di Danilo Arona
Tanti anni fa presumevo di avere una storia incredibile da raccontare, non bella in sé perché racconta di morte e di isolamento, ma fuori dai canoni e in ogni caso affascinante. Non se ne fa più niente perché la compagna di strada non ci sta più, ma soprattutto non ci sta più a finirla. È legittimo, sia ben chiaro. Peccato soprattutto per la mole di lavoro e di tempo costata a entrambi – ma soprattutto a lei, una mappazza che tanto per dare un’idea, tradotta in termini da scrittore consta di 625.000 battute. Secondo me non se ne fa più niente perché quel posto sul quale si è osato indagare e scrivere l’ha avuta vinta (su di lei). Per quel che mi riguarda e mi compete di diritto pure letterario, riassumo qui la storia per sommi capi che in parte qualcuno conosce o ricorda.
Oltre vent’anni fa, alla redazione di una Tv locale (Primantenna SuperSix), mi fecero vedere una videocassetta inquietante quanto quella “finta” del film The Ring. Si trattava di un servizio curato da un giornalista di Casale Monferrato in cui si raccontava con dovizia di dati e testimonianze a dir poco sconcertanti di una sorta di “maledizione” riferentesi a una ristretta area della Val Cerrina, zona tra le più belle e interessanti tanto sotto il profilo turistico che sul versante enogastronomico (tartufi!), situata più o meno a una trentina di chilometri da Alessandria tra i confini provinciali di Asti e Vercelli. Stando a quel che si vedeva e si sentiva, una limitatissima estensionedi questa fascia comprendente cinque paesi (Pozzo, Odalengo, Torre San Quirico, Cicengo e Murisengo) era interessata da molto tempo, almeno sin dalla fine degli anni Settanta, da una serie di morti non naturali, quasi tutte violente e tutte di persone alquanto giovani.
Inutile e persino imbarazzante fornire qui l’elenco anagrafico di coloro che hanno perso la vita in queste zone – e che hanno continuato a perderla, per inciso, anche dopo la mia scoperta. Però il mistero, dal punto di vista statistico, era – e resta – sbalorditivo: più di vent’anni anni fa il giornalista Mario Giunipero elencava non meno di una quindicina di morti – per disgrazia, o presunta tale e qualche suicidio – , avvenute in un lembo di territorio in cui sono disperse poche decine di famiglie. Oggi, come accennato, sono di più. Peraltro, se così si può dire, la “maledizione” ha inseguito qualcuno anche fuori confine.
Esiste un caso, accaduto a molti chilometri di distanza dalla Val Cerrina, in cui il nefando teorema si prolunga. Avvenne nel 1992 e i giornali ne parlarono come di “un giallo irrisolto” o “strano incidente”: una ragazza, Silvana B., nelle vicinanze di Torino precipitò in un burrone con la sua auto in circostanze talmente ambigue e strane da far pensare agli investigatori alla copertura di un vero e proprio delitto organizzato. Nella videocassetta in questione si vedeva la sua foto sul loculo accanto agli altri sepolti nel cimitero di Cicengo, incrementando, se così si può ancora dire, l’alone di mistero e di stranezza delle scomparse che hanno riguardato i giovani inumati accanto a lei: ragazzi uccisi dall’asciugacapelli, sull’auto o su una moto, suicidi sopra un treno o all’interno di una macchina che brucia, annegati in piscina o in un laghetto. Alcune sono disgrazie, sicuro, ma di quel particolare tipo di incidente in cui l’anormalità di una morte ingiusta si accompagnava sempre al dubbio dell’inspiegabile, o quanto meno del poco chiaro. E, soprattutto, tutte lì, all’interno di un cerchio mandalico con un diametro di pochissimi chilometri.
Mandai una copia della cassetta al giornale Visto che, allora, batteva una certa strada in merito alle storie di confine. Non se ne cavò nulla perché in buona sostanza c’era un’indagine scomoda e disagevole da compiere. Fox Mulder e Dana Scully, non esistendo ancora, non potevano imporre il loro modello a chicchessia. E, se fossimo in un romanzo horror, magari potrei svelarvi che la giornalista cui spedii la videocassetta morì in circostanze misteriose sette giorni dopo averla vista e averne riso. Ma Koji Suzuki non esisteva neppure ancora come scrittore. Da allora, però, mi misi a collezionare le stranezze della zona, prendendo atto con un certo sbigottimento che, come ho già detto prima, le morti si allungavano. E tutte quante erano disgrazie “strane”.
