Bulgari raddoppierà a Valenza. Una crescita esponenziale, ma in una logica di distretto tutta da gestire per uno sviluppo armonico dello storico tessuto produttivo [Centosessantacaratteri]

di Enrico Sozzetti

 

Nel 2022 in provincia di Alessandria potrebbe essere pienamente operativo un polo produttivo da 1.400 addetti. Ma niente industria pesante, come forse il numero di dipendenti potrebbe fare pensare, bensì industria del lusso.

Quella di Bulgari (gruppo Lvmh) che, come si legge su un recente articolo del ‘Sole 24 Ore’, ha annunciato per bocca di Jean-Christophe Babin, amministratore delegato, che dopo l’acquisizione dei terreni intorno all’attuale sede, il 2020 sarà l’anno in cui verranno completate le procedure amministrative e la progettazione della nuova area in cui, dal 2021, apriranno i cantieri. «Il futuro polo industriale di Bulgari avrà a regime in totale oltre 1.400 addetti, con una crescita in dieci anni di almeno mille unità» sono le parole dell’amministratore delegato.


Il quotidiano economico, sempre nell’articolo dedicato al futuro del distretto orafo, pone l’accento sull’investimento che «sarà più impegnativo rispetto al precedente» perché «realizzerà nuove volumetrie e comprenderà nuova tecnologia». Ancora Babin: «Negli ultimi 4-5 anni siamo riusciti a crescere più velocemente de nostri concorrenti sia francesi che americani, mentre in generale il mercato dei gioielli cresce più della media del lusso». Bulgari è parte della divisione orologi e gioielli di Lvmh che nel 2019 è cresciuta del 3 per cento, toccando i 4,4 miliardi di euro. Per rafforzare la presenza nel segmento, Lvmh ha rilevato Tiffany per 16,2 miliardi di dollari.

Che alle porte di Valenza, lungo la strada provinciale 78, sia ormai cambiato tutto è un fatto assodato. Su un lato c’è Bulgari, sull’altro Damiani che ha rilevato l’ex palazzo fieristico, quell’ExpoPiemonte nato con grandi ambizioni e naufragato in un triste fallimento economico e di idee. È all’interno di questa sede che Damiani prevede una trasformazione al cui interno, oltre ovviamente alla parte produttiva, nascerà anche un museo d’impresa e una scuola di formazione per orafi.

Ma è tutto oro quello che luccica? Il raddoppio di Bulgari, Damiani e l’arrivo di Cartier accenderanno solo un altro enorme faro sulla città, oppure rischieranno di innescare processi socioeconomici che potrebbero causare ricadute non sempre positive sul tessuto del distretto? Oggi esiste una rete di imprese che lavora per i grandi marchi. Si chiama contoterzismo di lusso, lavora molto, in diversi casi continua a crescere. Lo sviluppo di nuove progettazioni e l’introduzione di tecnologie innovative all’interno del sito di Bulgari potrebbero invece determinare brusche interruzioni nei rapporti con una parte del mondo valenzano?

L’amministratore delegato Babin ha parlato a un certo punto della intenzione di internalizzare alcune fasi del processo di produzione. Una logica che segue ogni multinazionale, ma che nel caso di Valenza assume un connotato decisamente diverso. Tutto questo non avverrà certo domani, ma il processo che si innescherà deve essere analizzato e valutato affinché la città dell’oro non diventi, anche se solo per una porzione, unicamente dipendente da un grande marchio. La storia del distretto orafo dimostra come la forza sia rappresentata dalla creatività, dalla manualità e dall’innovazione, uniche al mondo. Se i colossi del lusso hanno scelto Valenza è per questi valori. Il rapporto dovrà rimanere questo, pur all’interno di una economia globale in cui la produzione deve rispondere a logiche molto industriali e meno artigianali di un tempo.