Coronavirus, fra numeri ed esperti (di varia natura) la confusione regna sovrana. Intanto ecco cosa succede ad Alessandria [Centosessantacaratteri]

di Enrico Sozzetti

Fiumi di inchiostro e di parole su infetti e ricoverati, numeri su numeri che peraltro non dicono alcunché perché non sono mai analizzati e contestualizzati. Il ritornello quotidiano di ogni esperto (o presunto tale) sul coronavirus è uguale a se stesso, anche per una forte responsabilità dei giornalisti, questo va detto, e non fa che aggiungere confusione a incertezza, mentre la politica continua a dimostrarsi incapace di assumere responsabilità vere.

La proposta di alcuni presidenti di giunte regionali (basta chiamarli governatori, la figura non è ancora stata introdotta nella Costituzione) di imporre la didattica a distanza agli studenti delle superiori per alleggerire i trasporti, la dice lunga sulla incapacità di programmazione delle pubbliche amministrazioni. Il tempo c’era per potenziare i servizi, per cosa è stato usato?

Certo, è più facile chiudere qualcuno a casa che spendere i soldi per potenziare il servizio di trasporto pubblico (però i miliardi per Alitalia poi si trovano). Per farlo bisogna assumersi responsabilità, fare delle scelte, governare prendendo decisioni e non solo usare decreti per dire cose quasi ovvie, introdurre strani calcoli (qual è la base scientifica del “massimo sei persone a casa”?), porre limiti quanto meno stravaganti come i ristoranti chiusi a mezzanotte (esclusi i grandi centri, ma in quale piccola città di provincia trovi la cucina aperta alle 23? Se ti va bene, non vieni cacciato se ti presenti alle 21, già dopo ti guardano storto). Ma soprattutto bisogna, banalmente, sapere programmare. Era notorio che sarebbero arrivate prima l’estate, poi l’autunno e infine l’inverno. Il normale vaccino per l’influenza di stagione? Acquisto sottostimato. Ampliamento di posti letto e terapie intensive? In corso d’opera, quando va bene. Le scuole riaprono e i trasporti potenziati? Non pervenuti, in compenso per risolvere il problema torniamo alla didattica a distanza. Uno dei luoghi in cui si è consumato un dramma di dimensioni enormi è stato quello delle residenze per anziani. Dovevano essere messe sotto stretta sorveglianza, con i parenti costretti a vedere i familiari dietro a un vetro, quando andava bene. Per un po’ le cose hanno funzionato poi sono tornati i focolai. E tutti a stupirsi e chiedersi “come mai”? Ma se in quelle strutture i parenti non entrano e gli unici che varcano la soglia sono gli operatori, basta farsi una domanda e darsi una risposta. E magari stringere i controlli.

Poi ci sono gli esperti, quelli ascoltati tutti i giorni dalle testate giornalistiche nazionali. In qualche caso sono infettivologi e clinici (ovvero esperti di malattie infettive e abituati a stare in una corsia di ospedale), poi c’è chi è noto per la ricerca e lo sviluppo di zanzare geneticamente modificate, chi è laureato cum laude in medicina veterinaria, chi insegna microbiologia e virologia ed è responsabile di un laboratorio di ricerca. Tutti profili di altissima qualità, ma che con l’infettivologia, e la clinica, hanno poco a che fare. Non che a livello di governo le cose vadano meglio. Si sceglie un dirigente di azienda e funzionario per gestire l’emergenza covid-19. Come sia andata finora, lo racconta la cronaca. Così come per l’acquisto dei banchi scolastici.

Intanto negli ospedali come va? Ad Alessandria, capoluogo di una provincia particolarmente martoriata dalla pandemia, il reparto di malattie infettive, ha ventidue posti occupati su 24 (alcuni giorni fa erano undici). Ma chi sono questi pazienti? Lo ha spiegato, in un video diffuso anche dalla stessa azienda ospedaliera, Guido Chichino, responsabile della struttura: «Siamo di fronte a piccole micro epidemie nell’ambito familiare. Abbiamo ricoverati marito e moglie o persone conviventi. Stiamo osservando che, spesso, sono stati i giovani, nella maggior parte dei casi asintomatici, ad aver portato l’infezione in famiglia. Purtroppo, poi, i genitori e i nonni diventano sintomatici e necessitano del ricovero ospedaliero». I malati hanno tutti la polmonite e la gravità varia di giorno in giorno. Per ora non vi è un alto numero di casi gravi e impegnativi come in primavera perché arrivano prima in ospedale dove sono curati con cortisonici, eparina e ossigeno. Se si aggravano viene fatto ricorso al Remdesivir, utilizzato secondo le linee guida. Alcuni pazienti vengono invece rimandati a casa se non ci sono le necessità di ricovero.

In diversi ospedali italiani viene fatto rilevare dai medici che vi sono numerose persone che presentano una sintomatologia molto blanda e che potrebbero essere tranquillamente seguiti a domicilio. Cosa che invece non avviene e la conseguenza è che vanno a intasare i reparti. La medicina del territorio, quella che in alcune province (compresa quella di Alessandria) in primavera è stata capace di contenere la pandemia e di fare guarire centinaia di persone evitando che finissero in ospedale, che fine ha fatto? Tutti a celebrarla, prima, tutti a ignorarla, adesso. Perché? Forse negli ospedali c’è più business? E i medicinali, benché non specifici, che hanno dimostrato di avere una certa efficacia, ma ora sono vietati, da cosa sono stati sostituiti (se lo sono stati)? Perché puntare solo sulla ospedalizzazione e non sull’intervento nella fase iniziale della malattia?

In casa dell’Asl Alessandria viene subito precisato che le persone «vengono valutate in base alla gravità e fin che lo consente il quadro, sono curati a casa. Chi ha bisogno di ospedalizzazione, viene indirizzato a Casale Monferrato e successivamente, se vi sarà la necessità di aumentare i ricoveri, i pazienti andranno a Tortona (i posti letto sono ricavati in reparti dedicati al covid)».

E il protocollo della “cura a casa”? La risposta è: lo stanno rivedendo da zero, verrà definito la prossima settimana. Il modello organizzativo, che si basa sulle Unità speciali di continuità assistenziale (Usca), c’è. Ma sono ancora da chiarire alcuni aspetti fondamentali fra cui i farmaci da utilizzare (vista la fine che ha fatto l’idrossiclorochina, efficace alla comparsa dei primi sintomi, come hanno dimostrato molti studi, ignorati però dalle istituzioni, a partire dall’Agenzia italiana del farmaco) e la dotazione del personale. E qui la cosa si fa difficile perché, racconta un medico, nonostante i vari decreti e gli annunci della Regione Piemonte, di assunzioni corpose pare che non se ne siano viste, tanto meno quelle di nuovi infermieri che dovevano essere venti ogni cinquantamila abitanti.