a cura di Angelo Marenzana
Per questa domenica settembrina abbiamo deciso di fare un salto nella malinconica quanto intrigante Parigi del 1601 grazie al romanzo Il Giglio Insanguinato di Anna Maria Pierdomenico e pubblicato dalla casa editrice Tabula Fati. L’autrice (nata a Chieti, insegnante di matematica e scienze e già nota al pubblico dei lettori con il romanzo storico d’avventura “Rebecca. La figlia del Diavolo”, sempre pubblicato nel 2016 da Tabula Fati) apre le porte al mistero con il ritrovamento del corpo senza vita dell’arcivescovo Marconi, rinvenuto dal suo segretario con la gola squarciata e un giglio stretto tra le mani. Fiamma e Giulio Ranieri, baroni italiani ed emissari della Santa Sede, giungono nella città allo scopo di investigare sull’efferato omicidio dell’alto prelato e testare la lealtà del re e della sua corte al papato romano. Dagli sfarzi del Louvre di Enrico IV allo squallore dei vicoli più poveri di Parigi, la ricerca della verità li conduce indietro di trent’anni, a un periodo sanguinoso della Storia di Francia che ripercorreranno addentrandosi nel rigore dei monasteri e dei conventi benedettini, luoghi di assistenza e cura, ma anche di segreti e di lucida espiazione, contraltari dell’ambiente frivolo e lussurioso di una corte vendicativa.
Il romanzo è scritto da un’autrice dalla penna fluida, capace di tratteggiare il fascino e i misteri di un’epoca ma soprattutto abile a vestire i panni e a interpretare lo spirito e le atmosfere di quello stesso periodo spingendo il lettore a riflettersi nello specchio della storia passata.
Con uno stralcio di Il Giglio Insanguinato, buona lettura.
Prologo
Parigi.
Fratello Jacques bussò alla porta senza ottenere risposta.
Bussò ancora, di nuovo silenzio.
Provò allora a chiamare, invano. Sentì all’improvviso il sudore gelido attraversargli la fronte.
L’arcivescovo aveva preso l’abitudine di chiudersi a chiave di notte. Fratello Jacques gli aveva fatto notare mille volte che se avesse avuto un malore sarebbe stato difficile soccorrerlo, ma non c’era stato nulla da fare.
Il panico cominciò a impadronirsi di lui.
Gridò il nome di uno dei servitori e, quando questi si palesò, gli diede l’ordine di sfondare la porta. Quando fu aperta, il monaco fece pochi passi barcollanti e poi cadde a terra in ginocchio, urlando come un animale ferito e richiudendo il viso fra le mani.
L’arcivescovo era steso sul letto, il suo corpo composto come in una bara. Il sangue della gola recisa aveva inzuppato le lenzuola, coprendone il candore di un cupo scarlatto. Tra le dita intrecciate sul petto c’era un giglio, i cui petali bianchi erano screziati di rosso.
Roma.
Mentre conduceva la sua compagna lontano dalla folla del ballo in maschera, Orazio non riusciva a credere alla fortuna che gli era capitata La donna gli aveva detto di chiamarsi Ecate, come la dea pagana della magia; un nome quanto mai azzeccato, vi-sto che in quelle feste c’era assai poco di cristiano. Nessuno rivelava la propria identità e nessuno mostrava il proprio volto, erano le uniche due regole. Orazio ed Ecate si fermarono in un corridoio semibuio. Lui l’attirò a sé e tentò di baciarla, ma lei lo fermò mettendogli un dito sulle labbra.
Lo fece accostare alla parete e gli sussurrò nell’orecchio: «Chiudete gli occhi e lasciate fare a me.»
L’uomo rimase un attimo come incantato sulla bocca scarlatta della donna, pregustandone il piacere, poi appoggiò la testa al muro e obbedì.
La mano che lei gli teneva sul viso scese lentamente sul suo petto, mentre l’altra, con un gesto fluido, scioglieva i capelli color dell’ebano.
Il movimento della donna fu così preciso e veloce che Orazio nemmeno si accorse dello stiletto che gli sprofondava nel collo. Per un istante il suo corpo rimase addossa-to al muro, poi cadde con un tonfo sordo.
Lei estrasse il pugnale e lo ripulì sulla veste dell’uomo. Era stato un colpo perfetto, c’era pochissimo sangue. Infilò la lama sotto il vestito e ritornò alla festa.
