di Ettore Grassano
Nel pieno della bufera sanitaria ed economica, e di una crisi senza precedenti che rischia di dimezzare il numero di imprese del mondo del commercio, Confesercenti alza la voce,si rivolge all’Antitrust, ma anche al mondo della politica, e punta al bersaglio grosso: ossia a quei colossi del web che, a partire da Amazon, di questa situazione di emergenza si stanno notevolmente avvantaggiando, poiché non soggetti a chiusura di attività. Beneficiando peraltro, e questo è lo snodo vero, di un regime fiscale spesso fortemente agevolato, che secondo Manuela Ulandi (Presidente provinciale di Confesercenti) e Michela Mandrino (Presidente di Alessandria, e vice provinciale), genera una distorsione inaccettabile del mercato.
Ma nell’intervista parliamo anche di molto altro: dalla grande capacità di reazione del commercio di vicinato di fronte alla crisi, con servizi di asporto e consegne a domicilio, ai tentennamenti del Governo, alla ‘spada di Damocle’ di cui quasi nessuno parla, rappresentata dalle nuove regole europee sul default delle imprese.
Partiamo dalla vostra battaglia contro la concorrenza sleale dei colossi del web. Vi aspettate una risposta concreta, in termini legislativi?
Confesercenti da molti anni chiede ai vari Governi che si sono susseguiti l’istituzione di una tassa per tutti i colossi dell’e-commerce che fanno affari nel nostro Paese, ma pagano le tasse nei cosiddetti paradisi fiscali. Purtroppo nessun Governo finora ha inserito questa nuova tassa, che noi definiamo di equità, concorrenza leale. Tuttavia in questa situazione è originale che l’Unione Europea consenta che alcuni Paesi membri possano adottare regimi agevolati e che invece non ci sia una fiscalità omogenea. Il rischio è che il commercio, un settore già in crisi da oltre un decennio, venga definitivamente condannato a morte da queste disparità. Se venisse istituita questa nuova aliquota entrerebbero nelle casse dello Stato alcuni miliardi che potrebbero essere destinati al sostegno dei negozi.
Un 2020 terribile per tutti, ma il commercio rischia di pagare il conto più salato: per molte realtà è a rischio la stessa sopravvivenza. Il Governo sin qui cosa ha sbagliato?
Premettiamo che siamo solidali con coloro che stanno ricoprendo ruoli nelle istituzioni in questo momento. Detto questo al Governo Confesercenti ha mosso non solo lamentele, ma ha fatto molte proposte concrete ed attuabili. Secondo noi il Governo ha assunto decisioni sulle chiusure delle attività economiche, in base ai codici Ateco, generando confusione e senza una comunicazione chiara che spiegasse la ratio. Inoltre i numerosi Dpcm sono stati adottati, senza permettere agli imprenditori di organizzare il lavoro della propria impresa e dei propri dipendenti. Non è rispettoso del mondo dell’impresa, ascoltare ai Tg la sera quale categoria merceologica potrà aprire al mattino seguente. Assistiamo inermi ai giganti del web che guadagnano sempre di più, mentre le attività di vicinato sono chiuse. Occorre intervenire su questa distorsione del mercato che vede l’arricchimento di pochissimi a scapito delle disgrazie di troppe partite iva. Comunque oltre a questo ci farebbe piacere se il Governo accogliesse le proposte fatte da Confesercenti durante gli Stati Generali, creando una o più piattaforme online pubblico-privato dove inserire i negozi. Sarebbe una vera svolta digitale, dove non si arricchisce smisuratamente qualcuno, ma sarebbe una reale svolta digitale per permetterebbe ai piccoli una visibilità della loro vetrina su strada integrata con quella online, accompagnata da un’adeguata formazione innovativa, offrendo un servizio alla popolazione. Inoltre dal Governo ci saremmo aspettati un calendario chiaro degli adempimenti fiscali e contributivi.
I commercianti hanno davvero mille risorse e anche a livello locale hanno messo in campo cuore e fantasia: consegne domicilio e asporto però sono ovviamente soluzioni di pura emergenza. Cosa vi aspettate che succeda a dicembre? Il passaggio a zona arancione sarà sufficiente?
