di Pier Luigi Cavalchini
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Il curioso palleggio di responsabilità fra amministrazione centrale politica (non tanto la Ministra Azzolina in quanto tale, quanto piuttosto un ensemble che “tutto coinvolge e tutto spiana” (1)) fa tornare alla mente più meditationes sull’argomento. E’ lungo l’elenco di letterati, scienziati e intellettuali che, a più riprese, hanno stigmatizzato lo scadimento dei mores (tanto antiqui, che moderni). Un classico del divenire storico. Già usato più volte, da Roma imperiale in avanti.
Infatti….per soffocare in anticipo ogni rivolta, non bisogna essere violenti. Basta creare un condizionamento collettivo così potente che l’idea stessa di rivolta non verrà nemmeno più alla mente degli uomini. L’ ideale sarebbe quello di formattare gli individui fin dalla nascita limitando le loro abilità biologiche innate.In secondo luogo, …. “si continuerebbe il condizionamento riducendo drasticamente l’istruzione, per riportarla ad una forma di inserimento professionale. Un individuo ignorante ha solo un orizzonte di pensiero limitato e più il suo pensiero è limitato a preoccupazioni mediocri, meno può rivoltarsi”. Parole sante (non mie, ma di Günther Anders) che portano la centralità dell’istruzione, la cultura, nella migliore accezione del termine, alla ribalta di ogni discussione su presente e futuro. Partiamo di lì – come redazione – per ragionare su dove siamo “arrivati” nei nostri comportamenti sociali e come procedere. Ma andiamo per ordine.
Günther Anders proviene da un ambiente benestante. Il padre di Anders, William Stern, è un co-fondatore dell’Università di Amburgo e – all’epoca – quella che oggi si definirebbe una stella della scienza. Il figlio faceva immaginare ai genitori una futura possibile carriera accademica. A ventidue anni, un anno dopo aver completato il dottorato con Edmund Husserl nel 1924, il giovane Günther Anders, che a quel tempo porta ancora il suo nome di famiglia “Stern”, si incontra ai corsi di Martin Heidegger a Marburg (con inclusi esercizi sulla Logica di Hegel e un seminario sulla Critica della Ragion Pura) con una studentessa, particolarmente geniale e ricettiva, Hannah Arendt. Di lì il loro, non facile, matrimonio che, pur essendosi interrotto presto con un divorzio concordato, vide i due pensatori/filiosofi/scrittori, sempre in contatto, fino alla morte. Per la Arendt nel 1975 e per Günther (tra mille rimpianti) nel 1992. Ma non perdiamoci in divagazioni e godiamoci il testo, per molti motivi, “premonitore”.
“Per soffocare in anticipo ogni rivolta, non bisogna essere violenti. I metodi del genere di Hitler sono superati. Basta creare un condizionamento collettivo così potente che l’idea stessa di rivolta non verrà nemmeno più alla mente degli uomini. L’ ideale sarebbe quello di formattare gli individui fin dalla nascita limitando le loro abilità biologiche innate.
In secondo luogo, si continuerebbe il condizionamento riducendo drasticamente l’istruzione, per riportarla ad una forma di inserimento professionale. Un individuo ignorante ha solo un orizzonte di pensiero limitato e più il suo pensiero è limitato a preoccupazioni mediocri, meno può rivoltarsi. Bisogna fare in modo che l’accesso al sapere diventi sempre più difficile e elitario. Il divario tra il popolo e la scienza, che l’informazione destinata al grande pubblico sia anestetizzata da qualsiasi contenuto sovversivo. Niente filosofia. Anche in questo caso bisogna usare la persuasione e non la violenza diretta: si diffonderanno massicciamente, attraverso la televisione, divertimenti che adulano sempre l’emotività o l’istintivo. Affronteremo gli spiriti con ciò che è futile e giocoso. E’ buono, in chiacchiere e musica incessante, impedire allo spirito di pensare.
Metteremo la sessualità al primo posto degli interessi umani. Come tranquillante sociale, non c’è niente di meglio. In generale si farà in modo di bandire la serietà dell’esistenza, di ridicolizzare tutto ciò che ha un valore elevato, di mantenere una costante apologia della leggerezza; in modo che l’euforia della pubblicità diventi lo standard della felicità umana. E (diventi) il modello della libertà. Il condizionamento produrrà così da sé tale integrazione, che l’unica paura, che dovrà essere mantenuta, sarà quella di essere esclusi dal sistema e quindi di non poter più accedere alle condizioni necessarie alla felicità.
