di Enrico Sozzetti
Viaggio alla scoperta de ‘La Filippa’, un modello industriale e sociale tra Piemonte e Liguria
Un piazzale industriale utilizzato come parcheggio e deposito. Un piazzale come tanti, grigio, cementato e per nulla attrattivo. Un’area poi sempre meno usata e che rischiava un destino di abbandono simile a quello di altre migliaia e migliaia di spazi simili in Italia.
Ma così non è stato perché alla “Filippa” di Cairo Montenotte i principi dell’economia circolare, del recupero e riutilizzo, della sostenibilità sono applicati dappertutto, non solo nell’attività principale.
E non è un caso perché la “Filippa” è un modello di discarica sostenibile dalle caratteristiche quasi uniche nel panorama italiano. Lo è per il modello industriale e lo è per la filosofia aziendale che va ben oltre il pur importante principio della responsabilità sociale d’impresa. Quello di Cairo Montenotte è il risultato di un processo di diversificazione, evoluzione e innovazione che gli imprenditori Massimo e Carlo Vaccari, hanno intrapreso, nel corso di una storia d’impresa che inizia alla fine del 1800 a Valenza e prosegue proprio a Cairo, dove per oltre cinquant’anni la famiglia Vaccari (è alla quarta generazione) ha prodotto laterizi e sistemi per l’edilizia.
Poi è arrivata la svolta con la discarica sostenibile che punta «a ridurre al minimo gli impatti e restituire il sito in equilibrio con l’ambiente nel più breve tempo possibile». L’area, dove sorgeva la storica cava di argilla, ha ospitato il primo chilo di rifiuti al termine di un percorso burocratico durato sette anni e scandito dall’opposizione di comitati e cittadini e dalla diffidenza della politica. Sono stati i risultati ottenuti negli anni, il ruolo sociale, la trasparenza e la visione d’impresa a convincere progressivamente il tessuto locale fino a fare diventare l’impianto ligure un esempio. La discarica che man mano che viene riempita, e diventa uno spazio verde, è un modello economico innovativo. Ed è un «percorso di rigenerazione che resta però un caso ancora isolato» come ha rilevato la rivista di Legambiente, “La nuova ecologia”, focalizzando le sei ‘R’ di Cairo Montenotte.
Alle tradizionali ‘Riduzione, Riutilizzo, Riciclo, Recupero‘ si sono aggiunte quelle volute dai fratelli Vaccari: ‘Riqualificazione‘ dell’area compromessa dalle precedenti attività industriali e ‘Riutilizzo‘ del sito a fini ricreativi. In questa zona, a ridosso della periferia cairese, è in corso una trasformazione radicale che non riguarda solo l’attività industriale, ma lo stesso sistema di rapporti sociali all’interno della comunità locale. Come testimoniano alcuni progetti ormai diventati realtà consolidate e le storie dei “vicini di casa”.
Il “Giardino di casa” aperto al pubblico
Il racconto di un luogo di lavoro che cambia pelle, vissuto dai dipendenti e al servizio di tutta la comunità di Cairo Montenotte
L’ultimo capitolo (in ordine di tempo, perché altri sicuramente seguiranno) è stato scritto proprio a pochi passi dalla sede dell’azienda. Su questo piazzale che nell’arco di poco tempo è stato trasformato in un prato verde dove non manca nemmeno un frutteto. Si chiama “Giardino di casa” ed è dotato di uno spazio per le riunioni, ovviamente all’aperto, ombreggiato (e protetto dalla pioggia), rete wifi free, prese di ricarica per smartphone e computer, dock station, illuminazione crepuscolare e di una fontanella di acqua potabile. Pensato inizialmente come area esclusivamente al servizio della “Filippa” per meeting e attività ricreative, è stato poi aperto anche a vicini e passanti che possono usufruire delle dotazioni e dei servizi. Gli arredi sono tutti in legno e contribuiscono a rendere accogliente e gradevole la permanenza a chi vuole trascorrere qualche ora in mezzo al verde, come a chi usa lo spazio per lavorare e per riunioni. Ed è qui che, per esempio, nell’orario della pausa pranzo è facile trovare i dipendenti dell’azienda, come è accaduto durante una bella giornata di sole, calda, ma non eccessivamente afosa. Seduti intorno al tavolo ecco alcuni dei collaboratori della “Filippa”. Il gruppo è eterogeneo. Per esempio, c’è chi lavora in azienda da 25 anni e che ha vissuto tutto, dalla fase iniziale quando era ancora una fornace, ai momenti più duri della crisi, fino alla nuova stagione dell’economia circolare. «L’avvio della discarica e i primi interventi di riconversione – è il loro racconto – sono stati complicati, non tanto dal punto di vista industriale, quanto per i rapporti, non facili allora, con Cairo, con gli stessi nostri parenti e gli amici. Ora è davvero un’altra cosa. La relazione con l’intero tessuto cairese è cambiata. Prima era tutto male, adesso non c’è più quasi diffidenza».
