Gli ambulanti, le piazze e la capacità di Alessandria di essere autorevole e attrattiva [Centosessantacaratteri]

di Enrico Sozzetti

 

«Non possiamo lamentarci. Anzi, il primo impatto è stato più positivo di quanto pensassimo». «Un mercato così grande sistemato vicino alla stazione degli autobus e a quella ferroviaria sarà certo in grado di attirare un numero ancora maggiore di clienti». «La confusione che regnava il piazza della Libertà sembra proprio sparita. I banchi sono ordinati e tutti divisi in base al settore merceologico».

Lunedì 5 dicembre 1988. Le voci sono quelle dei commercianti ambulanti. Parlano così del primo mercato in piazza Garibaldi, trasferito da piazza della Libertà su decisione dell’amministrazione comunale dopo un lungo e duro confronto con gli operatori e le organizzazioni di categoria.

Martedì 21 gennaio 2020, la Commissione consiliare Sviluppo del territorio si riunisce per discutere la proposta del Movimento 5 Stelle di riportare il mercato ambulante in piazza della Libertà. Idea respinta al mittente dai rappresentanti dei commercianti («Non ci sono gli spazi, si rischierebbe di morire. E poi non ci sono servizi») e dall’amministrazione comunale («Operazione impraticabile per la dimensione dell’area e mossa non opportuna per la città»).

Dietro all’apparente inutilità del dibattito su una proposta che non piace ad alcuno, emerge in realtà un altro aspetto: l’assenza di una visione organica di sviluppo del capoluogo. Non che manchino le idee, certo, ma quello che caratterizza in modo trasversale la politica locale oggi è la capacità di concentrarsi su un aspetto, privo però di una contestualizzazione globale. Non bisogna peraltro dire che nella ‘prima repubblica’ tutto andava bene, perché non era così, ma è innegabile quella capacità di dare un senso di sviluppo a quasi ogni intervento, fosse stato lo spostamento del mercato ambulante fino alla realizzazione del sottopasso di via Maggioli. Non si discuteva solo dell’intervento in sé (come avviene oggi costantemente), bensì di quello che rappresentava soprattutto per il futuro. Dietro al trasloco degli ambulanti oppure al nuovo sottopasso c’erano visioni di sviluppo (del commercio su strada come del tessuto locale, piuttosto che dell’espansione della città in una direzione diversa da quella storica) che si intrecciavano a dinamiche economiche e sociali. Tornando più indietro nel tempo, le stesse visioni sono state alla base della nascita delle zone artigianali e industriali, oppure dell’insediamento di grandi industrie. Sono storie del loro tempo, spiegabili solo contestualizzandole in quei precisi momenti storici ed economici, ma che dovrebbero fare riflettere gli amministratori di oggi.

Invece ci si accapiglia (avviene con tutte le maggioranze di centrosinistra e centrodestra) sul singolo provvedimento, si usano le informazioni in modo strumentale, la preparazione amministrativa media a volte è davvero discutibile, il protagonismo individuale è esasperato e l’esercizio della dietrologia è sconfortante.

Sicuramente c’è chi prontamente risponderà che non è così, che ogni progetto è pensato per la città con il più ampio respiro possibile, che si usano tutte le competenze possibili. Vero. Ma solo in parte. Perché quella che manca, rispetto al passato, è la capacità di coinvolgere davvero e in modo costruttivo tutti i portatori di interesse. Di avere una prospettiva più alta. Di essere autorevoli e capaci di sviluppare una capacità attrattiva come Alessandria ha avuto nel passato quando era il primo centro di riferimento per l’area vasta.