A distanza ravvicinata di Sabrina De Bastiani e Daniele Cambiaso [ALlibri]

La sinistra alessandrina strumentalizza Umberto Eco...e intanto dimentica Delmo Maestri CorriereAl 1a cura di Angelo Marenzana

 

All’appuntamento domenicale con ALlibri di questa settimana è presente la coppia formata da Sabrina De Bastiani e Daniele Cambiaso, autori a quattro mani del romanzo A distanza ravvicinata recentemente pubblicato dai Fratelli Frilli Editori. Entrambi liguri, si tratta di autori di provata fede letteraria con un ricco bagaglio di individuali esperienze editoriali sulle spalle e sempre attenti a raccontare anche il lato più oscuro della loro regione, senza peraltro venir meno al preciso impianto storico in cui le vivende vengono inquadrate. Insieme hanno pubblicato racconti sulle antologie Racconti liguri (Historica Edizioni, 2018), 44 gatti in noir (Fratelli Frilli Editori, 2018), Tutti i sapori del noir (Fratelli Frilli Editori, 2019), Natale a Genova (Neos Edizioni, 2019) e sono stati finalisti nell’edizione 2019 del contest Ore contate. Hanno curato le antologie Genovesi per sempre (Edizioni della Sera, 2019).

La storia narrata in A breve distanza prende è ambientata a Lavagna nell’estate del 1998. Protagonista è Pietro Farné, un giovane maresciallo dei carabinieri, fresco di nomina, incaricato di una strana missione, quella di sorvegliare un’anziana turista di origine tedesca, Frau Gertrud Stingel, e la sua accompagnatrice, Viviana Prestigiacomo. Un compito apparentemente noioso, ma al quale si interessano addirittura i servizi segreti. Mistral Garlet, invece, è una studentessa universitaria, che si è concessa qualche giorno di vacanza perché sente l’esigenza di riflettere sul proprio futuro. Casualmente si ritrova a essere vicina di ombrellone proprio di Gertrud Stingel e resta colpita dalla personalità sfaccettata dell’anziana signora, nonché dal rapporto complesso che sembra esistere tra la tedesca e la sua badante. Nella notte tra l’11 e il 12 agosto, la svolta. Gertrud Stingel viene uccisa nel proprio appartamento e Viviana Prestigiacomo scompare. Il caso appare subito difficile da risolvere. Chi è l’uomo che veniva a trovare Gertrud con una certa regolarità? E dove la accompagnava? Perché aleggia come un fantasma l’ombra di un vecchio criminale nazista? E chi è, invece, l’altro misterioso individuo che sembrava muoversi sottotraccia attorno a Viviana? Ma soprattutto: che fine ha fatto la badante? È ancora viva? È lei l’assassina? Sì, perché una nuova vittima viene ritrovata e la scia di sangue sembra destinata a non fermarsi ancora. Attorno a questi misteri si snodano parallelamente l’inchiesta condotta dal maresciallo Pietro Farné e l’indagine dilettantesca e appassionata di Mistral. Si dipana così un fitto intreccio di scoperte e rivelazioni, che porterà i due a seguire piste differenti ma convergenti, sfiorandosi ripetutamente senza mai realmente incrociarsi davvero, come due pedine mosse da un destino beffardo. Fino al raggiungimento della verità, sullo sfondo dei festeggiamenti per la Torta dei Fieschi: due delitti, due indagini, una sola verità. O nessuna?

Buona lettura con un brano di A distanza ravvicinata.

 

 

La sensazione è che siano trascorsi solo pochi minuti, ma in realtà la luce che filtra dalle finestre è vivida, il sole è già alto e l’aria è arroventata, odorosa di salmastro. È stato il suono lacerante di una sirena a destarlo e ora si rende conto del vociare concitato nelle scale del condominio.

Un grido nell’atrio, l’ascensore in movimento. Portiere sbattute in cortile.

Si solleva dal letto, in allarme. Recupera il cellulare e la Beretta sul comodino, verifica il caricatore, controlla l’ora. Le otto sono passate da una manciata di minuti.

Trambusto sopra la testa, scoppi di voci, passi.

Prima ancora di comprendere razionalmente che qualcosa non sta andando per il verso giusto, Pietro avverte un sapore ferroso in bocca e un nodo all’altezza dello stomaco.

Indossa un paio di bermuda e la prima t-shirt che trova abbandonata sulla sedia, calza un paio di ciabatte di plastica da mare. Si osserva riflesso nello specchio e quello che gli restituisce lo sguardo è un giovane uomo sconvolto, improvvisamente invecchiato di una manciata di anni.

Il trillo insistente del campanello lo paralizza. Si infila la Beretta sotto la maglia, dietro la schiena, si assicura che resti trattenuta dalla cintura, e va ad aprire. Si trova davanti due uomini in uniforme.

