E.T. citofono casa [Il Flessibile]

di Dario B. Caruso

 

 

Mi piace sognare.

Non ho una particolare propensione per ricordare i sogni ma alcuni di essi mi rimangono impressi nella mente come il marchio sulla chiappa di una vacca.

Forse dipende dalla cattiva digestione, forse dallo stress accumulato a scuola, forse da quella melodia che non quaglia e che ballonzola in testa per tutta la notte.

L’ultimo sogno – in ordine di tempo – che mi sovviene ha come protagonista un extraterrestre tutto verde (in questo credo di essermi fatto condizionare dall’iconografia e dalla tradizione).

L’incontro ravvicinato con questo tipo è stato esilarante.

Aveva un accento strano, tendeva a parlare come chi ha le tonsille gonfie (avrà le tonsille?) e pronunciava una serie infinita di frasi che non riuscivo a comprendere data la lingua differente, credo.

 

Il dito indice della mano destra, oblungo e vagamente luminoso in punta, digitava in continuazione su una piccola tastiera simile a quella di uno smartphone terrestre ma più sofisticata (tecnologia molto avanzata!).

Ad un tratto si avvicina ad una casa, seguito da un nugolo di curiosi alcuni dei quali, divertiti, riprendevano la passeggiata marziana senza capire l’intenzione dell’omino verde.

Giunto al portone vede il citofono, lo scambia certamente per uno smartphone gigante, lo osserva con curiosa abnegazione, finge di leggere i cognomi e, d’un tratto, allunga il suo ditone verso uno dei pulsanti. Probabilmente a caso o magari soltanto per aver riconosciuto in uno dei cognomi un segno a lui ignoto o – perché no – familiare per qualche motivo.

Una breve attesa, poi dal citofono una voce asciutta.

Lo scambio di battute è esilarante, due entità di due pianeti diversi che dialogano senza comprendersi.

Non possono accogliere le rispettive pretese e considerazioni. Non gliela facevano, non era colpa loro.

Il seguito di curiosi ride, sghignazza, dà di gomito. L’impressione – nel sogno – è di ritrovarsi dentro la casa del Grande Fratello televisivo dove le persone si parlano senza comunicarsi alcunché.

Geniale! Un format di grande attualità.

Il pubblico si spacca in due: da una parte l’ilare partecipazione di un gruppo, dall’altra l’indignato atteggiamento della seconda metà dei presenti.

Improvvisamente una delicata melodia irrompe nell’aria, come una colonna sonora che preannuncia il gran finale.

Macché, si tratta della sveglia mattutina.

Ore 6 e 29.

Una canzone spezza il sogno.

Non saprò mai quale sarà l’epilogo.

Ma è proprio questo che mi piace dei sogni, sperare di riprenderli in una delle notti seguenti per godere del sequel.

Oppure, se ciò non dovesse avvenire, il valore aggiunto del sogno raddoppia perché il sogno resta lì, appeso nel tempo.

Non saprò mai.

Il marziano verde riuscirà a comunicare col terrestre?

Se ne andrà deluso a causa dell’incomunicabilità?

Verrà rispedito a casa sull’astronave “Sky Watch” messa a disposizione da una ONG?

E.T. citofono casa.

Che bella suggestione!