Non appena rimesso piede nel salone sfiorò il braccio dell’uomo che la stava aspettando, poi insieme si mischiarono alla folla e guadagnarono con calma l’uscita.
Si incamminarono senza fretta attraverso i vicoli e si diressero verso una carrozza. Una volta saliti, lui ordinò al cocchiere di partire, e solo quando i cavalli cominciarono a muoversi la donna si tolse la maschera e la parrucca.
Capitolo I
Roma.
Era da poco passata la mezzanotte quando una carrozza trainata da quattro cavalli neri si fermò accanto a un’imponente costruzione.
La figura velata che ne scese si avvicinò a un’angusta porticina seminascosta e bussò in un modo noto solo a lei.
Dall’interno una voce maschile bisbigliò: «In nomine Christi…»
«…vivendi sumus,» continuò lei meccanicamente.
La donna sentì il pesante chiavistello che veniva ritirato e vide la porta aprirsi.
Un giovane valletto, che Fiamma conosceva da lungo tempo, le disse con gentilezza:
«Buonasera, baronessa. Venite, siete attesa con impazienza.»
Lei rispose al saluto e lo seguì lungo un angusto corridoio fino ad arrivare a una pare-te coperta da un arazzo. Il valletto lo scostò, rivelando una porta che in quel modo re-stava celata a occhi indiscreti, e introdusse Fiamma in un salone luminoso e accogliente. Lì il paggio si congedò; Fiamma si avvicinò all’uomo che sedeva allo scrittoio di quercia e gli baciò l’anello.
«Benvenuta, Fiamma. Se siete qui, suppongo che il vostro compito sia andato a buon fine.»
Lei annuì.
«Orazio Malaspina è morto.»
«Ottimo. Come sempre, veloce ed efficiente.»
Fiamma ebbe l’impressione che il cardinale Scala respirasse a fatica e che ogni parola gli costasse uno sforzo. Doveva essere successo qualcosa di molto grave; Scala non era tipo da scomporsi, ma sembrava invecchiato di colpo.
«Se non foste venuta questa notte, vi avrei mandata a chiamare domani. Ho bisogno che facciate un’altra cosa per me.»
Il cardinale estrasse da un cassetto un foglio piegato e lo consegnò alla ragazza.
«Un messo ha cavalcato giorno e notte per recapitarlo. Leggete.»
Fiamma aprì il documento.
“Vostra Eminenza,
mi perdonerete se non seguo il protocollo, ma la natura della notizia che sto per darvi giustifica il mio sconvolgimento e la mia fretta. Tre notti fa l’arcivescovo Marconi, vostro amico di lunga data e uomo molto pio, è stato assassinato nella sua stanza da letto. Gli hanno tagliato la gola e, non so se per rispetto o per scherno, hanno lasciato un giglio bianco tra le sue mani giunte sul petto. Le autorità, nella persona del capita-no dei moschettieri Claude Saint Martin, ritengono che sia stato un ladro, ma l’ipotesi è evidentemente ridicola. Vi prego perciò di inviare qualcuno che possa risolvere questo mistero e punire i responsabili di un crimine tanto empio.
Il servo di vostra eminenza,
Fratello Jacques Morin”
La ragione del turbamento del cardinale Scala le fu improvvisamente chiara.
Non le ci volle molta fantasia per capire ciò che le sarebbe stato chiesto.
«Partirò domani all’alba.»
Il cardinale annuì e aggiunse: «Vi darò subito le istruzioni e i salvacondotti necessari per arrivare a Parigi con meno disagi possibili. Ovviamente, vi farete scortare da vostro fratello.»
Così dicendo, trasse da un cassetto un fascio di documenti e li consegnò a Fiamma.
«Qui c’è tutto quello che dovete sapere, per questo e per l’altro compito che devo assegnarvi: voglio che andiate a corte.»
Se lo sarebbe dovuto aspettare: il cardinale era triste per la perdita dell’arcivescovo, ma ciò non bastava a fermare il politico senza scrupoli che era in lui.
«Dubitate forse della lealtà del re?»
«Re Enrico è fin troppo incline ai voltafaccia. La sua conversione al cattolicesimo appare sincera, ma voglio che verifichiate la situazione con i vostri occhi. Se anche la Francia ci abbandonasse, come è già accaduto per l’Inghilterra e la Germania, ci verremmo a trovare in una situazione scomoda, estremamente scomoda. Per farvi intro-durre al Louvre ho inviato un messaggero al duca Armand de Clemency, un uomo di nota lealtà alla Chiesa di Roma e molto vicino alla casa reale, soprattutto dato l’interesse del re per sua sorella Amélie. Potete essere sincera con lui, vi sarà utile. È un uomo importante e scaltro.»
