di Dario B. Caruso
Pochi giorni fa una mia giovanissima allieva mi ha raccontato di essere andata al cinema per vedere il sequel del film “Frozen”, Il segreto di Arendelle.
“Com’è?” chiedo io.
“Insomma” nicchia lei “bello…se non fosse per il finale…”
“In che senso…?”
“Il finale proprio mi ha deluso…”
Non vi dico quale sia il finale – deludente a suo dire – perché noi giovani non amiamo spoilerare.
Fatto sta che la ragazzina ha argomentato con dovizia di particolari (e francamente con considerazioni e lessico invidiabili) il motivo delle sue perplessità.
Mi ha convinto.
Tant’è che il giorno dopo, in una classe di suoi coetanei ho sollevato il quesito tra coloro che avevano visto il film: “Cosa ne pensate del finale?”
Spaccatura decisa e più o meno equa.
Se fosse politica si tratterebbe di ingovernabilità.
Le due fazioni condividevano l’apprezzamento globale per il prodotto cinematografico ma si spaccavano con fermezza e con radicate affermazioni sul finale.
Quanto sia importante il finale di qualsiasi cosa è indubitabile.
Basti pensare al risultato finale di una partita di pallone, alla votazione al termine dell’esame di maturità, all’acuto conclusivo di un tenore alla moda, ai secondi terminali di un rapporto sessuale, all’andate in pace della messa, alla stretta di mano dopo la firma di un contratto.
Ci sbattiamo convincendoci – e provando a convincere gli altri – che sia importante il percorso ed in realtà è solo il finale che conta.
Conservate dunque queste due righe finali.
Grazie.