«Carabinieri.»

Il più alto in grado dei due è un maresciallo capo, sulla cinquantina, appena più alto di Pietro e piuttosto robusto. Muove braccia nodose come i rami di un albero, porta due dita alla tesa del berretto d’ordinanza per salutarlo. Ha un volto squadrato colore del cuoio, incorniciato da capelli ancora folti e da un pizzetto sale pepe. A Pietro ricorda un saraceno visto da ragazzo su un libro di avventure illustrato. Il mento appuntito e due occhietti penetranti e neri come la pece gli regalano un’aria inquisitoria e particolarmente severa. L’altro è un appuntato dal viso insolitamente infantile, un biondino che sembra fatto di latte, con le gote arrossate.

Suda abbondantemente e la divisa è chiazzata all’altezza del torace e delle spalle.

«Buongiorno. Cosa sta succedendo?»

«Ci fa entrare cortesemente un attimo? Stiamo cercando testimonianze su quanto è accaduto questa notte. Lei è il signor…?»

«Farné, Pietro Farné. Sono un collega. Sono maresciallo presso il Comando Legione di Genova.»

Temporaneamente distaccato presso il Sisde è un pensiero che resta inespresso.

Li vede scambiarsi un’occhiata e irrigidire impercettibilmente la postura.

«C’è stato un omicidio, proprio al piano di sopra, maresciallo. Un’anziana donna tedesca. La conosceva? Ha sentito nulla?»

Farné avverte una violenta vertigine.

L’hanno ammazzata.

Devo allertare Pergolesi.

Me l’hanno ammazzata sotto il naso. Anzi, sopra.

Chi?

I tonfi, cazzo.

La mente di Farné vortica.

«Di vista.»

Niente di più vero, pensa.

«Lei è qui in ferie, maresciallo?» chiede il bamboccio coi gradi da appuntato, guardandosi attorno. Stringe e allarga le narici ritmicamente come se stesse annusando l’aria. Un botolo che trotterella e abbaia solo perché gira col molosso, stabilisce Farné, a cui risulta subito antipatico.

Questione di pelle.

«No. Sono qui per ragioni di servizio.»

Restano qualche secondo tutti immobili come pedine su una scacchiera. Il maresciallo saraceno lo studia senza distogliere lo sguardo nemmeno per un istante.

«Può dirci quali, maresciallo?»

Gli ricorda anche un attore, Massimo Venturiello. Gli ricorda troppe cose e decide che deve concentrarsi.

«Comandi, dovrei chiedere l’autorizzazione al mio diretto superiore.»

Pergolesi o Dorigo? O entrambi?

«Questa è la nostra giurisdizione. Avremmo dovuto essere avvisati.» Il tono è gentile, ma la voce è un sibilo tagliente.

Farné annuisce. «Comandi. Ne sono consapevole, ma non dipende da me e le chiedo di effettuare una telefonata.»

«Lei è armato?»

Il bamboccio si è portato alle sue spalle, la voce da ragazzino gli è salita di un’ottava. Ha notato il rigonfiamento sotto la maglietta. Tiene la mano sul fianco, vicino alla fondina. Farné sa che, in una circostanza analoga, farebbe lo stesso. Anzi, avrebbe già estratto.

«Affermativo» replica calmo. La bocca si asciuga.

«Mi mostra gentilmente il suo tesserino, maresciallo?» Il maresciallo capo parla con voce altrettanto tranquilla, ignorando la domanda del sottoposto e, soprattutto, la sua risposta. Niente in lui tradisce tensione.

Ha il controllo della situazione e ci tiene a dimostrarlo. A Farné istintivamente piace, anche se comprende che proprio da lui potrebbero arrivare guai grossi.

«Comandi.»

Estrae il tesserino dalla tasca posteriore con movimenti lenti e precisi e lo mostra al maresciallo capo.

«Mi chiamo Rebonato e lui è l’appuntato Malavasi» replica l’altro, esaminandolo.

La vibrazione del cellulare irrompe sulla scena.

Farné rimane incerto, le braccia penzoloni e inerti.

«Risponda pure, maresciallo Farné.»

Il sorriso di Rebonato è una tagliola.

La voce che esplode nelle orecchie di Pietro, invece, è la cascata di un fiume in piena.

«Che cazzo succede lì, Farné! Cos’è tutto quel casino?»

Pergolesi. Quindi sei qui vicino, puoi vedere, pensa. Doppia sorveglianza?

«C’è un problema.»

«Di che tipo?»

«È morta la mia vicina del piano superiore.»

Pietro si volta a controllare l’espressione di Rebonato, impassibile.

Malavasi sembra più rilassato, tiene le braccia incrociate dietro la schiena, ma non lo perde di vista.

Il silenzio dall’altra parte è raggelante.

«Ha visto niente?»

