di Enrico Sozzetti
L’Italia è più malata di coronavirus di altri paesi europei? «Semplicemente l’Italia controlla e individua i casi, gli altri non lo fanno. In alcune nazioni europee sono quelli ospedalieri a essere unicamente sotto esame. Quando un paziente viene ricoverato per una polmonite sono effettuati gli esami per accertare quale sia la causa ed ecco che viene rilevato. In Italia invece c’è un ricorso massiccio ai tamponi».
Pietro Luigi Garavelli, classe 1961, nato ad Alessandria, direttore dal 2000 della Struttura complessa di Malattie Infettive dell’azienda ospedaliero universitaria “Maggiore della Carità” di Novara (il reparto si occupa di tutte le patologie infettive e parassitarie), in precedenza ha lavorato agli ‘Infettivi’ dell’azienda ospedaliera di Alessandria, parla chiaro: «L’Italia ha una radicata tradizione di prevenzione delle malattie infettive che altri paesi europei non hanno. Sono tradizioni e storie diverse. In Europa per mille ragioni, da quelle culturali e all’opportunità politica, non contano i casi, che vengono ricondotti tutti nell’ambito delle virologie invernali, salvo quando l’accertamento avviene in sede clinica».
Allora il panico è tutto italiano e le reazioni dei cittadini sono esagerate? «Gli italiani reagiscono così perché non sono correttamente informati. E fanno anche fatica ad informarsi. La superficialità dei social ha una responsabilità enorme, però anche il fatto che parlino tutti crea confusione. Non mi riferisco alla politica, ma al mondo della medicina. Chi fa ricerca svolge un compito ben preciso e meritorio, però non è un clinico, non vede i malati. E di conseguenza le analisi, le valutazioni, le considerazioni non sempre collimano. Di fronte alla storia del Covid 19 hanno inizialmente parlato tutti, tranne chi, come gli infettivologi italiani, conosce bene la famiglia dei coronavirus e il loro comportamento. Sono un’ampia famiglia di virus respiratori che possono causare malattie da lievi a moderate, passando dal comune raffreddore a sindromi respiratorie come la Mers (sindrome respiratoria mediorientale, Middle east respiratory syndrome) e la Sars (sindrome respiratoria acuta grave, Severe acute respiratory syndrome)». Il nome deriva dalle punte a forma di corona che sono presenti sulla loro superficie.
«È un virus – prosegue Garavelli (autore di 14 monografie, 279 pubblicazioni scientifiche e 217 comunicazioni a congressi nazionali ed internazionali; eponimo “Zierdt-Garavelli disease” per la Blastocistosi) – ampiamente diffuso in natura fra animali e l’uomo, per il quale è la causa primaria del raffreddore. I coronavirus sono comuni in molte specie di animali, come i cammelli e i pipistrelli, e in alcuni casi, benché sia accaduto raramente, possono evolversi e infettare l’uomo. Quando avviene, la cosa che li contraddistingue è l’aggressività perché non conosce l’ospitante, da qui la velocità dell’infezione. Ma successivamente il virus si adatta perdendo di potenza, così come avviene per il corpo umano che inizia a sviluppare gli anticorpi. Rispetto alla mortalità, i più colpiti sono le persone anziane e fragili, con patologie come diabete, ipertensione, cardiopatie, fino a quelle oncologiche. In questi casi si parla di pazienti deceduti ‘con’ il virus e non ‘per’ il virus».
Capitolo farmaci: esistono? «Fin dalla precedente epidemia di Sars si sapeva che i primi inibitori delle proteasi utilizzati per il virus dell’immunodeficienza umana (Hiv, Human immunodeficiency virus) funzionavano anche sui coronavirus. Dopo 20 anni i nuovi inibitori sono ancora meglio tollerati ed efficaci. Oggi sono utilizzati antivirali specifici, come il Remdesivir, attivo anche su Ebola, e il Kaletra, efficace su Hiv, anche se i più recenti membri di questa famiglia sono maggiormente selettivi. Naturalmente si parla di trattamento farmacologico ospedaliero». Non manca chi afferma che il vaccino potrebbe arrivare entro alcuni mesi… «Rispetto alla preparazione in laboratorio si fa anche in fretta. Ma fra test successivi rispetto alla sicurezza e poi alle prove sull’uomo ci vorrà un anno. Siamo di fronte a una infezione dell’albero respiratorio, quanto sarà efficace e protettivo rispetto alla effettiva immunità? Il processo è simile a quello antinfluenzale e sappiamo quali siano i livelli di efficacia di un comune vaccino la cui efficacia può variare notevolmente da stagione a stagione e in base a vari fattori fra cui anche le caratteristiche della persona vaccinata (età e stato di salute) e la corrispondenza tra i ceppi di virus inclusi nel vaccino e quelli circolanti».
Le strutture ospedaliere italiane sono tutte pronte? «Rispondo in modo affermativo, laddove c’è cultura infettivologica e sono presenti le strutture di malattie infettive».