“Quando finiscono i pregiudizi, le cose cambiano radicalmente”
Le parole di chi lavora qui da molti anni, come di chi è stato assunto in tempi più recenti sono simili. Come la professionista che da un paio di anni è alla “Filippa”, ma ha maturato una lunga esperienza nel settore dei rifiuti: «L’azienda era già molto conosciuta come corretta, precisa, seria. Una discarica non è negativa se gestita correttamente. Nel settore si va in modo sempre più massiccio verso il recupero e questi impianti, in presenza di uno scarto che non può essere invece in alcun modo recuperato, sono essenziali per la green economy. La discarica ha un ruolo fondamentale perché l’obiettivo finale è non danneggiare l’ambiente. Qui i rifiuti che arrivano sono passati per impianti di trattamenti che hanno valorizzato tutto il possibile. Sono frazioni non più utilizzabili e vanno gestite in modo corretto. Sono rifiuti non pericolosi e con bassa percentuale di sostanza organica non putrescibile. Ecco perché quando le persone smettono di avere pregiudizi e imparano a conoscere, allora le cose cambiano, radicalmente».
L’impianto della “Filippa” è oggi un modello di sostenibilità riconosciuto a livello internazionale. La discarica smaltisce rifiuti non pericolosi adottando soluzioni progettuali e gestionali. L’idea di questo spazio verde, a fianco della palazzina degli uffici, è stata approvata in pieno dal personale. «Questo giardino ci ha dato una carica in più. È uno spazio gradevole». E c’è chi ha messo la propria competenza e professionalità al servizio di progetti esterni all’azienda come è avvenuto per il “Prato delle Ferrere”, progettato e realizzato dalla “Filippa”. «All’inizio – viene ricordato – erano davvero molti i dubbi di dare vita a un’area verde con giochi all’aperto dove fare entrare bambini, mentre l’impianto della discarica è a qualche centinaio di metri. Ma poi è stato un successo clamoroso, grazie a un progetto condiviso e rispettato da tutti. Non c’è una carta per terra, i giochi sono a posto e tenuti benissimo, chi frequenta il parco ha a cuore la buona gestione ed è estremamente responsabile. Questo “Giardino” è nato con lo stesso spirito di condivisione e di apertura al pubblico».
La discarica che man mano viene riempita, con una copertura di piante e fiori, ricostituisce progressivamente la storica morfologia della zona e rappresenta anche un modello economico che riesce a tenere lontano il malaffare che troppo spesso ruota intorno ai rifiuti.
