di Enrico Sozzetti
In fondo, Report (trasmissione in onda su Rai Tre) cosa ha raccontato di Alessandria che già non si conosceva? Praticamente niente. La differenza è che il palcoscenico è stato nazionale ed è per questo che lo scontro politico si infiamma ancora di più. Maggioranza e opposizione in Consiglio regionale si stanno dando battaglia per difendere innanzitutto se stesse e (poi) il bene pubblico della sanità. Lo scontro è sui conti, sulle politiche di contenimento, sugli investimenti, sull’organizzazione di aziende ospedaliere e sanitarie. Uno scenario non nuovo, certo. Che in tempi di emergenza ha fatto emergere i limiti di una classe politica (tutta, senza distinzioni) che non ha saputo, per anni, guardare a una seria programmazione a medio e lungo termine in cui l’attività ospedaliera si integrasse sul serio con l’assistenza territoriale e con i medici di base. Tutti a rincorrere i conti e le nomine, lasciando sullo sfondo quelle professionalità che avrebbero potuto garantire le competenze necessarie per una riorganizzazione sensata della sanità.
Se in Lombardia è stata quasi travolta la sanità degli ospedali, è perché quella territoriale è stata in larghissima misura dimenticata. In Piemonte il processo è avvenuto più a macchia di leopardo, con differenze tra le province, che però non hanno aiutato a colmare il divario benché vi siano esempi positivi, come il trattamento precoce a domicilio dei malati covid-19 che, nell’Alessandrino come nel Novarese, per esempio, sta contribuendo a ridurre le ospedalizzazioni. Ovviamente il dato è quello statistico, così accanto ai casi positivi, ci sono quelli delle decine di persone in attesa da settimane di risposte e di tamponi. E la piattaforma informatica creata appositamente dal Csi Piemonte, presentata il 30 marzo, continua a fare i conti con rigidità di gestione e problemi di accesso per le modifiche successive alla prima registrazione del paziente, come hanno ripetutamente segnalato molti medici.
«In Piemonte diagnosi non fatte, tamponi persi, server intasati». La denuncia di Report ha ripreso, di fatto, quanto da settimane raccontano i giornalisti piemontesi, pur con le dovute differenze fra chi rilancia la ‘verità’ istituzionale e chi cerca, come si deve fare, di andare oltre il comunicato stampa di turno. Le immagini della Rai non hanno raccontato tutto. E alcune sono state anche montate con sequenze discutibili. È stato il caso, per esempio, del “bar aperto” e della “sala di attesa per prelievo dei tamponi vicino al bar”. Dalle immagini, di non buona qualità, sembra infatti più un video girato con il cellulare che con una telecamera professionale, si vede l’interno del bar (oggi gestito dalla cooperativa Amos) con alcune persone che paiono non correttamente distanziate. In riferimento al servizio, la direzione generale dell’ospedale precisa «di avere inviato una risposta e poi una diffida», pubblicata sul sito della trasmissione. Poi l’azienda ribadisce «che la scelta di mantenere il bar aperto è stata effettuata per la tutela della salute degli operatori, per dare loro la possibilità di ristorarsi in luoghi sicuri durante la lunga permanenza in ospedale, evitando il consumo dei pasti in spazi non idonei, che potrebbero rappresentare invece un fattore di rischio. Si ribadisce che il gestore ha fin da subito attivato le misure di distanziamento previste dalla normativa, monitorandone costantemente il rispetto. Si segnala che le immagini amatoriali presenti nel servizio non sono circostanziate nel tempo, indicando un generico “qualche giorno fa” e sono fuorvianti rispetto alla situazione reale».
Il giornalista di Report ha quindi affermato, commentando altre immagini decisamente poco chiare: «Vicino (al bar, ndr) c’è la sala di aspetto, con alcuni sanitari in attesa di fare il tampone». Per tutti gli italiani questa è apparsa come la verità assoluta. Peccato che non sia così. I tamponi sono stati fatti all’ambulatorio “Santa Caterina” che però dista alcune centinaia di metri dal bar. Una ricostruzione corretta e affidabile è fatta di particolari precisi e circostanziati. Altrimenti viene da pensare che l’accostamento fra bar e sala d’aspetto, come è stato fatto, volesse trasmettere l’idea di una promiscuità sbagliata.
Nel lungo servizio non sono state spese né parole, né immagini per raccontare quello che medici, infermieri e tutto il personale hanno fatto (e stanno facendo) in condizioni che spesso definire precarie è dire niente, e non è stata nemmeno indagata la sanità di territorio. Ignorati anche altri fenomeni alla base dell’accensione dei focolai più gravi, in particolare nell’Alessandrino. Il locale da ballo di Sale potrà anche avere avuto un ruolo, in quanto spazio di aggregazione di persone, però quello che è accaduto nelle case di riposo e che ha contribuito a fare esplodere l’epidemia, è rimasto avvolto dal silenzio per settimane e settimane da febbraio in avanti. Solo adesso qualcosa inizia a emergere, ma è ancora poco.