Gli imprenditori non mollano, e sono tenaci nel difendere la loro attività e noi siamo al loro fianco in ogni battaglia quotidiana. Soprattutto durante il lockdown primaverile ci si è resi conto del servizio essenziale che svolge il commercio di vicinato, quando larga parte della società è tornata nella bottega sotto casa, non potendosi spostare e sentendosi più al riparo dalle troppe presenze rispetto ai supermercati. La riapertura dei negozi di questi giorni, rispettando i protocolli di sicurezza su cui i commercianti hanno investito per mettersi a norma, è positiva, ma ancora insufficiente, e non per tutti. Basta disparità tra lavoratori. Tutti devono avere il diritto di lavorare, consapevoli che aprire il negozio non vuol certo dire fare fatturati adeguati a sopportare le tante spese, balzelli, fornitori, affitti ecc. Inoltre Confesercenti a supporto dei negozi delle città e dell’economia virtuosa che questa rappresenta, da alcune settimane sta facendo un grande sforzo per sostenere una campagna di comunicazione invitando la cittadinanza ad un acquisto responsabile e solidale verso i commercianti di fiducia delle proprie città. Insomma non spegniamo le città con un click. Il portale ADomicilio, i nostri canali social sono costantemente aggiornati con le numerose attività che effettuano consegne a domicilio, asporto, take away. Già dal primo lockdown Confesercenti ha intensificato l’attività di supporto dei negozi ad una crescente necessità di digitalizzazione e sostegno alle vendite a distanza. Abbiamo avviato un servizio di consulenza online attivo 7 giorni su 7 che offre gratuitamente informazioni e delucidazioni su tutte le materie attinenti al mondo del commercio.
La ristorazione e l’abbigliamento sono tra le filiere più colpite in assoluto: avete qualche proiezione sui danni economici su base annua in provincia?
Queste due categorie sono fortemente colpite, ma non si salva nessuna, pensiamo alla filiera del turismo, della cultura, dei fieristi e altre ancora. E poi anche le categorie che sono rimaste aperte stanno lavorando pochissimo. Le città sono deserte, la gente non esce, non girano soldi e nel mentre lievitano gli investimenti in banca, perché chi ha risorse non spende per prudenza, per paura di un futuro troppo incerto. La filiera della moda sta soffrendo moltissimo perché è già reduce del blocco primaverile e gli ultimi mesi dell’anno sono quelli con la percentuale maggiore del fatturato annuale e quindi ci vogliono iniezioni sostanziose di liquidità, altrimenti rischiamo che troppe attività non riaprano più. Affitti, fornitori da pagare per merce acquistata e rimasta invenduta, tasse, comprese quelle che scadono oggi, imposte regionali e locali e bollette. Una morsa esagerata. Per non parlare della ristorazione, con questa seconda ondata di Covid sono svaniti € 11.5 Miliardi di fatturato. Occorre abbassare le commissioni sui ticket, il costo del lavoro, stop immediata della Tari. Si calcola che in media ogni pubblico esercizio abbia perso € 55 mila di fatturato, cioè il 30% di quello annuale, queste le stime di Fiepet Confesercenti. Un impatto disastroso in una delle filiere che rappresentano l’eccellenza italiana. Tuttavia, in tutto questo caos siamo consapevoli che stiamo solo aumentando il debito della nostra bella Italia, che lasceremo in eredità ai giovani.
Altra realtà in enorme difficoltà è quella del commercio ambulante, con molte tipologie costrette alla chiusura in zona rossa, anche se all’aperto. Peraltro questo si somma a problematiche “storiche”, di cui parliamo da anni…..
Sul commercio ambulante sono state fatte scelte incomprensibili, e a questa categoria aggiungiamo i fieristi che sono completamente fermi dal gennaio 2020. E’ assurdo perché lavorano all’aperto e tutti i protocolli di sicurezza sono stati adottati. Non si capisce perché alcune categorie siano state considerate a rischio. Sulla base di quali studi? Non si può negare il diritto al lavoro sulla base di un codice Ateco, perché il rischio ingiustizie tra categorie incrina anche la tenuta sociale. I mercati rappresentano il lavoro per migliaia di micro imprese, espressione della vitalità e dello sviluppo dei territori. La settimana scorsa la nostra categoria Anva è scesa in piazza davanti alla Prefettura per rivendicare il diritto al lavoro ed esprimere le crescenti difficoltà, che non vengono cancellate dal passaggio a zona rossa ad arancione.
Parliamo di ristori, come li chiamano ora: quelli di primavera sono arrivati? Quelli di oggi stanno arrivando? Bastano?
Buona parte dei ristori sono arrivati e stanno arrivando, in alcuni casi con ritardo, ma non sono sufficienti. Vengono visti come un’ elemosina. Facciamo un esempio con il fondo a favore della ristorazione, è un’ottima iniziativa, ma un capolavoro di burocrazia, sembra studiato per disincentivare a farlo, tanto è complessa e anacronistico, infatti richiede un impegno organizzativo significativo e costi a carico del potenziale beneficiario. Gli imprenditori hanno bisogno di bei progetti, ma snelli, cioè un modulo semplice da compilare, con pagamenti tracciati, per evitare evasioni, e deve bastare quello, senza chiedere altre certificazioni e oneri. Poi c’è bisogno di immissione di liquidità ben strutturate, possibilmente a fondo perduto o con restituzione molto lunghe nel tempo per sostenere il debito. Le istituzioni hanno redatto molti protocolli per far aprire a maggio tutte le attività. Gli imprenditori hanno investito, molti si sono indebitati, con i famosi mutui da € 25 mila, ma l’accesso è stato lungo, periglioso e complicato per i più. Insomma avremmo auspicato e l’abbiamo proposto a tutti i Tavoli di lavoro locali e nazionali una partnership reale tra sistema creditizio e Stato. Se non si sblocca questa situazione, rischiamo di avere definitivamente le città deserte, buie, insicure e tristi come in questi giorni di lockdown. Inoltre un imprenditore che vede limitata la sua libertà d’impresa deve capire con chiarezza la ratio per cui non può lavorare. Invece assistiamo ad una comunicazione che disorienta tutti noi sia come cittadini che come imprenditori.
