di Graziella Zaccone Languzzi
Ciò che accadde il sei novembre di ventisei anni fa chi l’ha vissuto non lo dimentica. Ancora oggi ho buona memoria di quella domenica a partire dalle ore 12 circa, quando iniziavano a giungere notizie difficili da credere. Potrei scrivere addirittura un volumetto di quel vissuto. C’è chi lo ha fatto sotto forma di diario: Marco Canepari, al tempo vigile e guardia provinciale, autore del libro ‘La vendetta del Tanaro’: un diario giorno per giorno del suo vissuto come volontario a partire dal sei novembre. Tocca il cuore lo scorrere di quelle pagine. In questo ventiseiesimo anniversario desidero parlare di giovani volontari, e nel caso specifico di un gruppo di studenti della Università degli Studi di Pisa, anno accademico 1994/1995. Studenti di scienze politiche, agraria, matematica, lettere che al loro rientro, dopo aver svolto la missione di “angeli del fango” nella nostra città, raccolsero in una cinquantina di pagine testimonianze preziose.
Da quel tragico evento in poi mi sono sempre occupata di problemi derivati dall’alluvione e in particolare di imprese alluvionate, ossia quelle piccole e medie che hanno sofferto per una legge inadeguata, che ho avuto la fortuna tra il 2002 e 2004 di riuscire a far modificare. Al tempo gli organi di informazione si interessavano di questo mio impegno perchè avevo raggiunto risultati impensati persino da chi preposto a farlo. A seguire mi impegnai all’interno di Comitati apartitici e senza fini di lucro, sorti spontaneamente a seguito dell’inadeguatezza nelle risposte dei tecnici e delle istituzioni, perche un ’94 non accadesse mai più nella mia città e non solo.
Nel 2003 un caro amico, Tito Vercelli titolare al tempo dell’Audiovox, anche lui imprenditore alluvionato, mi fece in dono una pubblicazione edita dall’Università degli Studi di Pisa dal titolo “Aiuti umanitari alle zone alluvionate” dicendomi: “ti consegno questa chicca, so che ti farà piacere, che ne farai buon uso e lo conserverai” . Così ho fatto!
Che c’entrava l’Università di Pisa? Curiosa l’ho letto tutto d’un fiato, e ho scoperto un contenitore di storia, di esperienze, avventure e curiosità scritto dagli studenti che sono venuti ad offrire come volontari il loro prezioso aiuto. Il volumetto è dettagliato, e nella seconda fase vi sono redatte le riflessioni di alcuni di loro: Irene Arquint, Roberto Fiore, Vittorio Triscomia, Alessia Falorni, Marzia Bertacca, Samanta Viani, Silvia Mattolini, Gian Luca Rossi, Manuela Paita, Emanuele Pasquini, Maurizio Cotrupi. Ci sono emozioni nei loro racconti del vissuto, ci sono le gioie ricevute dai tanti grazie ma ci sono pure critiche di come in quella situazione sono stati trattati … Sì! Nella nostra città da quanto denunciato dagli studenti a quanto pare è accaduto anche questo, eviterò di trattarlo sebbene mi piacerebbe renderlo pubblico.
Una sintesi della decisione di venirci in aiuto
5/6 novembre 1994: le notizie relative al maltempo in nord Italia hanno incominciato a rimbalzare da un telegiornale all’altro a partire dalla sera del sabato 5 novembre, ma solo nella serata del 6 novembre gli studenti hanno iniziato a rendersi conto di cosa fosse accaduto. Nel giro di poche ore il Piemonte aveva conosciuto il potere e la forza incontrollabile dell’acqua e quelle notizie inizialmente poco comprensibili ora avevano una denominazione comune: alluvione. L’eco di disperazione e di grande bisogno di aiuto era rimbalzato anche fra le pareti dell’edificio pisano che ospitava gli studenti della Facoltà di Scienze Politiche. Un gruppetto di amici si ritrovò a parlarne e decisero di organizzare una spedizione. I volantini distribuiti per l’adesione alla partecipazione si riempiono presto di firme: centodieci furono gli studenti che aderirono all’iniziativa e in quattro e quattr’otto si resero pronti e disponibili per la partenza. Il Magnifico Rettore decise di collaborare e di sovvenzionare quella iniziativa. Fu allestita in Facoltà un’apposita linea telefonica, acquistata l’attrezzatura e noleggiato un pulmino. Così con qualche pala, le incerate, gli stivaloni, guanti, solo un piccolo zaino con il minimo indispensabile e un sacco a pelo in aggiunta a tanta, anzi tantissima voglia di fare, con grande spirito di solidarietà e di entusiasmo, i ragazzi partirono alla