a cura di Angelo Marenzana
Firma autorevole, quella del torinese Massimo Novelli, nel campo del giornalismo, della letteratura e della ricerca storica. Oggi è ospite di ALlibri con il suo romanzo Pierrot Le Fou (storia del bandito che leggeva Boris Vian e della sua donna) pubblicato dalla casa editrice Oltre. La sua ricca esperienza nel campo della scrittura lo ha portato nel passato a distinguersi come autore di libri dedicati a significative figure della storia minore e della letteratura come Guido Seborga, Renzo Novatore, Sante Pollastro, Stefano Terra e altri.
In questa sua ultima pubblicazione ci propone l’avvincente biografia di Pierre Carrot, più conosciuto con il soprannome di Pierrot le fou, considerato dalla polizia francese il nemico numero uno, una figura che il regista Jean-Luc Godard fece rivivere nel film del 1965 Il bandito delle 11 nell’interpretazione di Jean-Paul Belmondo. Anche nel romanzo di Novelli, il personaggio di Pierrot Le fou ritorna in veste di protagonista delle cronache degli anni che vanno dal 1940 al dopo guerra con la leggenda delle sue imprese, del suo amore per la bella Katia e della sua incerta uscita di scena. Massimo Novelli ce ne fa un ritratto a tutto tondo sullo sfondo dell’epoca, quello degli esistenzialisti, delle caves, di Juliette Greco, Sartre e Boris Vian, che lui, tra una rapina e l’altra, tra un carcere, una fuga e l’altra, ha attraversato.
Buona lettura quindi con un brano di Pierrot Le Fou, assicurandoci anche un salto nelle magiche atmosfere parigine della metà del secolo scorso.
Parigi, poco dopo le undici di sera: è mercoledì 28 luglio 1948. Anche domani sarà una giornata molto calda, l’Osservatorio del Parc Montsouris ha fatto registrare alle quattro del pomeriggio una temperatura di quasi 34 gradi all’ombra. La calura, del resto, come scrivono i giornali, “è generale su tutta la Francia”. Sulle terrazze dei caffè, nei bistrot, nei locali jazz e nelle caves di Saint-Germain-des-Prés frequentate da Boris Vian, Juliette Gréco, Anne-Marie Cazalis e dagli esistenzialisti, la sera sudata annaspa nei boccali di birra, nel vino bianco, nel pastis, nel whisky. Alla Brasserie Lorraine, in place des Ternes, ovvero “la plus belle terrasse de Paris” secondo la réclame, bisogna “demandez le super-aperitif” oppure ordinare “les bières de l’Est et Pilsen”.
(…) Anche rue Charlot è una vecchia strada del Marais. Quel mercoledì 28 luglio, fra le undici e mezzanotte, diventa improvvisamente la scena di un romanzo poliziesco degno di Simenon e di Malet. La via compresa fra gli Archives Nationales e il boulevard du Temple, a quell’ora, di solito è deserta: nessun passante, nessuna automobile. Quella sera un grande spiegamento di forze di polizia blocca da un bel po’ di tempo gli accessi al quartiere. Cellulari e furgoni sono parcheggiati un po’ dovunque, i fischietti tagliano con i loro sibili metallici l’aria spessa e appiccicosa, vengono controllati gli alberghi e i caffè. Si sentono riecheggiare ordini e imprecazioni, i curiosi si fermano a guardare e devono mostrare i loro documenti. Inutile domandare che cosa sta succedendo: i poliziotti non rispondono, sono serrati in un silenzio carico di tensione, i graduati guardano spesso i loro orologi come se fossero in attesa di un segnale. Con il naso schiacciato alla finestra di un piccolo alloggio, al sesto piano dell’edificio dei sindacati di rue Charlot 85, all’angolo con il Temple, un uomo osserva i poliziotti che si stanno disponendo davanti e attorno allo stabile in cui si trova