«Come desiderate, Eminenza. Devo chiedervi un’ultima cosa: quando avrò catturato l’assassino che cosa volete che ne faccia?»
Il cardinale rispose con tono freddo e tagliente.
«Uccidetelo.»
«Sarà fatto.»
La voce di lei era altrettanto decisa.
Dopo aver preso commiato da Scala, Fiamma, scortata da un valletto apparso come per magia, uscì attraverso il passaggio segreto.
Mentre vedeva scomparire dietro all’arazzo la figura piccola ed esile della giovane, il cardinale non poté fare a meno di pensare a quanto sembrasse fragile e innocente. Aveva ancora il medesimo sorriso solare del giorno in cui l’aveva vista per la prima volta e lo stesso aspetto da bambina. Eppure sapeva bene che Fiamma Ranieri non conosceva né la fragilità né l’innocenza: era stata allevata per essere la sua spia e il suo sicario, e lo era diventata.
Una mano l’aiutò a salire in carrozza.
Il giovane alto e biondo l’accolse con un largo sorriso.
«Il cardinale è soddisfatto?»
«Sì, ma ci ha affidato un’altra missione, e questa volta le cose sono maledettamente complicate.»
«Cosa dobbiamo fare?»
Diede ordine al cocchiere di partire. «Andare a Parigi,» rispose.
«A Parigi? Che diavolo è successo?»
La magione era completamente addormentata tranne che per i camerieri personali di Fiamma e Giulio che, non appena ricevuti gli ordini, si apprestarono a preparare il necessario per il lungo viaggio.
I gemelli raggiunsero insieme una stanza al piano superiore.
La donna era distesa in un ampio letto a baldacchino. «Buonasera, zia Augusta,» disse Giulio. «Speriamo di non disturbarti.»
L’anziana scosse la testa di capelli grigi, ancora folti. «Oh no, miei cari, voi non di-sturbate mai. È successo qualcosa? Vi ho sentiti uscire in carrozza.»
«Sì, zia,» spiegò Fiamma. «Il cardinale ci ha mandati a chiamare. Saremo i suoi ambasciatori a un incontro molto importante.»
La vecchia signora sorrise.
«È un grande onore. Ma dove dovrete rappresentare sua Eminenza? E per quanto tempo?»
«A Parigi, zia. Temo che staremo via piuttosto a lungo.»
Augusta si incupì; aveva ritrovato da poco i nipoti e l’idea di doversi allontanare da loro la rattristava. Tuttavia, sapeva che non si poteva dire di no al cardinale.
«Quando partirete?»
«All’alba. Siamo passati a salutarti.»
«Allora fatelo come si deve e venite ad abbracciarmi.»
Fiamma e Giulio non si sottrassero al calore di quel commiato.
Quando furono fuori dalla camera il ragazzo guardò la sorella.
«Mi spezza il cuore doverle mentire ogni volta.»
«Anche a me, ma non abbiamo scelta. Se sapesse che tipo di missioni svolgiamo per il cardinale ne morirebbe, come non dovrà mai sapere perché il cardinale ha costretto nostro nonno a restituirci l’eredità di cui ci aveva privato. Mai.»
Capitolo II
Parigi.
La vettura di Fiamma e Giulio si fermò davanti all’elegante locanda Faucon d’argent. Il ragazzo scese per primo, aiutò la sorella ed entrarono insieme. All’interno li accolse una giovane donna piuttosto in carne, che si presentò come Julie, la proprietaria.
Giulio si esibì in un elegante baciamano e le parlò in perfetto francese.
«Buongiorno, madame, sono il barone Ranieri e questa è mia sorella. Vorremmo due stanze adiacenti per noi e stanze comunicanti per i nostri camerieri personali. Inoltre, vorremmo che i nostri cocchieri fossero alloggiati al meglio e che i nostri cavalli fossero nutriti e strigliati.»
Lei gli rivolse lo stesso sguardo adorante della maggior parte delle donne di età compresa tra i quattordici e gli ottant’anni a cui Giulio si approcciava.
