Nuovo grido d’allarme lanciato dalla Confcommercio della provincia di Alessandria che, dopo poco più di due settimane dalla riapertura di gran parte delle imprese rappresentante, ha diffuso i dati – allarmanti – di una analisi elaborata dall’Ufficio Studi di Confcommercio in collaborazione con SWG, dal quale emergono i seguenti dati:
- dopo due settimane ha riaperto l’attività l’82%.
In particolare, si tratta del 94% nell’abbigliamento e calzature, dell’86% in altre attività del commercio e dei servizi e solo del 73% dei bar e ristoranti, a conferma delle gravi difficoltà delle imprese attive nei consumi fuori casa.
- Un terzo delle imprese che hanno riaperto stima una perdita di ricavi tra il 50% ed il 70%, mentre per il 28% rimane elevatissimo il rischio di chiudere definitivamentea causa delle difficili condizioni di mercato, dell’eccesso di tasse e burocrazia, della carenza di liquidità.
“Questa analisi – commentato Vittorio Ferrari e Alice Pedrazzi, presidente e direttore di Confcommercio Alessandria – sono la fotografia preoccupante ma purtroppo perfetta di ciò che stanno vivendo le imprese del territorio: c’è voglia di riaprire, c’è voglia di ripartire. La riapertura è però una condizione assolutamente necessaria ma, in questa fase, fortemente insufficiente a garantire agli imprenditori la sopravvivenza delle loro attività. Troppe le incertezze, legate alle perdite subìte nei mesi di chiusura e allo shock dei consumi, calati vertiginosamente”.
Le perdite degli ultimi tre mesi per alcune categorie hanno significato perdere le vendite di una intera stagione (si pensi all’abbigliamento o alle calzature, ad esempio), per altri settori addirittura di un anno, se non più (pensiamo al settore turistico, per il quale la crisi ha avuto effetti anche retroattivi, con la cancellazione delle prenotazioni per molti hotel e la necessità di rimborsare viaggi già venduti per agenzie di viaggio o tour operator) e per altri ancora la perdita irrimediabile di prodotti non stoccabili in nessun magazzino (si pensi ai pubblici esercizi, con pranzi, cene, colazioni e aperitivi perduti che non si conservano e non si possono vendere, neppure svendere, neanche in stock e sono persi, irrimediabilmente). Queste considerazioni fanno ben comprendere come l’attuale architettura di misure a sostegno della ripartenza di queste imprese, sia ancora insufficiente a consentire una programmazione di medio periodo e perché le condizioni attuali non garantiscono la sopravvivenza di migliaia di imprese.
In questo contesto, infatti, quasi un terzo delle imprese del commercio, del turismo e dei servizi – secondo le più recenti stime dell’Ufficio Studi di Confcommercio – rischiano la chiusura definitiva, se – come detto – le condizioni economiche e l’architettura di aiuti, non dovessero migliorare rapidamente. Una stima peraltro prudenziale che potrebbe essere anche più elevata perché, oltre agli effetti economici derivanti dalla sospensione delle attività e l’insufficiente iniezione di liquidità che deriva da provvedimenti che, per quanto corretti nella loro concezione, hanno mostrato troppe lacune e criticità nella loro attuazione, va considerato anche il rischio, molto probabile (ed in questi mesi di riapertura già verificatosi), dell’azzeramento dei ricavi a causa della mancanza di domanda e dell’elevata incidenza dei costi fissi sui costi di esercizio totali che, per alcune imprese, arriva a sfiorare il 54%.
IL RICORSO ALLE MISURE DI SOSTEGNO
Lo studio di Confcommercio si è concentrato anche sull’analisi dei risultati e dell’efficacia delle misure previste attualmente, restituendo questa fotografia:
- il 44% delle imprese ha beneficiato di indennizzi, come il bonus di 600 euro
- il 17% ha fruito della cassa integrazione
- solo l’8% ha ottenuto prestiti garantiti
“E’ evidente – proseguono Vittorio Ferrari e Alice Pedrazzi – che quest’ultimo dato sia quello maggiormente preoccupante, perché la carenza di liquidità è il problema principale delle aziende, ciò che mina nel profondo le possibilità di sopravvivenza. Non solo – aggiungono direttore e presidente della Confcommercio locale – è anche ciò che purtroppo apre la porta ad una piaga sociale da combattere con ogni mezzo: le infiltrazioni criminose nel tessuto economico”.
La Confcommercio segnala dunque “l’assoluta necessità di interventi correttivi ed estensivi delle attuali misure a sostegno delle imprese dei settori rappresentati, che si devono concentrare principalmente su due obiettivi: effettuare una forte e decisa iniezione di liquidità reale nel tessuto economico ed eliminare le troppe incertezze, sulle regole, sui provvedimenti di aiuto, sulle responsabilità, che le imprese devono affrontare ogni giorno. Bisogna prevedere interventi a fondo perduto che tengano in considerazione le perdite non solo del mese di aprile, ma di tutto il periodo e bisogna estendere – soprattutto – le misure di sostegno all’accesso al credito, aumentando sensibilmente l’importo con garanzia al 100% dello Stato e rendere effettivamente attuativi questi provvedimenti. L’8% del sondaggio dell’ufficio studi di Confcommercio è un dato fortemente negativo, sul quale bisogna intervenire subito.. Occorre poi – concludono Pedrazzi e Ferrari – lavorare per azzerare la burocrazia che per le imprese non è solo un costo, in termini di tempo e di soldi, ma è spesso un paletto insuperabile per l’accesso ai già limitati strumenti di sostegno. Carenza di liquidità, incertezza e burocrazia sono il virus del nostro tessuto economico. Vanno affrontate con la stessa determinazione con cui abbiamo provato e stiamo provando, tutti insieme, a vincere la battaglia contro il Covid-19. La salute del nostro territorio passa certamente da quella dei suoi cittadini, ma anche da quella delle sue imprese”.