volta di Alessandria. Venne eletto anche un Coordinatore del “Comitato Aiuti alle zone alluvionate”: Alberto Demagistris. Si formarono sei gruppi di nove persone in ciascun gruppo che si susseguirono l’un all’altro per la gara di solidarietà a partire dal 23 novembre al 30 dicembre 1994. Pensarono a quale fosse la loro destinazione per prestare aiuto, e il coordinatore Demagistris, conoscendo Casale Monferrato, si rivolse al Sindaco del tempo Riccardo Coppo per sapere se vi era necessità di aiuto, Coppo rispose che loro erano stati toccati marginalmente e che era Alessandria quella realmente devastata dalla forza dell’acqua. Raggiunta la sede dei vigili urbani di Alessandria, il coordinatore Demagistris fu indirizzato da Nuccio Puleio, responsabile coordinatore dei volontari. Nuccio Puleio è un nome che nella stesura del libro/diario degli studenti ricorre con gratitudine per l’appoggio, l’aiuto costante nella permanenza di questi giovani, un riferimento importante per loro dal primo giorno all’ultimo. Per questi studenti iniziò l’avventura, e appena giunti nella parte nord di Alessandria per raggiungere il Centro Galimberti si accorsero da subito della gravità della situazione. Nel Centro Galimberti furono accolti con molto entusiasmo e assegnati all’Ospedale Psichiatrico “San Giacomo” (poco distante dal Centro Galimberti e dalla mensa) nella sezione archivio a dividere libri, registri, cartelle pieni di fango che erano parcheggiati nel cortile dell’ospedale, scaricati con carriole dal militari. Il compito era nella scelta di buttare ciò che non era più recuperabile cercando di salvare ciò che era importante. A controllare e aiutare furono il Dott. Piccione (della contabilità), il Dott. Simonetta (Sovrintendente dei Beni Culturali di Torino), il Dott. Torti (psicanalista dell’ospedale) e sua moglie. Alcuni studenti furono assegnati anche all’Archivio di Stato di Alessandria, anche lì con pesanti danni, in particolare mappe catastali anche del secolo precedente. In questo caso alcune allieve restauratrici che studiavano a Firenze, in risposta ad un appello del Direttore dell’Archivio, giunsero in Alessandria per cercare di salvare il salvabile. Nel periodo del loro impegno, trovarono anche il modo di portare aiuto nelle case dove veniva richiesto.
Quanto sopra è la mia breve sintesi di cinquanta pagine che narrano l’attività svolta dagli studenti dell’Università di Pisa in occasione della nostra grande alluvione, una testimonianza che mira a raggiungere quanto fosse importante per loro lasciare traccia di un’iniziativa anormale per un Ateneo, ma molto importante sotto il profilo umanitario che ha dato la possibilità agli studenti di misurarsi con la fatica diversa da quella dello studio, avvicinandoli ai problemi della vita e arricchendoli interiormente. Sicuramente ciò che sarà rimasto impresso nella mente di questi giovani volontari fu l’esercito silenzioso di alluvionati e volontari che pazientemente cercarono di riportare alla normalità una situazione veramente drammatica. Nel libro/diario si legge come testimonianza che negli ultimi due mesi del ’94 da ogni parte di Italia e dall’estero arrivarono in Alessandria migliaia di pacchi contenenti qualunque cosa: generi alimentari, vestiario, giocattoli, attrezzi da lavoro, stufe etc. Come conclusione del libro/diario, gli studenti ringraziano tutte quelle persone che hanno incontrato per le strade di Alessandria, da cui hanno ricevuto un sorriso, un grazie, e nei loro ricordi si legge: “Abbiamo conosciuto tante persone che colpite direttamente dall’alluvione, nonostante la sofferenza non si sono lasciate andare, dimostrando una voglia di vivere e aiutare loro stesse il prossimo dividendo quel poco rimasto. Persone che sono state con noi dolcissime a cui dobbiamo immensa gratitudine, persone che ci hanno sfamato, che ci hanno incoraggiato, persone che ci hanno trattato come figli loro”. L’ultimo pensiero degli studenti nel libro/diario è rivolto a coloro che hanno perso la vita sotto acqua e macerie, perchè il loro sacrificio possa servire da insegnamento. Se potessi consegnare loro un messaggio, potrei aggiornarli dicendo che sono passati 26 anni, ma quel sacrificio ha insegnato poco visto che ancora oggi mancano le sicurezze nei territori e ci sono vittime ad ogni alluvione.
