Aspettavamo il 2020…non un’epidemia universale! [Lisòndria tra Tani e Burmia]

di Piero Archenti
Certamente nessuno di noi avrebbe mai neppure vagamente immaginato quello che l’umanità intera si vede costretta ad affrontare grazie (si fa per dire) all’epidemia che oggi viene individuata con il termine scientifico di Covid 19. Nei secoli passati, quando Manzoni scrisse i Promessi Sposi e anche molto prima, le epidemie che portavano nella tomba un numero consistente di vittime, venivano classificate genericamente come “pestilenze”. L’ultima di queste pestilenze di una certa rilevanza venne descritta dal nostro pur bravo Piero Angiolini il quale scrisse, nel 1954, l’articolo (“Untori del 1854”sotto pubblicato in grassetto) che vi sottopongo oggi, nell’anno di grazia (o di disgrazia, fate voi) 2020, giusto per rendere l’idea anche a chi oggi ancora non si rende conto di quanto grave sia la nostra situazione a livello mondiale! E non soltanto sanitario, ma anche dal punto di vista economico a tutti i livelli!
    
Tentiamo dunque di riassumere, sia pure a grandi linee, il racconto di quanto è accaduto prima in Cina e successivamente in Italia (fonte Wired.it –  Viola Rita) per poi allargarsi all’Europa e via via al Mondo intero. Il tutto si verifica, in prima battuta, alla fine del 2019 inizio gennaio 2020, quando per la prima volta, in Cina, per cause ancora non del tutto chiare, si sviluppò e si sparse ovunque, nel breve volgere di un paio di mesi, un virus del tutto ignoto alla comunità scientifica mondiale, o perlomeno, alla stragrande fetta della comunità scientifica mondiale.
A partire dal 31 dicembre 2019, prima data ufficiale, ma forse fin da novembre e ottobre volendo prendere in esame ipotesi di studi italiani, vengono evidenziate e registrate un certo numero di “polmoniti anomale”, il Sars-CoV-2 già circolava in Cina, in particolare a Wuhan. Inizialmente però non ci si rese conto che si trattava di un nuovo virus. Dalle prime indagini infatti, era emerso che i contagiati erano frequentatori assidui del mercato Huanan Seafood Wholesale Market a Wuhan, che è stato chiuso dal 1 gennaio 2020, da qui l’ipotesi che il contagio possa essere stato causato da qualche prodotto di origine animale venduto nel mercato.
Cosa successe dopo quel 31 dicembre 2019 è cronaca nota, infatti, Il 9 gennaio le autorità cinesi avevano dichiarato ai media locali che il patogeno responsabile è un nuovo ceppo di coronavirus, della stessa famiglia dei coronavirus responsabili Sars e della Mers ma anche di banali raffreddori, ma diverso da tutti questi – nuovo, appunto. L’Oms divulgava la notizia il 10 gennaio, fornendo tutte le istruzioni del caso (evitare contatto con persone con sintomi) e dichiarando – all’epoca giustamente – che non era raccomandata alcuna restrizione ai viaggi per e dalla Cina.
Il 7 gennaio il virus veniva isolato e pochi giorni dopo, il 12 gennaio, veniva sequenziato e la Cina condivideva la sequenza genetica.
Il 21 gennaio le autorità sanitarie locali e l’Organizzazione mondiale della sanità annunciavano che il nuovo coronavirus, passato probabilmente dall’animale all’essere umano (un salto di specie, in gergo tecnico), si trasmette anche da uomo a uomo.
Alla fine di gennaio il rischio che l’epidemia si diffondesse passava da moderato a alto e il 27 gennaio l’Organizzazione mondiale della sanità scriveva che era “molto alto per la Cina e alto a livello regionale e globale”. Tanto che nella serata del 30 gennaio l’Oms dichiarava l’“emergenza sanitaria pubblica di interesse internazionale” e l’Italia, unica in Europa, bloccava i voli da e per la Cina.
Venerdì 21 febbraio 2020 è una data centrale per la vicenda italiana legata al nuovo coronavirus. In questa data sono emersi diversi casi di coronavirus nel lodigiano, in Lombardia: si tratta di persone non provenienti dalla Cina, un nuovo focolaio di cui non si conosce ancora l’estensione. Alcuni dei paesi colpiti (Codogno, Castiglione d’Adda e Casalpusterlengo ed altri) sono stati di fatto chiusi, un po’ come avviene ora per l’Italia “zona protetta”.
Fuori dalla Cina, il numero di contagiati è molto alto in Italia, Iran e Corea del Sud, anche se per l’Oms Covid-19 non è ancora pandemia. Tuttavia, fra la fine di febbraio e i primi giorni di marzo 2020, dopo l’Italia, anche in altri stati (europei e non solo) vengono rilevati un numero crescente di casi e un’epidemia.
Il contagio si è diffuso nel nostro paese, soprattutto nel nord, ma inizia anche in altre regioni. Per questo, mercoledì 4 marzo il governo ha dato il via libera alla chiusura di scuole e università in tutta Italia fino al 15 marzo. Domenica 8 marzo arriva il decreto che prevede l’isolamento della Lombardia, in assoluto la più colpita, e di altre 14 province, che diventano “zona rossa”. Anche anche se la bozza ancora non ufficiale del decreto era stata pubblicata da alcune testate già nella serata del 7.
E infine si arriva all’ultima data (per ora) importante per l’Italia: quella di lunedì 9 marzo.