lui. Le luci dei lampioni sbavano sui distintivi degli agenti. Con un nervosismo crescente, l’uomo guarda il tintamarre, il frastuono, che artiglia il Marais. L’uomo che guarda si chiama Pierre Carrot. La polizia lo sta cercando da venerdì 2 luglio, da quando con due complici, Pierre Hervouët e René Male detto “l’Américain”, un ex della banda della Gestapo di rue Lauriston, è evaso dai locali della prima brigata mobile della polizia di rue Bassano, in cui era stato portato due giorni prima per essere interrogato. Il direttore della polizia giudiziaria, il 22 luglio, ha diramato in tutti gli uffici un ordine di ricerca. “Il ya a lieu de rechercher”, si legge, “très activement, le nommé: Carrot, Pierre-Henri, né le 18 Janvier 1922 à Vitré (Ille-et-Vilaine), fils de Joseph et de Paulette Arramy, navigateur”. Questo individuo, continua la nota interna, “s’eut évadé le 2 juillet 1948 , des locaux de la Iere Brigade de la Police Mobile à Paris. Il fait l’objet de plusieurs informations, notamment pour association de malfaiteurs. Très dangereux – toujours armé – il s’est rendu coupable de plusieurs agression a main armée. Son signalement est le suivant: I m 80, corpulence assez forte, légeremènt voûté, chevaux chàtain claire (peuvant étre teìnte). Il est souvant coiffé d’un chapeau à borde relavès et aurait des chaussures acajou. Il porte de nombreux tatouages sur diverses parties du corps; notamment le prénom de ‘Katia’ et ‘Mektoub’ sur l’un de bras. En cas de découverte, l’appréhender et aviser d’urgence la Prefecture de Police – Direction de Police Judiciaire (Brigade Criminelle), – Teléphone Turbigo 92.00 ou Odeon 45.80 (numéro automatique 357.360, 561, 280, 865). Paris, le 22 Juillet 1948 Le Directeur de la Police Judiciaire R. Desvaux “. Le due fotografie segnaletiche di Carrot, bretone, figlio di un gendarme, che sono accluse all’ordine di ricerca, una di fronte e l’altra di profilo come da prassi, mostrano un volto dall’espressione beffarda. È il viso dell’uomo che, scrive il Franc-Tireur del 3 luglio, aveva detto: “Io evaderò quando vorrò”. Non a caso i giornali, dando conto della fuga di Carrot da rue Bassano, lo hanno definito “Pierrot le Fou n° 2”, sebbene non vi sia la certezza che si possa chiamare davvero in questo modo. L’Aurore , quel medesimo 3 luglio, mette le mani avanti e titola: “Un des Pierrot le Fou s’évadé avec deux complices des locaux de la Brigade mobile”.
Nell’articolo si afferma: “Vero o falso, Pierrot le Fou dà decisamente delle preoccupazioni alla polizia”. Il Franc Tireur , sempre il 3 luglio, scrive: “Un falso ‘Pierrot le Fou’, questo Pierre Carrot? Ce lo domandiamo da 15 giorni, davanti alle informazioni che tendono a farlo passare per il vero capo dalla banda di Champigny, di cui Pierre Loutrel, finora considerato come il solo ‘Pierrot le Fou’, non sarebbe che una comparsa…del resto introvabile”. Eppure nel milieu c’è gente come Georges Damen, malvivente ma anche patriota, uno che durante l’occupazione ha combattuto contro i nazifascisti, pronta a riconoscere in Carrot “le vrai Pierrot le Fou”, e a giurare che l’altro, Loutrel, non è che “spazzatura”. Racconterà Damen che Carrot “era uno di quei malviventi “, di quei “truands”, che “avevano preso il partito della Resistenza”, come avevano fatto Jo Attia, detto Jo le boxeur, il migliore amico di Loutrel, reduce dal lager nazista di Mauthausen, Roger Dekker e lo stesso Loutrel, nonostante i suoi trascorsi nella Gestapo di rue Lauriston. L’evasione di rue Bassano è tanto clamorosa e grottesca, anche