L’ uomo di massa, così prodotto, deve essere trattato come quello che è: un vitello, e deve essere monitorato come deve essere un gregge. Tutto cio’ che permette di far addormentare la sua lucidità e’ un bene sociale, il che metterebbe a repentaglio il suo risveglio deve essere ridicolizzato, soffocato, Ogni dottrina che mette in discussione il sistema deve prima essere designata come sovversiva e terrorista (sic) e coloro che la sostengono dovranno poi essere trattati come tali ” (2)
A questo punto ci verrebbe molto bene l’inserimento dell’altrettanto famoso quadro di Francisco Goya “Il sonno della ragione genera mostri”, anche se rischierebbe la prosaicità. Chi è in fatti il “mostro”? e per chi? Potrei anche esserlo io e non accorgermene, anzi, peggiorando le cose proprio in quanto incosciente. Come, probabilmente, pensano coloro i quali rappresentavano (e ancora rappresentano) la negatività, l’oscurantismo, il ribellismo stupido, come qualcosa di non aderente alla migliore vita possibile, quella “per cui abbiamo combattuto e vinto” (“… for which we fought and won”…) (3)
E qui ci viene di nuovo in aiuto Anders/Stern con una magistrale operazione di recupero psicologico, oltre che sociale, di un dramma che toccò tutto il mondo a partire dal 1945…e di cui si hanno – purtroppo – deboli rimembranze nelle fiacche rievocazioni di questo sventurato Terzo Millennio. Il riferimento va alla particolare reazione di Claude Robert Eatherly, il meteorologo statunitense che diede il via libera allo sgancio della prima bomba atomica che distrusse Hiroshima. Da quel momento in poi, infatti, l’esistenza di Eatherly viene segnata in maniera tragica. Se alla fine della guerra i soldati americani venivano celebrati in patria e nel mondo come eroi e portatori di pace, Eatherly si chiuse in se stesso: comprese di essersi macchiato di uno dei crimini più orrendi nella storia dell’umanità e cercò di rimediare alla propria colpa. Non un eroe, quindi, ma un “mostro”. Assalito dai rimorsi, Eatherly si avviò verso una depressione senza scampo, tentò diverse volte il suicidio e a causa del suo comportamento autodistruttivo vide naufragare il suo matrimonio e non poté più vedere i figli. Il suo tentativo di rendersi colpevole di fronte alla società, cercando di distruggere l’immagine eroica che l’opinione pubblica si era fatta di lui, culminò con la dichiarazione di infermità mentale. Si tratta dell’ultima beffa ricevuta da una società che non può fare a meno di compiacere se stessa, come si legge nelle parole che Eatherly scrive a Günther Anders in una delle lettere che compongono la loro corrispondenza.
Fu Anders infatti, nel 1959, a interessarsi della sua vicenda. Il filosofo tedesco vide nel caso Eatherly l’esempio di quella “tecnicizzazione dell’esistenza”, di quell’impoverimento dell’individuo che in maniera indiretta e senza alcuna consapevolezza, come nelle rotelle di un perverso ingranaggio, viene inserito in azioni di cui non può prevedere gli effetti e che, se potesse prevederli, non potrebbe mai approvare (4). Eatherly, parafrasando Hannah Arendt (…proprio una “ruota che gira”…), rappresenta la “non banalità del male”: egli non è stato infatti l’anonimo burocrate che ha eseguito semplicemente gli ordini, il boia che ha fatto soltanto il proprio lavoro. Claude Robert non si è sentito deresponsabilizzato nello svolgimento della sua mansione. Il suo pentimento e il suo dolore rappresentano anzi l’esatta antitesi del funzionario nazista che, senza chiedersi alcun perché, e giustificato dal semplice fatto di eseguire ordini impartiti dall’alto, produce morte senza porsi alcun problema sulle conseguenze delle sue azioni. Rappresenta la grande e consolante antitesi del banale sterminatore Eichmann, perché non fa del meccanismo un pretesto per giustificare la propria coscienza, di cui al contrario ne scruta i tratti, e percependone la minaccia per quella stessa coscienza, intende romperlo nonostante ne faccia tristemente parte. In questo modo Claude Robert Eatherly, colpevole e innocente allo stesso tempo, affronta con coraggio la propria azione, si astiene dal rimuovere la propria responsabilità, evita di nascondersi dietro l’ingranaggio anonimo del potere, e affrontando con dolore la propria coscienza decide di muovere i propri passi verso la libertà. Realizza in pieno quelli che sono i fini dell’istruzione e della cultura: leggere e conoscere per migliorare se stessi e produrre un cambiamento. Il famoso “Be the change you want to see in the world” del Mahatma Gandhi…”. Ma per produrre un qualche cambiamento ci deve essere una percezione del reale, autentica, sufficientemente approfondita e storicizzata. E qui ritorniamo alla centralità della Scuola. Quella con la “S” maiuscola. Quella che ci, attendiamo, riparta nel modo migliore e più proficuo possibile, il prossimo 14 settembre.
(1) – dalla “Traviata” di Giuseppe Verdi)
(2) – Die Antiquiertheit des Menschen [lett. l’antiquatezza dell’uomo], L’uomo è antiquato, è un’opera in due tempi del filosofo tedesco Günther Anders (1902-1992) . Prima parte 1956, seconda parte 1980
(3) “Transcript of General Dwight D. Eisenhower’s Order of the Day “(1944) “https://www.ourdocuments.gov/doc.php?flash=false&doc=75&page=transcript
(4) Micaela Latini, per i tipi di Mimesis (L’ultima vittima di Hiroshima, pp. 256), rappresenta un interessante contributo in questo senso. «Lei ci è estremamente prezioso, anzi indispensabile. Lei è, in qualche modo, il nostro maestro» scrive Anders nella sua prima lettera a Eatherly.