Il Prato delle Ferrere
Realizzato da “La Filippa” nel 2010 a Cairo Montenotte è diventato un esempio di sostenibilità e senso civico
Il parco pubblico attrezzato è nato su un’area che per molto tempo è rimasta abbandonata, incolta, dove regnavano solo erba alta e detriti. La “Filippa” ha accettato la sfida e sui circa cinquemila metri quadrati ha realizzato un spazio pubblico pensato per i più piccoli, interamente all’insegna della sostenibilità e dell’economia circolare. La fornitura è stata affidata a Legnolandia, azienda friulana del settore dei giochi per parco, arredo giardino e biocostruzioni, premiata con la Bandiera Verde di Legambiente. Le strutture e i giochi sono stati costruiti con legname a chilometro zero, abbattendo le emissioni di anidride carbonica e utilizzando materiali complementari riciclati e riciclabili, provenienti da cicli lavorativi che sfruttano esclusivamente energie derivanti da fonti rinnovabili. Ci sono la “Casa del Camaleonte”, una struttura prefabbricata che da deposito attrezzi si è trasformata in un bagno pubblico autogestito, un vecchio quadro elettrico, ormai in disuso, che è diventato la “Piccola Biblioteca Libera del Prato”, il portale d’ingresso, realizzato recuperando una delle centine in legno utilizzate nel 1964 per la costruzione del forno, realizzata dai carpentieri della vecchia fabbrica di mattoni della Valle delle Ferrere. E sempre dalla stessa fabbrica è stato recuperato, come elemento funzionale e architettonico per la costruzione della staccionata del parcheggio, un profilato in gomma che serviva per mantenere puliti i nastri di trasporto dell’argilla. E non manca una mostra fotografica permanente che accompagna i visitatori alla scoperta degli animali che vivono nella valle. Sono trentadue le immagini di Roberto Malacrida che si possono ammirare passeggiando intorno a un recinto che assomiglia a un piccolo ranch.
“Oasi felice per i bambini”
«È un’oasi felice per i bambini, raccoglie i loro sogni di crescere e dare libero sfogo alle fantasie. Io – racconta Anna Maria Musso – lavoro alla scuola materna e li vedo tutti i giorni. La “Filippa” è una realtà particolare. Quando si sente la parola discarica la si associa sempre a qualcosa di brutto e puzzolente. Invece non è così. Ho vissuto la storia dell’impianto, io sono di Cairo, e l’insediamento non è stato semplice. All’inizio ci sono stati scontri con la società locale. Però da cairese posso dire che questa è una bellissima realtà. Si vede che nell’ex cava è stata ricostruita la collina, c’è tantissimo verde, le cascine intorno rinascono. E questo prato è una chicca».
Vi sono alcune sfumature diverse nei commenti di chi frequenta il “Prato delle Ferrere”, ma il giudizio è assolutamente lusinghiero e uguale per tutti. C’è il nonno che porta la nipotina «quando la mamma non può. È stata una bella idea, è tutto pulito e ben curato, anche d’inverno, ci sono giochi nuovi ed è un posto comodissimo per chi abita qui. Non c’è tanto cemento in giro, c’è molto verde. In centro esiste un’altra area per bambini, ma non è così».
E c’è papà, soddisfatto per l’area, che dice di conoscere la “Filippa” fin da quando si è insediata e che questa idea è stata davvero unica. Una mamma definisce l’area «un posto favoloso e incantevole che ho scoperto da anni, con giochi all’avanguardia, un occhio di riguardo per l’ambiente, il valore aggiunto dei pannelli che raccontano la vita degli animali e uno spazio dedicato ai libri». Conosce “La Filippa” e definisce l’attività dell’azienda come «lodevole: sarebbe utile che tutte le aziende, come sta facendo la “Filippa” investano sul territorio, è un gesto che va apprezzato». Una maestra che insegna a Cairo, appena arrivata al “Prato delle Ferrere” con la figlia e la nipotina, parla di un’area «molto frequentato e ben tenuta. Inizialmente – aggiunge – mi era quasi sembrato un ‘regalino’ dalla discarica, invece è diventata davvero un’altra cosa. C’è una attenzione vera, il parco è tenuto bene, il rapporto con le scuole è molto solido e c’è un autentico rispetto dell’ambiente».