perché i tre hanno usato un revolver di legno per minacciare il guardiano della cella e una spilla da balia per aprire le loro manette, che viene pubblicata su numerosi giornali stranieri. Stampa Sera , un quotidiano del pomeriggio che esce a Torino, il 3 luglio descrive in maniera diffusa ciò che è accaduto. “L’assassino Pierre Carrot”, narra Loris Mannucci, corrispondente da Parigi, “soprannominato dai compagni di cella ‘Pierrot il pazzo’, pericoloso bandito autore di numerosi furti, assassinii e delitti di ogni genere, è fuggito dalla prigione e tutta la polizia di Francia è da ieri in stato d’allarme per ritrovarlo rapidamente, vivo o morto. È questa la settima volta che Pierrot il pazzo evade dalle prigioni in modo rocambolesco e audacissimo. Egli era stato arrestato l’ultima volta in un bar della rue St.-Denis, a Parigi, e incarcerato nelle prigioni di Auxerre, ma ritenendole poco sicure, la cosiddetta ‘brigata mobile’ della polizia aveva chiesto il suo trasferimento a Parigi onde tenerlo sotto una sorveglianza più rigorosa. Sapeva, la ‘brigata mobile, che Pierrot il pazzo è uno specialista nell’evasione”. Ieri mattina, prosegue Mannucci, “l’ispettore Borniche andò alla prigione della Santé per condurlo nei locali di polizia in rue Bassano. Occorreva chiarire un’intricata faccenda di traffico di stupefacenti, conclusasi con un assassinio, e confrontare ‘Pierrot il pazzo’ con due complici, Hervouet e Male. Il Pierrot fu docilissimo, affabile, sorridente, confessò tutto quello che gli venne chiesto e anche di avere assassinato un uomo della propria banda, tale Manager”, detto “Raymond le Blonde”. Evidentemente “voleva tener calmi i poliziotti che lo interrogavano”. In realtà a uccidere Charles Raymond Ménager, nella notte del 30 luglio 1945, è stato il guardiano di un’azienda che Carrot e i suoi uomini, tra i quali “le Blonde”, avevano cercato di svaligiare. Mannucci, in ogni caso, continua: “Era deciso a tentare l’evasione giocando il tutto per il tutto? La polizia crede di sì, sebbene escluda che egli abbia potuto concertare la sua azione, con dei complici esterni. I complici, Pierrot il pazzo li trovò sul posto, nelle persone del due banditi con ì quali veniva messo a confronto. L’errore dell’ispettore fu indubbiamente di lasciarli soli durante la colazione”. Bastarono pochi minuti ai tre uomini per accordarsi”. A mezzogiorno, racconta il cronista, “gli ispettori avevano sospeso l’interrogatorio per andare a pranzo, lasciando nella stessa cella, sotto la sorveglianza di un solo guardiano, i tre uomini, ai quali era stato dato un pasto freddo, portato dai loro parenti e amici. Due soli, Pierrot il pazzo e Hervouet, erano ammanettati, Male no, poiché non era ritenuto pericoloso. Alle 13,15 Male bussò al finestrino della cella per chiamare il guardiano a cui chiese di essere accompagnato al gabinetto. Al ritorno, la porta della cella era appena stata aperta per dare passaggio a Male, allorché i due altri banditi, che erano riusciti a sbarazzarsi nel frattempo delle manette, saltavano sul guardiano, lo scaraventavano a terra, gli prendevano la rivoltella, lo chiudevano nella cella e fuggivano. Quel guardiano era il solo che in quel momento si trovava nel locali della polizia, situati a piano terreno in una piccola strada poco frequentata di Parigi. I tre banditi, vestiti con abiti borghesi, attraversavano come bolidi il cortile decisi ad abbattere chiunque si fosse opposto alla fuga. Ma nessuno si parò loro dinanzi ed anche fuori dalla porta nessuno era di