Cassa integrazione dei dipendenti, anche qui ritardi epocali, o ora ci siamo?
Le pratiche per la cassa integrazione sono quasi arrivate tutte ma con grave ritardo, ledendo le integrità dei bilanci familiari dei dipendenti e la loro dignità personale. La farraginosità delle pratiche e le procedure sono un vero incubo. A questo Paese serve snellezza, e sburocratizzazione . manca il collegamento tra chi legifera e gli anelli operativi del Paese. Molti imprenditori hanno anticipato ai propri dipendenti la cassa integrazione e ora non hanno più le condizioni per farlo. Teniamo conto che molte imprese con dipendenti hanno un rapporto stretto, di affetto di solidarietà con il dipendente con cui condividono storie di vita e di famiglia. Temiamo davvero il fallimento per troppe imprese e il posto di lavoro per troppi dipendenti.
Su tutto il sistema delle imprese incombe un’altra spada di Damocle, di cui poco si parla ma che voi avete segnalato: le nuove regole europee sul default. Che succederà?
Purtroppo, se non si interviene seriamente, tante attività del commercio, ma anche di industria, artigianato e servizi, rischiano la chiusura. Le nuove regole europee sul default rischiano di mandare in tilt il sistema del credito italiano, e in un momento di grave difficolta potrebbero contribuire a spingere migliaia di attività verso i finanziamenti illegali. Dal 1° gennaio basterà infatti un arretrato di oltre 90 giorni, superiore all’1% dell’esposizione totale verso l’istituto di credito – anche se di soli 100 euro – per far classificare l’impresa in default. E gli istituti peggiorano automaticamente la posizione dei creditori. Chiediamo ai Parlamentari del territorio che si attivino su questo argomento, che sta passando sottotono a causa delle giuste attenzioni che richiama il coronavirus, ma che è invece di primaria importanza per la sopravvivenza delle imprese e la tenuta economica, sociale e psicologica che questa norma porta con sé.
Complessivamente quante attività commerciali e posti di lavoro rischiano di “saltare” nella nostra provincia a causa di questa crisi senza precedenti?
Negli ultimi 10 anni a causa di scelte scellerate a danno del piccolo commercio questa provincia ha perso oltre 4 mila attività con circa 10 mila posti di lavoro. Numeri che fanno rabbrividire, un’emorragia che nessun Amministratore e Legislatore ha voluto arrestare. Purtroppo il rischio che centinaia di vetrine della nostra città non riaccendano è altissimo. Se non c’è un progetto serio di ripartenza rischia di chiudere il 50% delle attività.
Eppure i commercianti non mollano mai: se, come ci auguriamo tutti, il virus sarà sconfitto o comunque molto arginato con un vaccino, nei prossimi mesi del 2021, quali saranno i pilastri da cui ripartire?
Noi partiamo sempre dal nostro storico ed autentico slogan “se vive il commercio vive la citta”. Ostinatamente continuiamo a dire le stesse cose che dicevamo anche prima di questa terribile pandemia. Le Istituzioni di tutti i livelli dovrebbero fare scelte a favore del piccolo commercio: riduzione della pressione fiscale al primo punto, sburocratizzazione, accesso al credito con corsie privilegiate, riduzione del costo del lavoro. Se non diamo lavoro non c’è reddito e senza reddito manca capacità di spesa delle famiglie e c’è uno corto circuito. Confesercenti continua a sollecitare di utilizzare gli oneri della grande distribuzione, che, soprattutto in questa città continua a crescere, a favore dei negozi di vicinato, del centro storico e dei poli commerciali. Istituzione della web tax i cui proventi dovrebbero costituire il “tesoretto” per sostenere i progetti del piccolo commercio, come quelli che proponiamo da tempo. Cioè investimenti a favore della formazione continua dei commercianti, creazione di una o più piattaforme digitali a cura del pubblico con partnership privata. Questa è un’iniziativa proposta da Confesercenti durante gli Stati Generali organizzati dal Governo Italiano. Eventi e campagne di comunicazione importanti a favore del commercio al dettaglio, del nostro artigianato e della filiera turistica e culturale che è l’Italian style life per cui eccelliamo nel mondo. Per esempio è un’ottima iniziativa quella del bonus 110%, ma snellita. Insomma occorrono riforme per riscrivere urgentemente le regole di questa Nazione. Ci farebbe piacere che a tutti i livelli le Regioni e il Governo ci ascoltassero e mettessero in pratica le nostre proposte.