«Come desiderate, vostra signoria. Vi accompagnerò io stessa nelle vostre camere e darò disposizioni affinché un facchino porti su i bagagli. Vi prego, seguitemi di sopra.»
Al piano superiore Julie mostrò loro stanze dagli arredi raffinati. Al muto assenso di Giulio si accomiatò.
Fiamma fece sistemare il suo bagaglio e si recò nella stanza del fratello. Aveva scorso con attenzione i documenti consegnati dal cardinale e aveva bisogno di concordare tempi e modi con lui. Non c’era tempo da perdere.
«Allora, mia cara, come hai deciso di agire?»
«Abbiamo tre persone da incontrare: de Clemency, fratello Jacques e il tenente Saint Martin. Domattina farò visita da sola al duca. Nel pomeriggio andremo insieme da fratello Jacques, ma dovrai essere tu a interrogarlo. Stando alle informazioni che mi ha dato Scala, odia le donne con ferocia, pertanto è meglio che mi creda estranea all’indagine, perlomeno all’inizio. Tu che ne pensi?»
«Ogni tuo desiderio è un ordine!» rispose lui con fare teatrale.
«Molto, molto spiritoso.»
Armand de Clemency era senza dubbio l’uomo più affascinante della corte di Francia.
Nonostante la giovane età, era da anni al centro di scandali amorosi e intrighi politici. La sua famiglia era sempre stata fedelissima ai Valois, i precedenti reali di Francia, e aveva avuto parecchie tensioni con re Enrico di Borbone, che si erano tuttavia pian piano dissolte sia grazie all’abilità diplomatica di Armand che al recente interessamento del re nei confronti di Amélie, la sorella minore del duca.
Armand era comodamente seduto su una poltrona di velluto con un libro tra le mani quando un valletto bussò alla porta della biblioteca.
«Vieni pure.»
«Signor duca, la baronessa Ranieri chiede di vedervi.»
Armand si raddrizzò, chiuse il libro, lo poggiò sul ripiano di noce e atteggiò le labbra in un sorriso malizioso.
«Falla accomodare subito qui, poi servici una tazza di tè.»
Bruciava dalla curiosità. Aveva incontrato molte donne che avevano preso parte a intrighi, a volte complotti, ma questa era diversa da tutte. Colei che stava per varcare la sua soglia era un’emissaria del cardinale Scala, il quale metteva in campo solo giocatori eccezionali. Quando Fiamma entrò, tuttavia, Armand fu colto da un vivo disappunto: al posto della sensuale Giunone che si era immaginato si ritrovò davanti Ebe, la dea bambina, ma da attore consumato qual era si alzò e andò ad accoglierla con un inchino, senza far trasparire la sua delusione.
«Baronessa, permettetemi di presentarmi; sono il duca Armand de Clemency. Vi prego, sedetevi.»
«Vi ringrazio molto, duca.»
«Vi prego, baronessa, ditemi in che modo posso esservi utile.»
«Io e mio fratello siamo temporaneamente a Parigi e il cardinale Scala ha fatto il vostro nome per un’introduzione a corte. Dite che sia possibile?»
«Se è quello che desiderate, vi accontenterò senz’altro, e anche molto presto. Un ricevimento al Louvre è in calendario fra due giorni: sono sicuro che la regina sarà felice di incontrare un’altra italiana.»
«Ve ne siamo molto grati.»
Lui le sorrise di nuovo e, fissando i suoi occhi color indaco in quelli verdi di lei, aggiunse con aria allusiva: «Sarebbe un onore per me se accettaste di essere la mia dama al ricevimento.»
«Con molto piacere.»
«Ditemi, c’è altro che posso fare per voi?»
Fiamma lo guardò con fare divertito e, appoggiandogli la mano sul braccio, aggiunse con candore: «Certo, duca, permettetemi un consiglio. Cercate di schermare meglio i vostri pensieri, specialmente di fronte a una donna che non conoscete.»
Armand impallidì visibilmente, ma rispose con voce calma e pacata.
«Temo di non capire.»
«Mio caro Armand… posso chiamarvi Armand?»
«Se vi fa piacere.»
«Noi, Armand, dobbiamo essere alleati, ed è per questo che vi consiglio di essere sincero con me. So benissimo di avervi deluso al primo sguardo, ma vi ricordo che non è mai prudente giudicare una persona dal suo aspetto. Vi aspettavate una tigre e vi siete ritrovato davanti un micetto…»