«No, sono stato informato in questo istante dai colleghi che sono accorsi sul posto.»

«Sono lì con lei?»

Una lieve esitazione prima di rispondere.

«Sì.»

«Me li passi.»

«Ma…»

«Subito.»

Rebonato si limita a inarcare un sopracciglio quando Pietro gli porge il cellulare. E gli sembra di notare pure l’ombra di un sorriso.

 

La ventina di minuti di coda, quando va bene, dal Panificio Paggi per un pezzo della loro focaccia all’olio è tempo speso bene, pensa Mistral scendendo lungo via Roma verso la spiaggia. Voleva aspettare di essere in riva al mare per fare colazione, ma non se ne parla neanche di resistere al profumo e al tepore che escono dal sacchetto che trasuda quell’unto tipico, sinonimo di fragranza e morbidezza. L’ha chiesta espressamente lei, unta e mal cotta, perché non sopporta la focaccia secca o quella gommosa. Il pezzo che le hanno dato è perfetto, si scioglie in bocca. E questa è una di quelle occasioni nelle quali la gioia passa e si diffonde attraverso la papille gustative.

Caro Jean-Claude Izzo, talvolta la felicità è un’idea semplice non solo di fronte al mare.

C’è fermento nella via. E non solo perché si è prossimi al Ferragosto.

Tutto il paese è mobilitato per la Torta dei Fieschi, la manifestazione clou dell’estate lavagnese dal 1949.

Bandierine dei sestieri ovunque, nelle vetrine di ogni pasticceria il simulacro troneggiante di quella che sarà la torta gigantesca allestita in Piazza Vittorio Veneto, al termine di una settimana di eventi paralleli che tra pali, danze, rievocazioni storiche, duelli e sbandieratori, con un deciso rewind ai tempi attuali, riporta la cittadina e i cittadini all’annus domini 1200. Mistral si sente intonata all’ambiente nel lungo prendisole a fiori di sapore retrò, torna bambina e rivedendo la se stessa piccola guardare a bocca spalancata quei cortei storici, si immagina contessa e mima quasi senza accorgersene un incedere nobile, che contrasta con la voracità con la quale arriva alla fine del pezzo di focaccia.

Affacciandosi alla piazza in cerca di un cestino dove buttare la carta, nota capannelli di gente ed un viavai che ha epicentro davanti al portone di un palazzo anni Cinquanta piuttosto anonimo.

No. Non si tratta dei preparativi per la festa.

L’aria tesa. Le auto dei Carabinieri. Un’ambulanza. I visi contratti delle persone intorno. Un’urgenza che non ha nulla di festante.

Si avvicina ad un gruppetto che parla fitto guardando verso l’ingresso del condominio. Due donne di mezza età ed un uomo appena più anziano.

«Scusatemi, ma cosa è successo?» chiede avvicinandosi.

«Pare sia morta una donna. Una turista tedesca. Era piuttosto anziana e viveva qui da sola con la badante.»

Mistral sente un fastidioso ronzio nelle orecchie, i contorni dei volti si fanno meno nitidi, le voci più distanti. Tutto ovattato.

Al contrario, il pensiero che si tratti della Stingel, quello sì, è perfettamente a fuoco. […]

 

Come quando si risale da un’immersione, tutto intorno a lei torna ben definito. Si accorge che i presenti la stanno osservando con espressione tra il curioso ed il preoccupato.

«Tutto a posto, un colpo di calore» si affretta a dire Mistral stoppando ogni domanda; ha visto uscire dal portone un carabiniere, che si apparta per asciugarsi col fazzoletto i capelli biondicci slavati, appiccicati alla fronte dal sudore, e vuole cogliere l’attimo per saperne di più. Ne ha bisogno.

Con tempismo perfetto per Mistral, che si china a raccoglierlo, al giovane cade il cappello che teneva sotto al braccio.

«Mi scusi, mi hanno detto che è morta una donna. Potrebbe dirmi il suo nome, forse la conosco» chiede con ingenuità di comodo, confidando che i tratti infantili e rotondi del viso del carabiniere siano sinonimo di cortese disponibilità.

«Il nome della defunta è Gertrud Stingel. Ora non mi chieda altro e parli solo se ha qualcosa da riferire, ché non ho tempo per fare il gazzettino del paese e non ci vuole un genio a capirlo.» Il tono di queste poche parole, una pietra tombale su Lombroso e le sue teorie, induce Mistral a non aver voglia di aggiungere nemmeno una sillaba.

«Appuntato Malavasi, vieni qui.» Non ammette repliche la frase rivolta al giovane carabiniere da quello che è, evidentemente, il suo superiore.

Infatti, l’appuntato scatta nella direzione della voce, urtando Mistral con malagrazia.

Sei un vero cafone, appuntato Malavasi, pensa lei, memorizzando questo nome e i visi dei due.