In questa giornata, intorno alle 22, Conte annuncia in televisione di aver esteso a tutto il paese le misure già prese per la Lombardia e per le altre 14 province, tanto che tutta l’Italia diventerà “zona protetta”. Le nuove norme sono contenute nel nuovo decreto Dpcm 9 marzo 2020, entrato poi in vigore il 10 marzo. Di fatto la regola è contenuta nell’hashtag #iorestoacasa, si può uscire solo per comprovate ragioni di necessità come per fare la spesa, per esigenze lavorative, per l’acquisto di farmaci o per altri motivi di salute.
E’ l’11 marzo quando l’Oms dichiara la pandemia e l’Italia si sta muovendo – per prima in Europa, con il plauso dell’Organizzazione mondiale della sanità – per contenere il contagio, anche a livello globale sta succedendo qualcosa. L’obiettivo dell’Oms è quello di fare un appello a tutte le nazioni per contrastare la diffusione della Covid-19.
Quel che sta vivendo il mondo intero, grazie anche ai progressi della sanità (e al sacrificio di molti medici) messi in atto per contrastare il Covid-19, è cronaca tutt’ora in corso e ancora tutta da scrivere, al punto che la speranza di mettere la parola fine appare certamente più vicina… ma non proprio dietro l’angolo…
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Untori del 1854
  E’ nota la grande epidemicità e la elevata mortalità di talune pestilenze dei tempi lontani, e quanto questi flagelli fossero da tutti temuti. I progressi della civiltà e della scienza hanno oramai allontanati quei pericoli ed il loro ricordo rimane soltanto nelle notissime pagine dei “Promessi sposi”.
 Chi avesse cura di scorrere le cronache di Alessandria dei secoli passati (la prima notizia di peste risale al 1190) rileva come frequenti erano nel contado e nella stessa città, i casi di epidemie gravi. La gente si difendeva come poteva, e nel fervore religioso invocava la clemenza Divina, offrendo in voto ai Santi Sebastiano e Rocco, protettori della peste, edicole, cappellette ed immagini murarie, sparse in ogni Cantone.
 Il Ghilini, nei suoi Annali, riporta fedelmente tutti i casi di peste (termine generico in allora di ogni epidemia) e molte sono le pagine che meritano rilievo. All’anno 1314 troviamo: “Era veramente compassionevole e degna di lagrime, il vedere il padre fuggire il figliolo, il marito abbandonare la moglie, un fratello ritirarsi dall’altro! Talvolta si vedeva necessitato il padre condurre sopra di un carro il figliolo morto, e viceversa il figlio condurre il padre!…
Una nota del 1371 è impressionante: “Causò la pestilenza tanta mortalità che nella Piazza Grande e anche per le Contrade , si vedeva l’erba alta come nei prati!… Ed ecco nel 1630 la famosa peste di Milano, portata dagli Alemanni; il Ghilini precisa che in Alessandria il morbo scoppiò il 23 giugno, e che “essendosi quel contagioso male dilatato, fece infiniti danni e levò dal mondo in meno di quattro mesi quattromila persone incirca…
  Si arriva al ‘700 e per fortuna le epidemie si fanno più rare; farà quindi meraviglia sentire che giusto cento anni fa, Alessandria, una volta ancora, abbia rivissuto tristi momenti, non molto dissimili da quelli manzoniani! Il giorno 11 luglio 1854 si spargeva notizia in città che due forestieri venuti da Genova, dove infieriva il colera, erano morti d’improvviso! Grande fu il panico per il dilungarsi del contagio nonostante le pronte misure d’eccezione prese dal Comune: Divieto di riunione anche nelle Chiese; mobilitazione dei medici; spezierie (farmacie) aperte anche di notte; visite igieniche ai cortili; chiusura dimolti pozzi; disinfezioni alle case; larga distribuzione di acqua di calce.
 Venne istituito un Lazzaretto e poiché si andava dicendo che i ricchi erano segretamente curati in casa, mentre i poveri li portavano a morire all’Ospedale, si fece obbligo di denuncia dei casi anche sospetti, con immediato ricovero al Lazzaretto. Proprio in quei giorni furono allontanati dalle loro Sedi i Frati Domenicani ed i Serviti; i due Conventi vennero adibiti per il ricovero delle famiglie povere. Un manifesto del Sindaco non valse a calmare gli animi e neppure valse l’interessamento di appositi Comitati di tre persone note e stimate, costituiti presso ciascuna Parrocchia della città; si fece anzi strada il sospetto di agenti dispensatori del male, i famosi untori del 1630.
Fu in particolare la visita ai cortili e la chiusura dei pozzi a destare tra i più disparati commenti delle donnette, la diceria che questi pozzi erano stati avvelenati! Un triste episodio di violenza accadde la sera del 22 settembre. Lungo il Canale Carlo Alberto che allora scorreva dove oggi vediamo il Corso Cento Cannoni, fu sorpreso un vecchio che spargeva polverine…Il malcapitato fu preso e tra urla e percosse della folla crescente, fu portato alla Guardia Nazionale. Buon per lui che la Caserma si trovava nei pressi del Canale (ex Convento delle Orsoline di via Lodi, ora Istituto Magistrale) ebbe così salva la vita! La pestilenza infierì per qualche mese e sappiamo che nella sola città i casi salirono a 446 con ben 232 decessi.
Piero Angiolini 19-09-1954