di Beppe Giuliano
La maratona è davvero la distanza più bella del mondo. Non è giusto farne troppe, altrimenti ne perdi la magia. Per esempio adesso per me, come per tanti, fare la mezza maratona è quasi routine perché è una distanza che prepari abbastanza velocemente. Invece di maratone bisogna farne poche, una massimo due all’anno, e assaporarle.
Parola di Nicola Mandirola, che ha corso per la prima volta una maratona lo scorso 3 novembre a New York, come ci ha raccontato nella prima parte dell’intervista (che si può leggere qui).
Nei primi venti chilometri a New York neanche ti accorgi di avere corso mezza maratona tanto è meraviglioso il casino che c’è lì. E la parte finale, che di solito è la parte di corsa più complicata da gestire, è come un film, attraversi Manhattan, la prima e la quinta strada, arrivi a Central Park. Poi, per carità, io le gambe dure le avevo, in quei chilometri, e sicuramente in un contesto dove la testa è più presente a quello che stai facendo lo patisci di più.
La maratona di New York è fighissima. Perché New York lo è: come ho detto a Cristiana, la mia compagna che adesso per lavoro è in Cina, Shanghai è bella “ma di panini deve mangiarne ancora tanti”. Corri in un film e corri in posti da cui non puoi transitare a piedi, ci sono alcuni ponti da cui hai le viste migliori della città. Per esempio il primo che attraversi, il ponte di Verrazzano che tra l’altro è anche il più alto per cui appena partito fai una bella salita, vedi Manhattan che sta in fondo, non sai a quanti chilometri, verrebbe da dire quaranta (per i non sportivi: la maratona si corre su poco più di quaranta chilometri-NdR) anche se sono un po’ meno, e quella vista siccome è un ponte autostradale non te la puoi godere mai, solo quando corri. Lo stesso per il Queensboro, con un’altra bella salita ed è infatti il ponte più complicato da gestire perché arriva intorno al venticinquesimo chilometro ed è lungo quasi due chilometri, la metà in salita, lì infatti ho un po’ rallentato per non rovinarmi il resto della corsa, come ha scritto anche Orlando Pizzolato (vinse due edizioni consecutive negli anni ottanta-NdR) nel suo libro: lì bisogna stare tranquilli.
Già quando esci dal Verrazzano e vedi i primi cartelli “welcome to Brooklyn” è bellissimo. Ci sono tantissimi bambini, infatti il mio tracciato GPS è pieno di deviazioni repentine verso destra perché continuavo ad andare a batter loro il “cinque”, come si dice. Ci sono i cartelli “push up for more energy”, le bande che suonano, quelli che ti danno le banane, l’acqua, i poliziotti vestiti di nero, giganteschi, e anche loro ti danno il “cinque”: è una grandissima festa. New York esce in strada per vedere correre te e altre cinquantatremila persone, e anche se devi dividerlo con altre cinquantatremila persone ti senti di essere davvero in una festa.
Tu immagina, quarantadue chilometri di gente che ti incita. Tranne nei Queens, dove gli abitanti del quartiere non amano particolarmente la maratona, non vogliono queste cose (suggerisco all’intervistato: il quartiere dove ti sei sentito più vicino ad Alessandria. Ride-NdR), ti attraversano la strada sulle strisce apposta per rallentarti. Ho visto una scuola, pure un po’ decadente, con le ragazzine chiuse dentro, tutte con le divise identiche, in silenzio a guardarci passare. Poi esci da lì, fai Manhattan, fai il Bronx, fai Harlem, poi di nuovo Manhattan e lì c’è invece il delirio. A Central Park l’arrivo, con la risposta entusiasta del pubblico, è davvero esaltante.
Come esaltante è ricevere la medaglia destinata a chi completa con successo i 42 chilometri e 195 metri della maratona di New York, e infatti Nicola Mandirola me la mostra orgoglioso insieme al pettorale con il numero 19544. La meritata ricompensa a un grande impegno.