guardia. Appena liberi, essi scorsero un’automobile della Croce Rossa ferma all’angolo di una strada. Pierrot il pazzo mise la rivoltella alla nuca dell’autista invitandolo a trasportarli fuori Parigi. Giunti in pieno Bosco di Meudon, dissero all’autista: ‘Ora va pure a denunciarci al Commissariato’. E lo lasciarono libero”. La polizia, conclude Mannucci, “ha già effettuato una battuta nel bosco senza alcun risultato. Essa è convinta che per rintracciare Pierrot il pazzo occorreranno molti mesi e fors’anche non sarà mai più ritrovato. La legge del milìeu, vale a dire la legge dei malviventi, è molto rispettata da tutti coloro che vivono ai margini della società. È certo che a quest’ora Pierrot il pazzo ha già trovato un asilo sicuro ove sarà difficile scovarlo”. La latitanza di Male detto “l’Americano” dura poco. Viene arrestato dopo una settimana, la sera del 9 luglio, in un bar di Montmartre, dove si trovava con Carrot, che riesce a dileguarsi prendendo un taxi e facendosi portare alla Madeleine. Si fa prendere perchè, ubriaco, ha infastidito una ragazza, scatenando una rissa. Prima di sparire nella notte, Pierre spara un colpo di rivoltella contro una vetrata del caffè. La notizia esce sui giornali l’11 luglio, in prima pagina, accanto al racconto della vittoria del pugile Marcel Cerdan, che ha riconquistato il titolo europeo dei pesi medi a Bruxelles battendo Cyrille Delannoit. Braccato, senza denaro, come lo descrive la stampa parigina, pure Carrot, definito “l’uomo delle sette evasioni”, sembra avere le ore contate. Quelli che lo aiutano nella sua latitanza, d’altronde, stanno per finire uno dopo l’altro nelle mani della polizia: come succede a Gisèle Corbeau, donna di un ex boxeur, residente in un appartanento di lusso del quai Louis-Blériot. Il 13 luglio, definendola “l’amante di Carrot”, Le Monde scrive: “Quant à Gisèle Corbeau, la maîtresse de Carrot, elle a reconnu avoir hébergé les évadés à plusieurs reprises dans son appartement du quai Louis-Blériot. La police a établi aussi que la jeune femme avait été un moment l’amie d’un certain ‘Jérôm A pensare a Carrot c’è poi Katia, alla quale Pierre è legato al punto di essersi fatto tatuare il suo nome. Forse partendo proprio da quel nome, da Katia, gli investigatori della polizia arrivano a individuare il nascondiglio di rue Charlot. È il fato, scriverà L’Aurore , a volere che “Ce sont – les femmes – qui ont perdu Pierre Carrot (Pierrot le Fou n° 2)”? Sembra crederlo il giornalista Gianni Granzotto che su Stampa Sera , il 26 novembre del 1948, scriverà: “Ma il destino della sua cattura doveva essere più romantico. Pierrot era innamorato di una mannequin, una specie di sovrana della malavita parigina, i cui favori spettavano per tradizione al più famoso ed ammirato tra i protagonisti del milieu. Era divenuta l’amante di Pierrot. Egli teneva a questo privilegio come alla parte essenziale del suo bottino di capo. Appena tornato in libertà cercò di ritrovare la donna, e di vederla segretamente. La polizia tese la sua rete attorno a lei e se ne servì come di un punto di richiamo. L’astuzia di Pierrot cedette infatti di fronte all’amore. Una sera verso le dieci gli agenti circondarono un palazzo grigio nei pressi della Bastiglia. In una soffitta, all’ultimo piano, Pierrot era a letto con la mannequin”. È Katia la “sovrana della malavita” di Parigi? Tutto farebbe pensare, se non altro, che se la mannequin è la donna sorpresa con Pierre nella mansarda di rue Charlot, vicino alla Bastiglia, allora si tratta davvero di Katia”.