I vicini di casa
Le storie di chi abita e ha avviato attività imprenditoriali vicino a ‘La Filippa’ di Cairo Montenotte
Il “Giardino di casa”, di fronte alla sede della “Filippa”, il “Prato delle Ferrere” a poche centinaia di metri di distanza e intorno i vicini di casa. Quelli che vivono qui e lavorano altrove e quelli che hanno delle attività proprio a due passi dalla discarica. La presenza di questo impianto, non certo nuova, non sembra abbia preoccupato o costituito un motivo di imbarazzo. Lo dice chiaramente Alessandra Costa che quasi di fronte al “Prato delle Ferrere” ha aperto un maneggio. «È sempre stata una mia passione, ho iniziato con un cavallo, oggi sono dieci» racconta. Per precisare subito dopo che il suo percorso professionale è stato diametralmente opposto e il sogno del maneggio è riuscita a concretizzarlo, insieme al marito, solo dopo molti anni. Infatti il suo lavoro è completamente diverso: prima architetto e poi ingegnere di saldatura, impegnata da tempo nell’azienda di famiglia che costruisce treni. Finalmente poi arriva il momento di dare concretezza alla passione, nasce il maneggio che in linea d’aria si trova a poca distanza dalla discarica.
“Mai avuto problemi”
«In questi anni – prosegue Alessandra Costa – non abbiamo mai avuto problemi né di rumore, né di odore. Sentivamo di più il rumore della levata di scudi che arrivava dalla cittadina nei primi tempi che quelli dell’azienda. Noi con la “Filippa” ci siamo confrontati e abbiamo trovato molti punti in comune. Da loro è anche arrivato un aiuto per fare crescere l’attività del maneggio: lavoriamo molto con i bambini e il nostro impegno è rivolto a toglierli dalla strada, offrendo l’opportunità di una attività socializzante ed educativa. Parallelamente abbiamo poi aperto anche un’azienda agricola (la ‘S. Anna’) che coltiva tutto in modo tutto naturale. Ci siamo sempre mossi per mettere insieme delle buone idee per fare ripartire questa valle. Una volta che sarà completato il recupero dell’area discarica potremmo chiedere di usare una parte dello spazio per svolgere alcune attività del maneggio. Siamo contenti di avere dei vicini così, ne avessimo tanti».
“È un vero valore aggiunto”
A poche decine di metri c’è il bed & breakfast “Le Macine”. La proprietà e la struttura originale risalgono alla metà dell’Ottocento e la storia racconta della forza delle radici, del fascino e della caparbietà di chi ha saputo credere nelle potenzialità di questa valle. «L’edificio originale – racconta Fausta Cambiaso – risale al 1855, mentre la casa padronale è stata terminata nel 1899. Io e mio marito abbiamo vissuto fino al 2013 a Genova, poi, appena andata, in pensione abbiamo deciso di ristrutturare la casa e siamo venuti a vivere qui. È stata una scelta di vita. Ma io sono sempre stata abituata ad avere una vita di relazioni, non riesco a non vedere la gente, ecco perché abbiamo deciso di aprire un bed and breakfast a piano terra. Quando viaggiamo, sceglievamo sempre i b&b e abbiamo fatto esperienze bellissime. Ecco perché ho scelto di aprirne uno di qualità, dove la quiete e il relax sono protagonisti. La presenza della “Filippa” – prosegue – non è mai stata un problema e con loro abbiamo ottimi rapporti. Quando una volta l’ho visitata insieme a un nostro ospite che voleva vederla, sono rimasta meravigliata. Ho percepito l’emotività, la voglia di fare, di inventare. Quella non è solo una discarica. Rispetto alla comunità è un valore aggiunto. E poi c’è il “Prato delle Ferrere”, quando ho ospiti con i bambini li mando sempre lì».
“Una scommessa vinta”
Sempre nell’arco di poche decine di metri ecco altri due vicini di casa. Roberto Fiello, musicista e insegnante, una passione trasformata in attività e vissuta con intensità per l’intera giornata («Non smetterei mai di suonare») e Paolo Valenziano che abita a pochi passi dalla sede di lavoro. La casa è antica, circondata da un prato all’inglese e da molto verde. Lui lavora dal 2008 alla “Filippa” che ha vista crescere. «Oggi quella fatta dall’azienda la considero una scommessa vinta. Il rapporto con la comunità? Positivo, coltivato nel tempo. Lo dico da dipendente dell’impianto, ma anche come membro attivo della comunità di Cairo».