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Nella seconda parte del libro/diario vi sono le riflessioni di undici studenti, ognuno ha messo su una o più pagine bianche ciò che ha visto e vissuto. Ne ho scelta una che trascrivo senza tralasciare nulla, nel leggerla mi sono ritrovata a quel giorno. La riflessione è della studentessa Alessia Falorno
Novembre ’94: un’apocalisse – Al centro del disastro il Piemonte, un aspetto drammatico di questo quadro agghiacciante , l’isolamento di Alessandria e della sua provincia: il Tanaro ha rotto gli argini ed ha inondato Alessandria. La città ha vissuto le ore più terribili della sua storia. La mattina del 6 novembre tutto sembrava calmo, gli alessandrini erano ignari di ciò che di lì a poco si sarebbe scatenato, la città era comodamente seduta nella poltrona di casa o intenta a consumare il pranzo. Era una normalissima domenica, l’acqua del Tanaro già lambiva però le arcate, degli addetti e qualche passante assistevano impotenti al preoccupante spettacolo del Tanaro in piena, niente preludeva ad un tale disastro, nessuno si sarebbe mai immaginato che nel pomeriggio di quel “maledetto” 6 novembre si sarebbe consumata una tale catastrofe. I primi allarmi sono venuti dalla campagna, nei casolari sparsi i contadini si erano rifugiati sui tetti e urlavano di fronte ad un mare d’acqua senza che nessuno potesse udirli. Alessandria rimaneva nell’immobilità di una qualunque domenica, mentre il dramma più spaventoso della sua storia appariva inarrestabile. L’acqua ha incominciato a trasportare via alberi e automobili, le fogne hanno iniziato a esplodere , sono saltate le prime cabine dell’energia elettrica, l’acqua ha cominciato ad allagare le prime cantine , i primi negozi. In quell’ora, Alessandria rischiava di morire ed il mondo non ne sapeva nulla, Alessandria era sul punto di annegare e la maggior parte degli alessandrini lo ignorava. Le case ormai allagate erano avvolte da una drammatica oscurità. Un mare di acqua fangosa su una città tagliata in due, isolata dal mondo, irraggiungibile dal cielo e dalla terra. Agghiaccianti le descrizioni e i racconti delle persone. Alessandria non era altro che un vorticoso sistema di fiumi: prima erano strade ora torrenti che travolgevano tutto ciò che incontrano sul loro cammino. I giardini erano laghi, gli edifici erano isolati e dai tetti si moltiplicavano le grida di aiuto. Niente era risparmiato. Paradossalmente mancava l’acqua nelle case, dalle 14 in poi cominciarono a contarsi le vittime, persone morte per strada, negli scantinati, nei salotti delle proprie case considerate da sempre un luogo sicuro e accogliente. Le vittime continuavano ad aumentare insieme ai dispersi. Alcune barche si muovevano cautamente lungo le vie ridotte a torrenti limacciosi per tentare di prestare i primi soccorsi. Invocazioni di aiuto dai pazienti negli ospedali. La sera l’acqua iniziando un po’ a decrescere si vide riemergere a poco a poco lo scheletro di una città in ginocchio. La gente tentava di recuperare e salvare il possibile. Immersi nella poltiglia melmosa auto, porte, finestre. Triste, cupo con grande dignità e volontà ogni alessandrino provava a rimettere insieme i pezzi della propria vita con quel coraggio che nasce dalla disperazione e da un dolore profondo. Campagne sommerse, stabilimenti allagati, opere d’arte e preziosi documenti trascinati via dalla furia delle acque, incalcolabili i danni, implacabile il dolore e la perdita di persone care. Da lì tutta l’Italia si è mobilitata per lenire i dolori, fronteggiare i bisogni, ridurre i danni spaventosi. L’opera di soccorso fu gigantesca, la distribuzione dei viveri si irradiò in una commovente gara di solidarietà, Alessandria brulicava di volontari disposti ad immensi sacrifici e a rimanere anche per molto tempo lontani dalle proprie case per aiutare questa città che nel giro di un solo mese con grande forza è riuscita in qualche modo a rialzarsi in piedi e ridare alla vita una parvenza di normalità. Le Forze dell’Ordine, i Vigili del Fuoco, l’Esercito, persone, ragazzi e studenti che di propria spontanea volontà hanno lasciato il lavoro, gli studi, le comodità proprie della loro vita, si sono prodigati senza sosta in condizioni ambientali assai difficili offrendo al mondo un’importante esempio di abnegazione di altruismo, di generosità e soprattutto di quella caparbietà che spinge a lottare persino contro l’impossibile … (Alessia Falorni)
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La riflessione della studentessa Alessia Falorni continua per altre due pagine, ma nella sua prima parte fornisce il quadro di quei primi giorni. Quanti si ritroveranno in questo suo racconto? Speriamo che non succeda mai più .