di Enrico Sozzetti
Quanti morti non in relazione al covid19 e quante patologie si sono aggravate durante l’emergenza coronavirus? Alla domanda non è ancora possibile rispondere perché solo in questi giorni la sanità alessandrina (e non solo, ovviamente) sta lentamente tornando alla normalità e non c’è il tempo per elaborare dati statistici e analizzare storie cliniche che prima devono essere individuate correttamente e con precisione, però una prima indicazione arriva dall’ambito cardiologico e rappresenta un segnale di allarme per quello che sarà uno degli effetti della pandemia con il quale si dovrà fare i conti per molto tempo. «Ci sono stati decessi per infarto» che potevano essere evitati, ma la paura di chiamare il 118 ed essere ricoverati è stata più forte.
Lo dice chiaramente Federico Nardi, direttore sanitario dell’Asl Al (è specializzato in malattie dell’apparato cardiovascolare), che punta l’attenzione sulla necessità di «ribaltare l’aspetto psicologico che è alla base di comportamenti altamente a rischio». Il timore di entrare in un ospedale ha progressivamente condizionato molte persone che hanno ignorato sintomi e problemi, con le inevitabili conseguenze negative. È accaduto all’Asl Al come all’azienda ospedaliera di Alessandria. Dove confermano che si sono «ridotte in modo importante le ospedalizzazioni per sindrome coronarica acuta e infarto durante il periodo di massima emergenza da covid19, ma i pazienti presi in carico sono risultati in media più gravi. Dalle nostre analisi si evidenzia che, rispetto allo stesso periodo del 2019, si è avuta una riduzione dei ricoveri per emergenze coronariche di circa il 40 per cento».
Dal momento che questo calo improvviso delle ospedalizzazioni «non è giustificabile attraverso spiegazioni biologiche riteniamo che sia invece riconducibile alla paura di recarsi in ospedale. Questa idea ha portato a sottovalutare i sintomi non legati all’infezione che in condizioni normali consigliano invece di chiamare il 118» precisa Gianfranco Pistis, direttore di Cardiologia dell’ospedale di Alessandria. In molti pazienti arrivati in nosocomio sono state osservate «condizioni cliniche più gravi proprio a causa del ritardo nella diagnosi e nell’intervento». Nel caso di infarto miocardico e di sindromi coronariche acute, più in generale, la tempestività del trattamento «è indispensabile per l’efficacia, potendo così garantire ai pazienti un rapido e completo recupero nel breve termine e una buona prognosi sul lungo termine». Un recente studio della Società italiana di Cardiologia, confermando queste indicazioni, indica chiaramente come durante i mesi dell’emergenza pandemia sia triplicata la mortalità per infarto e siano diminuiti i ricoveri per malattie cardiovascolari. La mortalità è passata dal 4,1 per cento al 13,7, mentre i ricoveri per infarto sono diminuiti di quasi il 60 per cento, come quelli per scompenso (-47 per cento) e quelli per fibrillazione atriale (-53 per cento).
Tra gli effetti indiretti vanno anche considerate le cancellazioni degli interventi chirurgici programmati (e senza naturalmente contare l’infinito numero di visite ambulatoriali), i ritardi delle diagnosi, in particolare quelle oncologiche (a livello nazionale si sono ridotte del 52 per cento e le visite sono diminuite del 57 per cento), il rinvio degli esami e le mancate cure.