Risalendo lungo la strada che porta alla discarica c’è una piccola deviazione. Si imbocca una strada sterrata e dopo una curva si apre uno scenario decisamente inatteso. Sulla destra ecco un grande orto, mentre al termine della breve salita ecco una cascina decisamente storica. Siamo esattamente dietro all’ex cava, oggi discarica. Dall’orto arriva Domenico Varacalli. «Sono qui da dieci anni e ho mucche, capre, cavalli, pecore, galline». Un contadino in piena regola su una proprietà della “Filippa”? Sì, anche se non è esattamente così. Domenico Varacalli è infatti un artigiano edile, che lavora mediamente dalle 7.30 alle 18, ma nelle primissime ore del mattino e verso sera viene qui a lavorare l’orto e accudire gli animali.
“Il terreno è adatto per coltivare”
Perché? «Passione. Il terreno è davvero adatto per coltivare. Lo hanno fatto tutti quelli che c’erano prima di me, l’area è davvero vocata. E faccio anche il formaggio». Originario di Bovalino, trasferito prima a Torino e a Cairo, Varacalli ha lavorato per diciassette anni nella scuola per agenti penitenziari. «Poi il lavoro è finito, la ditta è andata via e ho iniziato a fare l’artigiano. Ma la passione vera è sempre stata quella dell’orto e degli animali».
C’è poi un altro genere di “vicino”. Si chiama Roberto Malacrida, come altri ha scoperto questa zona e si è innamorato della valle. È l’autore delle fotografie del “Prato delle Ferrere”. Immagini che «nascono da una idea mia e di Massimo Vaccari (presidente della “Filippa”, ndr): riunire in uno spazio una rappresentanza simbolica della fauna della valle».
“Il fotografo e la casa dietro alla discarica”
Nato a Genova, Malacrida ha vissuto vent’anni a Savona e un giorno ha scoperto Cairo, un «piccolo paradiso» dove ha acquistato una casa e presto si è «abituato alla vita naturale che c’è qui». Ed è in questo contesto naturale che ha iniziato a fotografare. Una attività «abbastanza difficile perché l’antropizzazione ha fatto molti danni. Gli animali sono diventati ancora più diffidenti di quanto non siano già naturalmente». Però lui è riuscito a fissarli in splendide immagini scattate a poca distanza da casa sua. «Ho utilizzato delle fototrappole, cerco di favorire la nidificazioni con cassette nido e mangiatoie per l’inverno, ho due capanni fissi per fotografare. Grazie a tutti questi accorgimenti, e a molta pazienza, sono riuscito a scattare le foto». Complice del progetto che si è concretizzato al “Prato delle Ferrere” è stata l’amicizia con Massimo Vaccari, nata grazie a un comune amico che li ha messi in contatto. La casa acquistata da Roberto Malacrida è a poche decine di metri dalla discarica della “Filippa”. «Non ho alcun rimpianto per la scelta fatta. Quando mi affaccio dalla finestra della casa che dà sull’impianto mi domando dove sia la discarica».
