“Basta non si respira più”: ad Alessandria arriva la protesta degli ‘ortolani’ contro il depuratore, nato troppo piccolo e dalla storia tormentata [Centosessantacaratteri]

di Enrico Sozzetti

 

Un gruppo su Facebook, “Ortolani basta non si respira più”, una crescente protesta civile, un depuratore che continua a funzionare non certo a regime, periodici interventi che hanno come conseguenza, inevitabile visto l’attuale assetto dell’impianto, odori sgradevoli. E il problema, non ancora risolto, delle schiume di tensioattivi che tutti i giorni fanno bella mostra di sé nel fiume Tanaro, di fronte allo scarico del depuratore. Ad Alessandria va in scena l’ennesima contestazione, mentre le criticità in fondo al quartiere Orti, tra fiume, campi coltivati, cascine e abitazioni, resta sempre alta.

Nato in modo spontaneo, grazie a passaparola e Facebook, il gruppo di cittadini residenti nel quartiere ha deciso di organizzare per giovedì 27 febbraio, alle 18, un corteo di protesta contro il malfunzionamento del depuratore. Partirà da piazzetta della Lega per proseguire in via san Lorenzo, piazza Marconi, via Caniggia, corso Roma, piazzetta della Lega, via dei Martiri e concludersi in piazza della Libertà di fronte a Palazzo Rosso.

A inizio febbraio, quando era stata organizzata una visita per la stampa una guidata all’impianto, completata dall’aggiornamento sui lavori in corso, era stato assicurato che entro tre mesi funzioneranno a regime le nuove vasche di trattamento biologico delle acque in cui finora confluisce il venti per cento dei reflui in entrata, mentre il resto è trattato dalle due vecchie linee. Con il mese di giugno le nuove saliranno al 40 per cento, lasciando il 60 alle vecchie linee, «senza emissioni di odori». Le nuove vasche utilizzano un metodo di trattamento a cicli alternati che verrà adottato anche per le vecchie linee in modo da ottimizzare le capacità di trattamento. L’investimento complessivo è di quasi quattro milioni e mezzo di euro.

Infine, è prevista, entro la fine dell’anno, la realizzazione di un impianto di sollevamento da un milione di euro che eviterà anche il passaggio delle acque fognarie all’aperto. «Il nuovo sollevamento – aveva spiegato Giuseppe Righetti, direttore Settore Ambiente e depurazione di Amag Reti Idriche – consentirà di effettuare la grigliatura grossolana e fine dei reflui in ingresso fino a cinque volte la portata in tempo di secca e sarà costruito sotto il piano di campagna a una profondità di dodici metri. Anche il sistema di raccolta del rifiuto prodotto sarà posizionato nel sottosuolo e dotato di copertura in modo da azzerare le emissioni odorigene e l’impatto ambientale».

La progettazione sarà pronta entro fine mese, quindi la perizia di variante dovrà essere approvata dagli enti di controllo. Fatti salvi i tempi della burocrazia, la previsione è di aprire il cantiere e concludere i lavori entro l’anno.

Durante la visita era stato detto chiaramente che gli odori sono provocati «dall’intervento sulle vasche circolari, quando si interviene per la pulizia della pesante sedimentazione che si forma. Il lavoro dura qualche ora e si utilizzano alcune sostanze per ridurre al massimo l’odore sgradevole». Certo è che se invece la dispersione, come affermano i residenti, si ripete con periodicità, c’è da dubitare che siano in corso unicamente costanti interventi di pulizia delle vasche (per farlo è necessario sospendere in parte il processo di depurazione).

Quella con cui ancora oggi Alessandria deve fare i conti è una eredità pesante e critica. Un depuratore costruito alle porte del capoluogo, a due passi dal fiume, progettato sottodimensionato rispetto alla città, al servizio, all’epoca della realizzazione, di 70.000 ‘abitanti equivalenti’, come viene indicata la portata. Un depuratore che ha visto passare molte gestioni (politiche e tecniche) con conseguenze pesanti per le casse pubbliche e l’efficienza dell’impianto. Esemplare la storia delle originarie due nuove linee, mai completate. Siamo nel luglio del 2005 quando viene protocollato in Comune il progetto progetto definitivo che prevede il raddoppio delle due linee di depurazione biologiche esistenti. I successivi lavori portano alla parziale costruzione e le linee sono dichiarate completate il primo febbraio 2008. Dall’atto unico di collaudo del 15 settembre 2009 evidenzia che «i lavori non si sono svolti in piena ed esaustiva conformità alle specifiche contrattuali ed alle specifiche disposizioni della Direzione Lavori»

. Più avanti si legge che «non è stato emesso dalla Direzioni lavori il certificato di ultimazione dei lavori; l’esercizio sperimentale dell’impianto antecedente alla data del 16 aprile 2009 non ha dato luogo ad una esaustiva certificazione di funzionalità; le verifiche effettuate nel corso dell’esercizio sperimentale hanno evidenziato difetti funzionali aventi incidenza sull’affidabilità di esercizio dell’impianto di depurazione».

E così nel settembre 2009 il cantiere viene interrotto prima che le nuove linee di depurazione possano essere messe in funzione (mancano le apparecchiature elettromeccaniche). I manufatti male realizzati sono inutilizzabili e restano così per circa un decennio, mentre si degradano sino al punto di essere completamente demoliti. Non solo le due nuove linee non furono mai terminate per rescissione contrattuale, ma nessun intervento fu eseguito sulle due linee esistenti che avevano creato molti problemi di efficienza dovuta «a vetustà e a carenze impiantistiche».

Poi arrivano i collegamenti con Spinetta e Villa del Foro, tra il 2018 e il 2019, che aumentano del 40 per cento il carico del depuratore. «Le condizioni delle linee biologiche esistenti erano già al limite per effetto sia dell’emergenza fanghi scoppiata nel luglio 2018 per effetto della sentenza del Tar (Tribunale amministrativo regionale) Lombardia numero 1782, sia per il fatto che non venivano svuotate da circa 10 anni, per le necessarie riparazioni delle linee di diffusione dell’aria immessa dalle soffianti, per evitare il bypass totale dell’impianto (data l’assenza di compartimentazione)» era stato affermato, nei mesi scorsi, dai vertici di Amag durante l’audizione in una Commissione consiliare del Comune.

Si arriva all’estate scorsa quando «le condizioni dell’impianto sono andate peggiorando con il nuovo collettamento fognario di giugno e il forte caldo e si sono improvvisamente aggravate nella seconda metà del mese di settembre, portando all’emergenza, con schiuma nel fiume Tanaro e forti odori che emanavano dall’impianto per il blocco dell’attività biologica». Fra proroghe, lavori a ritmo serrato e investimenti significativi (in una fase durata una decina di giorni è stato necessario alimentare i batteri, per mantenere attiva la biomassa, con un costo di duemila euro al giorno), oggi sembra prossimo l’assetto definitivo. Anche se evidentemente continuano a esserci criticità, dalle schiume biancastre ancora presenti agli odori.