qualità «soddisfacente» di granella, ma semine «colpite dall’impatto delle esondazioni». Il grano, la provincia di Alessandria è la seconda area di produzione del nord Italia, deve fare i conti però con alcuni fattori che frenano lo sviluppo: c’è quello della qualità, non alta, e poi la mancanza di un progetto industriale di trasformazione.

La vendemmia è stata «positiva nel suo complesso» per qualità e quantità, pur dovendo ancora fare i conti con alcune patologie (flavescenza dorata, oidio, mal dell’esca, peronospora). Gli effetti della pandemia si sono però fatti sentire sul piano della commercializzazione del vino con il settore Horeca (Hotellerie-Restaurant-Café: si riferisce alle aziende alberghiere, della ristorazione, del catering, dei ristoranti e dei bar) che ha dovuto pagare un conto pesante. «Fra l’altro – puntualizza il direttore della Cia – il settore non rientra fra quelli che hanno diritto a un ristoro perché tecnicamente l’attività non è mai stata interrotta. Peccato che il vino non si riesca a vendere, se non solo in parte, e la produzione è ferma in cantina a causa delle chiusure o dell’apertura molto parziale di negozi, ristoranti, enoteche». Ha poi pesato in maniera significativa la difficoltà di spostamento, a causa del covid19, della manodopera che tradizionalmente è impegnata nei vigneti.

Andamento positivo anche per la frutta: mele, susine, albicocche («molto bene il 2020»). Viene definita «buona», per qualità e quantità, la campagna risicola, benché l’area del Casalese abbia subìto le conseguenze dell’alluvione del Sesia che è stata «pesantemente impattante per centinaia di ettari». Comparto carne: calo dei prezzi per i bovini maschi della razza Piemontese («Ha invece tenuto quelle delle femmine» precisa Ameglio), così come sono risultati in discesa quelli del settore suinicolo e avicolo. Rispetto ai bovini, il presidente della Cia (allevatore con l’azienda a Franchini d’Altavilla), aggiunge: «Durante il periodo di lockdown si è accentuata la crisi su alcuni comparti della razza bovina Piemontese che ha visto un crollo importante sui mercati. Ciò mette in difficoltà le aziende, che non riescono a finalizzare un reddito adeguato».

Le nocciole e la concorrenza

Un discorso a parte meritano le nocciole. Il 2020 è stato un anno che ha registrato una resa «quasi normale» pari al quarantacinque per cento sulla sgusciatura, una «buona produzione», ma la produzione ha sofferto «la pesante concorrenza dei mercati esteri» che si è tradotta in un calo significativo dei prezzi, passati dai 3,90 / 4,40 euro al chilo del 2019 ai 2,96 euro di quest’anno. «A preoccupare è, ancora una volta, la concorrenza proveniente dalla Turchia che incide sulle scelte dell’industria dolciaria italiana» rileva la Cia. A giudizio di Cinzia Cottali, vicedirettore provinciale Cia Alessandria e imprenditrice a Bistagno, e di Daniela Ferrando, presidente di zona della Cia di Acqui Terme e vicepresidente provinciale (imprenditrice agricola dal 2008, ha rilevato l’azienda del nonno e l’ha trasformata a indirizzo corilicolo su dodici ettari in larga parte già in produzione, e in seguito ha avviato l’attività apistica con circa duecento alveari), il problema delle nocciole è quello di una produzione che non è ancora «in grado di soddisfare la quantità richiesta dell’industria» e che è indirizzato invece a un mercato locale che però, anche in conseguenza della pandemia, non è stato in grado di assorbirla. Le associazioni di categoria hanno più volte sollecitato interventi, da parte della Regione Piemonte, sulla filiera e su una produzione che è di altissima qualità, ma insufficiente rispetto alla domanda, in particolare dell’industria alimentare.

L’associazione ‘in presenza’

Nell’anno della pandemia, la Cia ha scelto di garantire il servizio il più possibile in presenza, sia nei confronti delle aziende, sia dei cittadini. Sono stati fatti investimenti per riorganizzare gli spazi degli uffici e sono stati anche programmati due trasferimenti: la Cia di Tortona ha aperto la nuova sede in corso Repubblica 25, mentre la sede di Casale all’inizio del 2021 trasloca in corso Indipendenza 41. Ad Alessandria, invece, è stato in parte riorganizzato il patronato Inac con ingresso da via Ghilini e non più in via Mazzini. «Non nascondiamo però al contempo – sono parole di Paolo Viarenghi – una forte critica verso i Decreti della presidenza del Consiglio dei ministri la cui attuazione si è rivelata estremamente confusionaria, complessa e scaricata sul settore privato, disagio motivato in parte dall’assenza del settore pubblico, in smart working».