Per anni feci quel che potevo con la tastiera del computer, annotando gli eventi e rivolgendomi a qualche lettore, o lettrice, del posto, nel caso volessero scrivermi. Dopo anni di silenzio nel 2011 accadde. Mi scrisse lei che allora aveva 32 anni, un po’ risentita perché forse osavo pensar male delle sue terre e credo, spero, incuriosita. Facendola breve, decidemmo di scrivere a quattro mani sui misteri della valle. Io avrei voluto un libro-inchiesta, un reportage nudo e crudo con ipotesi da suffragare anche “ai confini del reale”. Lei no, con un argomento più che solido: accidenti, io qui ci abito.
Scegliemmo di buon accordo un approccio fiction nel quale calarci con avatar più o meno credibili, ma senza occultare la lista dei colpiti dalla maledizione, tutt’al più ricorrendo a pseudonimi. Qui le ho lasciato il maggior spazio possibile anche perché la ragazza scrive pure bene. Ne è venuto fuori un lavoro strano e inquietante, ma importante e soprattutto chiarificatore, almeno in parte, per quel che riguarda i misteri della valle. Tra l’altro un po’ iettatorio perché il mio avatar, cioè io, alla fine muore.
Ma no, non se ne fa niente, devo rivederlo, non me la sento, devo cambiare un mucchio di parti, allora fallo. Ma…
… ma non lo fa.
Sono nove anni. In tutto questo tempo quel posto – esiste un Potere del Luogo, chi mi legge lo sa e anche chi non mi legge – ci ha messo un bel po’ di bastoni tra le ruote. Tempeste, alluvioni, infortuni ai suoi parenti, avvertimenti. L’ho persino scritto nelle prime pagine del libro che mai vedrà la luce, chissà, e il posto (la Valle) si è risentito. Ecco qua:
Da un po’ di mesi con lei ci siamo scoperti a parlare della Valle come di entità fantasmatica e pensante. Quasi per deferenza, non so chi sia stato il primo, abbiamo iniziato a usare il maiuscolo.
La Valle. Una Cosa che vive per effetto della terra che vuole divorare i suoi figli. Una categoria. Una divinità. Aggiusto il tiro di una frase scritta in precedenza: la terra non viene più mietuta, viene abbandonata, e allora la Valle miete vittime.
Però funziona meglio: la Valle pensa, la Valle agisce, la Valle ci mette i bastoni fra le ruote.
Ad esempio, ambedue avvertiamo che la Valle non gradisce il nostro interesse. Registriamo sempre degli intoppi da un po’ di tempo in qua. La sorella di lei, che possiede un bar a P., altra frazione di O.G., ha subito un brutto incidente con il proprio cane e lei per mesi ha dovuto occuparsi dell’attività, lasciando perdere tutto il resto, scrittura in primo luogo. Io, al primo incontro con lei, mi sono ritrovato all’andata con il navigatore “ubriaco”, impiegandoci un’ora in più del dovuto, e al rientro ho preso in pieno lo spigolo di un muretto che non poteva trovarsi lì dato quel che vedevo.
Sciocchezze, direte. Senza dubbio, ma io preferisco definirle “avvisaglie”.
Peraltro nulla confronto a quel che sta succedendo adesso, in questo momento.
Qui, dove scrivo. E ovunque vada. Perché la Terra è una. Dappertutto.
Appunto.
Vi lascio con il folgorante paratesto con cui si apre l’opera che è farina del sacco della mia amica (ditemi se non è brava – se ci si mette…).
Esiste un lembo di terra nel Basso Monferrato. Esiste un limbo di terra al crocevia di quattro province. Se vi state transitando, di sicuro il vostro cellulare non visualizza più alcun segnale. È morto. La stazione radio, su cui eravate sintonizzati da ore, prima si è messa a gracchiare poi è scomparsa. Solo un rumore di fondo simile a un vento monocorde e incessante. Qui non c’è internet. Non c’è una stazione ferroviaria. Non c’è un negozio. Non c’è scampo. Esiste davvero un posto così, un posto silenzioso tra i campi, un posto dove i morti sono ancora vivi. Io ci vivo.
Potrebbe essere Stephen King? No, è reale.