“La Filippa? È un bel posto dove andare”
Il tono è pacato. Seduto dietro alla scrivania, tra giornali e un computer, sorride e gesticola, mentre racconta. Lo fa con la massima tranquillità, ma anche con una decisione che lascia trasparire il carattere forte. E non potrebbe essere altrimenti perché Alessandro Dalla Vedova, classe 1948, diacono della Diocesi di Acqui Terme, collaboratore del settimanale ‘L’Ancora’ (è anche amministratore dell’editrice), ha raccontato per lungo tempo la storia della “Filippa” e all’inizio lo ha fatto da oppositore del progetto, dando voce alle proteste alle contestazioni espresse da larga parte della popolazione. Lo ha fatto con quello spirito indomito che può appartenere «a chi ha fatto il ’68, a chi è stato dodici anni in seminario che poi ha lasciato perché si era opposto alle rigide regole interne», a chi è stato pronto a seguire, con la narrazione, e a condividere, come persona, la protesta che ha segnato l’avvio del progetto della discarica. «Il territorio di Cairo Montenotte, insieme a molte aree intorno, è stato per lungo tempo un luogo che ha dovuto fare i conti con aziende che hanno segnato pesantemente la vita degli abitanti e l’ambiente. Se devo fare un esempio, penso all’Acna. Quindi quando un imprenditore arriva e dice che vuole fare una discarica, certo non viene accolto a braccia aperte e nel momento in cui si è parlato del progetto è subito scattata una mezza sollevazione popolare.
Dopo poco tempo è nato un comitato contrario al progetto, si è arrivati ad avere anche cinque/seicento persone che andavano a manifestare davanti alla sede dell’impresa, sindaco di Cairo Montenotte in testa. E io facevo un po’ di foto, scrivevo, raccontavo delle proteste e della mobilitazione. Come giornale, anche se in modo soft, ci siamo schierati non certo a favore del progetto». Dalla Vedova è un uomo equilibrato. Si capisce bene quando ricorda il papà dei fratelli Vaccari. «Era una persona corretta, come imprenditore non c’è mai stato nulla da dire. Anzi, quando avevano la fabbrica di laterizi è stata sicuramente una delle prime aziende a installare dei filtri per abbattere le emissioni in atmosfera, interventi che altri certo non facevano e ha dimostrato una coscienza e un’attenzione non comune». Però il progetto della discarica all’inizio non è proprio piaciuto. «È vero. Purtroppo, lo dico adesso, alla protesta non è seguita la capacità di capire quali erano le finalità e le modalità di realizzazione dell’impianto».
Poi è successo qualcosa. «Sì, ci siamo incontrati. L’iniziativa l’ha presa Massimo Vaccari e io sono andato in azienda per parlare. Non lo avevo fatto prima, l’imprenditore non lo avevamo ascoltato. Adesso ero lì di fronte a lui, con anche qualche perplessità perché ho pensato che volesse in qualche modo magari condizionarmi. All’inizio ero un po’ prevenuto, poi ho cominciato a capire meglio di cosa si trattava, il tipo di impianto, il genere di rifiuti trattati. Da allora ho fatto anche un’altra scoperta: la famiglia Vaccari e Massimo, in particolare, la sua grande umanità, la passione per il territorio, la natura, la gente. Un uomo così bisogna ascoltarlo, capirlo, sostenerlo. Mi sono trovato di fronte a una persona diversa, di solito si pensa a un imprenditore come uno con il pelo sullo stomaco, impermeabile a tutto, invece no, lui è diverso».
Dalla Vedova si ferma un momento, poi riprende. «Sono in pensione da tredici anni, ero funzionario del Comune di Cairo, e ho visto i cambiamenti. Il rapporto della “Filippa” con gli abitanti è mutato nel corso degli anni e solo oggi si è appianato del tutto. Invece è stato diverso il rapporto fra Comune e azienda, quando questa si è messa a disposizione della comunità destinando risorse all’amministrazione da usare per migliorare i servizi alla comunità. È in questo solco che sono arrivate iniziative come il Prato delle Ferrere, a Cairo Montenotte. È uno spazio che assicura un servizio pubblico, che stimola i cittadini a responsabilizzarsi nella gestione dell’area e delle strutture con coscienza. Oggi mi sento di dire con sincerità che per i fratelli Vaccari l’interesse aziendale è pari all’interesse sociale e per le persone, lo dimostrano nei confronti della comunità cairese, come dei dipendenti dell’azienda».
Secondo lei quello della “Filippa” potrebbe essere un modello esportabile? «Sì, sono convinto. È una iniziativa imprenditoriale responsabile, attenta alla società e al territorio. La “Filippa” è un bel posto dove andare. E ci vado anche io con i nipotini».